giovedì 25 giugno 2020

la teoria del Superuomo

IL VATE esplica continuamente la sua volontà di superarsi, tendendo a fare della sua vita un’opera d’arte.La sua brama di eccezionalità la manifesta sia in campo privato (le numerose e tempestose storie d’amore) sia in ambito letterario, aderendo a tutte le mode culturali (spiritualismo preraffaellita, classicismo parnassiano, simbolismo, superomismo nietzschiano).La teoria del Superuomo di Nietzsche influenzera' il poeta in modo totale e profondo.Poco piu' tardi anche Benito Mussolini e Adolf Hitler verranno affascinati dal filosofo tedesco.

Cos'e' il SUPERUOMO?

 

I tre passi che l'essere umano deve seguire per divenire superuomo (cioè uomo del superamento) sono:

- possedere una volontà costruttiva, in grado di mettere in discussione gli ideali prestabiliti;

- superare il nichilismo passivo, attraverso la gioia tragica e il recupero della volontà di potenza;

- attuare e promuovere eternamente il processo di creazione e rigenerazione dei valori sposando la nuova e disumana dimensione morale dell'amor fati, che delinea un amore gioioso e salubre per l'eternità in ogni suo aspetto terribile, caotico e problematico.

Il diritto del Superuomo di essere diverso gli si presenta tuttavia anche come dovere di contrapporsi all'ipocrisia della massa.Nel concetto di oltreuomo è essenziale la volontà di potenza, vista come movente della storia dell'uomo.Il superuomo è quell'uomo che viene a superare le limitatezze che gli sono state imposte dal sistema di valori tradizionale, ma esterno ad esso; ora, il Superuomo deve agire cercando di aspettare quei valori che trova, non più fuori da sé, ma dentro se stesso e questi valori sono la salute, la volontà forte, l'amore, l'ebbrezza dionisiaca e un nuovo orgoglio. 

Il Superuomo viene, infatti, concepito come il frutto più alto dell’evoluzione, formatosi attraverso la lotta per l’esistenza: lotta che porta necessariamente alla vittoria del più forte contro gli inetti.

Tale teoria fu di profonda ispirazione,in un recentissimo passato,delle azioni intraprese dai movimenti nazionalisti nati in Europa.

L’ uomo è una corda tesa tra l’ animale e il superuomo, una corda al di sopra di un precipizio.

 

Nel primo discorso, Delle tre metamorfosi, Nietzsche descrive le tre metamorfosi dello spirito. Il cammello è l’uomo che porta i pesi della tradizione e che si piega di fronte a Dio all’insegna del Tu devi. Il leone è l’uomo che si libera dai fardelli metafisici ed etici, all’insegna dell’io voglio e nell’ambito di una libertà ancora negativa: libertà da e non di. Il fanciullo è lo spirito libero.

Nietzsche sottolinea il carattere elitario del superuomo, un’elite che non si limita a erigersi al di sopra delle masse ma che, nella sua qualità di razza dominatrice, ha bisogno della schiavitù delle masse come sua base e condizione. 



Il Piacere

Immerso nel silenzio e nella tranquillità del Convento Michetti, a Francavilla al Mare, di proprietà del suo grande amico, il famoso pittore abruzzese Francesco Paolo Michetti, D’Annunzio dedicò alcuni mesi, dal luglio al gennaio, alla scrittura del suo capolavoro letterario,il PIACERE




Le vergini delle rocce

Richiamando il celebre dipinto di Leonardo Da Vinci, fin dal titolo “Le Vergini delle Rocce” preannuncia una tematica dal carattere fortemente raffinato ed elegante, tratteggiando un paesaggio mentale duro e morbido al tempo stesso.

Le vergini delle rocce è un romanzo scritto nel 1895 da Gabriele D'Annunzio.

Dopo aver pubblicato Il piacereIl trionfo della morte, Giovanni Episcopo e L'innocente, D'Annunzio entra in contatto con l'opera diNietzsche, da cui rimane profondamente segnato. Ne Il trionfo della morte si avvertono già alcuni significativi riferimenti al pensiero del grande filosofo tedesco, ma sarà solo con Le vergini delle rocce che l'acquisizione di Nietzsche, come suggestione e stimolo letterari, si farà più lucida e consapevole. 



la vergine delle rocce PDF








Il Mito attraverso d'Annunzio

Alessandro ed Ercole! Ecco i due purpurei fiori succisi che due divini artefici, Leonardo e Ludovico, raccolsero e commutarono in indistruttibili essenze.

Ma questi due, affacciatisi alla vita con le mani colme di tutti i semi della speranza, avevano dinnanzi a loro ogni più vasta possibilità. Le loro teste giovenili parevano fatte per portar la corona regale, l'antica corona già portata dai padri. In un d'essi il Vinci divinava il futuro fondatore di un nuovo principato, il Tiranno trionfante che doveva imporre alle moltitudini il giogo di quella Scienza e di quella Bellezza a cui il grande maestro aveva iniziato il discepolo prediletto.

Ma la sorte volle differire il compimento della profezia. Entrambi gittarono la loro vita nel primo impeto, poichè un troppo veemente ardore li divorava: Ercole nelle arene del Po contro gli Schiavoni; Alessandro su le rive del Taro alla battaglia di Fornovo.

Non imagino, anzi, ma vedo. Qual prodigiosa e terribile tempesta di giovinezza dovette esser quella che provocò il colpo di sprone, onde il cavallo fu lanciato a furia contro il riparo del nemico!

Certo, Ercole in quell'attimo si sentiva degno di stringere fra i suoi ginocchi la fiera alata che nacque dal sangue di Medusa.


Alessandro restò, uno contro mille.

Ma la morte di Alessandro somiglia quella di un semidio. A Fornovo, nel più forte della battaglia, scoppia un uragano e il Taro straripa con terribile violenza. Alessandro scompare d'improvviso, come uno di quelli antichissimi eroi ellenici che un turbine sollevava dalla terra assumendoli trasfigurati nel Cielo. Il suo corpo non si ritrova nè sul campo nè in altro luogo. Ma egli vive, vive nei secoli, d'una vita più intensa della nostra. Di lui non l'effigie soltanto ha tramandato sino a me il Vinci, ma la vita, la vera vita.

 Egli rappresenta per me la potenza misteriosamente significativa dello Stile, non violabile da alcuno e neppur da me medesimo nella mia persona mai. Tutta la mia vita si svolge sotto il suo sguardo seguace.

«O tu, sii quale devi essere!» ecco il suo quotidiano ammonimento.



la nobilta' della stirpe

Ogni eccellenza del tipo umano sia l'effetto di una virtù iniziale che per innumerevoli gradi, d'elezione in elezione, giunge alla sua intensità massima e si manifesta ultimamente nella progenie col favore delle congiunture temporanee. Il valor del Sangue non è soltanto vantato dal nostro orgoglio patrizio, ma è pur anche riconosciuto dalla più severa dottrina. Il più alto esemplare di coscienza non potrà apparire se non alla cima di una stirpe che si sia elevata nel tempo per un'accumulazione continua di forze e di opere: alla cima di una stirpe in cui sieno nati e si sieno conservati per un lungo ordine di secoli i sogni più belli, i sentimenti più gagliardi,i pensieri più nobili, i voleri più imperiosi. Considerate ora una gente di remotissima origine regale, fiorita al sole latino in una terra felice rigata dai ruscelli di una nova poesia. Traspiantatasi in Italia, ella vigoreggia con tal rigoglio che in breve tempo nessun'altra può sostenerne il paragone. «Tristo è quel discepolo che non avanza il suo maestro» ha sentenziato il Vinci. E quella gente sembra aver posto a principio della sua grandezza una sentenza anche più ardua: «Tristo è quel figliuolo che non avanza il padre suo». Per uno sforzo concorde e ininterrotto, di genitura in genitura ella va elevandosi verso le superiori apparizioni della vita. In tempi di cieca ira, in cui la ragione non s'affida se non all'arme, ella già sembra comprendere «che quegli uomini, che sopra gli altri hanno vigore di intelletto, sono degli altri per natura signori».

E fin dall'inizio la sua disciplina ha un carattere intellettivo e par dettata da Dante, consistendo nel ridurre in atto sempre tutta la potenza dell'intelletto possibil e, in prima a speculare e quindi per questo ad operare. Tanto negli offici più gravi, quanto su i campi più sanguinosi, quanto nelle feste più liberali, ovunque ella primeggia: ottima egualmente nel capitanare gli eserciti, nel governare gli stati, nel condurre le ambascerie, nel proteggere gli artefici e i saggi, nell'erigere i palazzi e le chiese. A tutta la vita italiana nelle sue più diverse forme ella si mescola; in ogni più fresca fonte di cultura ella s'immerge. Vivere è per lei affermarsi e accrescersi di continuo, è lottare e vincere di continuo: vivere è per lei predominare. Un formidabile istinto di dominio la scaglia innanzi senza tregua, mentre un lucido e sicuro pensiero dirige l'impeto durevole. E sempre - come quelli arcieri prudenti che il Machiavelli dà in esempio - ella pone la mira assai più alto che il luogo destinato. Tanto i suoi fatti sono insigni che i maggiori poeti ne perpetuano la fama, e gli scrittori d'istorie li paragonano a quelli dei capitani antichi e li arrecano ad esempio dei venturi.

Tuttavia sembra che la sua virtù non siasi ancor manifestata intera, non abbia ancora attinto l'altezza insuperabile; sembra che le sue energie accumulate debbano, domani o fra un secolo o nel tempo indefinito, espandersi in una suprema apparizione...

"Allora dalle radici stesse della mia sostanza - là dove dorme la virtù indistruttibile degli avi - sorse e andò verso l'eletta la volontà di crear quell'Uno in cui dovevano trasmettersi tutte le ricchezze ideali della mia gente e le mie proprie conquiste e le perfezioni materne. Profondissimo mi divenne allora il sentimento di dipendenza originaria che legava il mio essere attuale agli antenati più lontani; e, come la cima dell'albero compendia in sè tutta la vita del tronco ramoso fino alle estreme radici, io sentii vivere in me tutta la stirpe, che la morte non aveva distrutta se non nelle specie corporee, nelle forme transitorie delle generazioni. E la pienezza e la veemenza di quella vita parevano abolire i limiti del mio natural potere.

<<Omai tu potresti fecondare il sale,mi diceva il demonico.>>

Là dove il tuo spirito s'inclina, l'ubertà si dilata subitamente. Ma pur tu hai teco il favore della Fortuna: tu sei entrato nell'ignoto e nell'impreveduto non come colui che tenta ed esplora incerto, ma come colui che è atteso ed eletto alla ricolta in un campo ove s'adunano tutte le maturità più superbe"



la purezza del sangue

Siate convinti che ogni eccellenza del tipo umano sia l'effetto di una virtù iniziale che per innumerevoli gradi, d'elezione in elezione, giunge alla sua intensità massima e si manifesta ultimamente nella progenie col favore delle congiunture temporanee. Il valor del Sangue non è soltanto vantato dal nostro orgoglio patrizio, ma è pur anche riconosciuto dalla più severa dottrina. Il più alto esemplare di coscienza non potrà apparire se non alla cima di una stirpe che si sia elevata nel tempo per un'accumulazione continua di forze e di opere: alla cima di una stirpe in cui sieno nati e si sieno conservati per un lungo ordine di secoli i sogni più belli, i sentimenti più gagliardi,i pensieri più nobili, i voleri più imperiosi. Considerate ora una gente di remotissima origine regale, fiorita al sole latino in una terra felice rigata dai ruscelli di una nova poesia. Traspiantatasi in Italia, ella vigoreggia con tal rigoglio che in breve tempo nessun'altra può sostenerne il paragone.

Cosi' sentenzio' il Vinci.

 

Per uno sforzo concorde e ininterrotto, di genitura in genitura ella va elevandosi verso le superiori apparizioni della vita.

In tempi di cieca ira, in cui la ragione non s'affida se non all'arme, ella già sembra comprendere «che quegli uomini, che sopra gli altri hanno vigore di intelletto, sono degli altri per natura signori». E fin dall'inizio la sua disciplina ha un carattere intellettivo e par dettata da Dante, consistendo nel ridurre in atto sempre tutta la potenza dell'intelletto possibil e, in prima a speculare e quindi per questo ad operare. Tanto negli offici più gravi, quanto su i campi più sanguinosi, quanto nelle feste più liberali, ovunque ella primeggia: ottima egualmente nel capitanare gli eserciti, nel governare gli stati, nel condurre le ambascerie, nel proteggere gli artefici e i saggi, nell'erigere i palazzi e le chiese. A tutta la vita italiana nelle sue più diverse forme ella si mescola; in ogni più fresca fonte di cultura ella s'immerge. Vivere è per lei affermarsi e accrescersi di continuo, è lottare e vincere di continuo: vivere è per lei predominare.

Un formidabile istinto di dominio la scaglia innanzi senza tregua, mentre un lucido e sicuro pensiero dirige l'impeto durevole. E sempre - come quelli arcieri prudenti che il Machiavelli dà in esempio - ella pone la mira assai più alto che il luogo destinato. Tanto i suoi fatti sono insigni che i maggiori poeti ne perpetuano la fama, e gli scrittori d'istorie li paragonano a quelli dei capitani antichi e li arrecano ad esempio dei venturi.



VIVERE ARDENDO E NON BRUCIARSI MAI

Il gesto rivoluzionario fiumano è certamente il grido di un’anima libera, la protesta dell’aristocrazia del popolo italiano, del popolo ardito, la vendetta della libertà, che dopo essersi levata alta e solenne sulle rive del Piave e nelle pietrose trincee del Grappa, era stata vilipesa dalla ciarlataneria internazionale riunita a Versailles.Questa grande tragedia fu realmente un atto di rivolta contro la codardia dei nostri governanti dopo la guerra e per più di un anno divenne il simbolo della gloria d’Italia, la roccaforte alla quale il Fascismo, ancora debole nella sua origine, guardava con speranza, quasi per attingere più forze e muovere nel nome di Fiume martire contro le tristizie della politica interna.


SEMPER ADAMAS (Sempre adamantino, forte come il diamante)

Motto coniato per la Prima Squadriglia navale.Adolfo De Carolis ebbe l'incarico di eseguire la xilografia raffigurante un braccio «potente» con l'indice teso, che si leva tra le fiamme.

Quando si arruolò, d'Annunzio aveva già 52 anni: fu nominato tenente dei Lancieri di Novara. Ma il suo sogno ardito era quello di volare.Dopo la guerra questo rimase uno dei motti più cari a d'Annunzio che lo fece incidere in caratteri d'oratii su portafogli,talismani,amuleti da donare agli amici piu' cari.
Virgilio nell'Eneide descrive Tartaro come il posto infernale dove gli dei avevano imprigionati i Titani. L'ingresso era sorvegliato dall'Idra e protetto da colonne adamantine. Per adamantino si intendeva un materiale talmente duro che niente poteva tagliarlo.Il diamante E’ il minerale più duro (10 sulla Scala Mohs), il che significa che non può essere graffiato da nulla, se non da un altro diamante.


Io ho quel che ho donato

Inciso sul frontone all’ingresso del Vittoriale,e’questo il più celebre dei motti dannunziani.Alla affermazione apparentemente paradossale,usata dal poeta fino agli ultimi anni della sua vita,e legata l’idea della generosità e della munificenza a cui il Poeta si ispirò sopratutto negli ultimi anni trascorsi al Vittoriale. Racchiuso in un tondo recante la figura di una cornucopia,simbolo dell’abbondanza,o impresso al centro di due cornucopie,il motto si trova impresso sui sigilli,sulla carta da lettere e su tutte le opere di Gabriele d’Annunzio pubblicate dall’Istituto Nazionale e dall’Oleandro. Il Poeta affermò di aver trovato la frase incisa su una pietra di focolare appartenente a un camino del Quattrocento.agli ultimi anni della sua vita, è legata l'idea della generosità e della munificenza a cui il Poeta si ispirò soprattutto negli anni trascorsi al Vittoriale.Il poeta,in fin di vita,decise di donare tutte le sue opere e la magnificenza del VITTORIALE come dono all'amato POPOLO ITALIANO.

"Come la morte darà la mia salma all’Italia amata, così mi sia concesso preservare il meglio della mia vita in questa offerta all’Italia amata."

 

IO HO QUEL CHE HO DONATO 

 


NUMQUAM DEORSUM

MAI IN BASSO

 

Uno dei tanti motti latini prediletti dal «superuomo» d'Annunzio che lo legò al mito del fuoco le cui fiamme tendono sempre verso l'alto.
Era dipinto su un parafuoco in lamiera di uno dei numerosi caminetti della villa «La Capponcina», al centro di una fiamma ardente.


Il fuoco è un romanzo di Gabriele D'Annunzio, pubblicato nel 1900.

 

Anche questo romanzo inaugura una trilogia, i romanzi del melograno (Il fuoco, La vittoria, Il Trionfo della vita, quest’ultimo rovesciamento positivo del Trionfo della morte), progettata ma mai portata a termine; il melograno voleva simboleggiare la gloria del trionfo, ma all’interno di una dimensione religiosa neopagana. Le tre trilogie (romanzi della rosa, del giglio e del melograno) avrebbero dovuto formare una visione totale dell’universo dannunziano, rimandando alle tre cantiche della Commedia dantesca.

Ambientato a Venezia, il romanzo ha come protagonisti Stelio Effrena, poeta e musicista, vitale e narcisista, e la matura attrice Foscarina Perdita, che assiste allo sfiorire della propria bellezza consacrandosi al trionfo dell’amato, tutto preso dal suo sogno artistico.Alcune tra le pagine più suggestive del Fuoco nascono dal sentimento decadente del tempo che trionfa su tutto, anche sulla bellezza.


I madrigali della Notte

Le sue mani piú pure delle rose
nuove a rifiorir la stanza dove
comporrei canzoni maliose.

E cadere vedrei come ad un lieve
fiato le foglie miti come neve
su la pagina, al suo pensier d'amore;

Siete per me come un giardino chiuso,
dove nessuno è penetrato mai.
Di profondi invisibili rosai
giunge tale un divino odore effuso
che atterra ogni desío di chi l'aspira.

La vedo stranamente fiammeggiare
come un segno fatale. - O passione
arsa a quel fuoco! - Tutte le corone
de la terra non possono oscurare
quel segno unico.

Siete come una spada senza l'elsa,
pura e lucente, e non brandita mai...

Lane di agnelli, gigli senza stelo,
vaghe bianche apparenze, in cielo, in mare

A noi su 'l capo non fuggiva l'Ora:
la gran legge de 'l Tempo era bandita
Ella splendea d'un'immortale aurora
ove lo bevea da' suoi cari occhi la Vita.

- A TE,dal dolce nome che io non
chiamo!



Venti Grecali

A te libo. Mi brilla ne 'l calice nitido il sangue
che già a 'l tuo bacio ne' gemmanti grappoli

Anche siam noi: ci spingono i venti grecali
pregni di sale e di profumi d'alighe
ne 'l pelago de' sogni; piú lento di molli spondei
fluisce il verso fuor de le labbra

Languidi i venti cantano per la freschissima selva
dormente ne la vasta luce plenilunare,
dormente su l'onda che mormora dolce e a la notte
nembi d'effluvi manda, conscia di stranî amori.

Cantano i venti: - O voi cui viva pe' tronchi la linfa,
qual per le vene il sangue vivo.

Accogliete il messaggio! Lontano una vergine torma
su l' monte, a la luna, sogna divini amori.

Oh bella frenante la foga de' lombi stupendi
tra le prunaie rosse giú per la china audace.

non sente in bocca un nuovo licor da versare ne' baci
la vergine, piú bella di un'amadriade antica?

O pantera flessibile da li occhi ove brucia il desio,
ei t'avvinghî pe' fianchi, là, come un gladiatore;

e va e va il sogno pe 'l sol, per l'azzurro, va lungi
portato da 'l desio, va il sogno a batter l'ala.




mercoledì 24 giugno 2020

Il Sognatore dei Boschi

Sottile
ella era e tutta bionda; su la nuca infantile
due ciocche avean que' caldi luccicori vermigli
che han le vergini antiche di Tadema;

Tra i cigli lunghi li occhi avean l'iride verdognola, raggiante
di fini àcini d'oro.

Sopra un fondo di cielo
aranciato i grandi alberi, dinanzi, ne 'l fogliame
prendean tinte metalliche, toni intensi di rame.

Il corpo di lei esalava un ardente
profumo, qual di frutto maturo; ed un'alena
tepida palpitava ne 'l bosco.

E in ogni vena
a me correva l'aspro vin de la giovinezza.

Le viole cadevano; era una pioggia enorme.
Tutto il bosco, un istante, parve a la mia vista
una maravigliosa foresta di ametista
che risplendeva

Or venivan d'in torno le nebbie di viola
ne l'aria; una penombra dolce velava l'aria,
e su da la foresta profonda e solitaria
sorgevano le voci de le cose, li odori

Pareva come da i fiori,
da le foglie, da l'erbe un sogno vegetale
salisse e si spandesse, grande e soave.

Que' richiami d'amore, trepide ne 'l misterio
de l'ombre vigilando se non già tra 'l fogliame
d'in torno luccicassero li occhi ardenti di rame
d'un amante.

I secolari tronchi di quercia ergevano a li incanti lunari
le membra e ne la evanescenza
de la luna era come una selva lontana
di cupole e di aguglie.

Un largo
respirare di belva; ma come voci rotte
di piacere animavano il bosco, ne la notte.


Ballata delle donne sul Fiume

I nitidi mercanti alessandrini,

profumati di cínnamo e d'issopo,

bevean su la riviera di Canopo

ne' calici de 'l loto i rosei vini.

Noi lungo il fiume, ove sí dolci istanti

indugiammo cercando per la via

il grappolo tardivo,

navighiamo a diletto, in compagnia

di musici che il lido empion di canti.

 

Tutto s'accende il lido fuggitivo

a lo splendor vermiglio.

Tu, ridendo, co 'l calice d'un giglio

attingi le bell'acque scintillanti.

La man tua lieve crea schietti rubini.

Le gentildonne, che fan gaia corte

a te con gran sollazzo,in su' minori

legni, rapidamente

seguon l'esempio e con i bianchi fiori

attingon l'acque d'or, ridendo forte.

Tutte, in un tempo, bevono a 'l lucente

vespero, inebriate,

quasi Bacco le linfe abbia cangiate

in vin di Scío, da' regni de la morte.

 

Suonano a torno i lieti ribechini.

Cosí tu vai, piacente Primavera,

navigando ne 'l vespero, per l'almo

fiume onde Amore sorse;

e i gigli tratti dietro il paliscalmo

vestono forme, ne la dubbia sera.

Non calano da' rotti argini forse

le ninfe a 'l Latamone?

Questa, piena di donne e di canzone,

non è l'isola bella di Citera?

Non sei tu dunque iddia ne' tuoi domíni?

 

Questa è l'isola bella: non la tiene

però Venere. Isotta ha signoria,

Isotta Biancamano,

su la verde Brolangia solatía

ove reíne clementi e serene

vissero a lungo, in tempo assai lontano,

e amaron poetare.

 

 

Qui non s'ode Bacchilide cantare,

non Saffo, non Alceo di Mitilene.

Ma s'odono i leuti fiorentini.

O musici, toccate li strumenti

con piú dolcezza, poi che a' lauri in cima

è la luna novella.

 

Cantate, o gentildonne, a cui la rima

fiorisce in amorosi allettamenti

a sommo de la bocca picciolella.

Sicché di su l'altura

udendo suoni e canti a la ventura,

veggendo faci, dicano le genti:

- Torna forse Brisenna a' suoi festini?



ROMANZA DELLA DONNA VELATA

Chi dunque ne la mia memoria oscura

susciterà quel duplice ricordo?

Una musica e un sogno. (E una figura di donna?)

Oh, ch'io ritrovi il primo accordo

e rivivrà la dolce creatura,

ed il sogno con lei, nel mio ricordo;

e l'una e l'altro non morranno piú.

Ma quale fu la musica?

Ma quale fu il sogno?

Ma qual era il vostro viso, donna velata?

Il giorno era autunnale  (mi sovviene del giorno, all'improvviso!)

ed il sole era come un grande opale

in un ciel cosí bianco che un sorriso

di piena luna non è forse più.

D'altro ancor mi sovviene. Giungea piano

a me il suono, fin là su la ringhiera;

e pareami venisse di lontano

. Ai penduli rosai qualche leggera

aura facea, ne le pause, uno strano bisbiglio.

Ed anche quella musica era dolce;

ma non so quale fosse piú.

Profondavasi innanzi una contrada

nobile e calma; e un fiume la partiva

lento, che mettea foce in una rada cerula.

E il fiume lungi m'appariva

nel diffuso vapor come la spada

appannata da l'alito; o spariva

subitamente, non luceva piú.

D'altro ancor mi sovviene. Se talora

io mi volgeva, senza sollevare

le tende ove languia l'onda sonora,

io scorgeva a traverso quelle rare

trame confusamente la signora

misteriosa e vago luccicare

il cembalo ne l'ombra, e nulla piú. 

La musica fluiva, nel sovrano

incanto di quel giorno moribondo,

con tal dolcezza che il mio cuore umano

non la sostenne. Ed un oblío profondo

de la vita mi trasse in un lontano mondo.

Ah perché di quel lontano mondo,

anima mia, non ti sovviene piú?