lunedì 10 gennaio 2022

Gabriele portò in Abruzzo le rappresentazioni delle sue opere perché la madre potesse vederle.

 Nel 1903 il poeta rappresentò Francesca da Rimini a Teramo. Donna Luisa  accolse l’invito dell’amato figlio. Grande fu la curiosità e la venerazione del pubblico e tanti fiori furono lanciati nel suo palco e donati a lei, tanto che ne rimase tanto commossa e confusa da non voler più in seguito intervenire alle rappresentazioni della Figlia di Iorio per paura di non soccombere alla sua stessa gioia.

L’anno dopo infatti, 1l 23 giugno 1904, D’Annunzio fece ritorno in Abruzzo per rivedere la madre , e con la recondita  speranza che recedesse dalla sua decisione e che si lasciasse condurre   a Chieti per la prima rappresentazione de “La figlia di Iorio”. L’opera, come testimonia anche Enrico Di Carlo nel suo libro “Gabriele D’Annunzio negli Abruzzi”, venne rappresentata al Teatro Marrucino con grandissimo successo di pubblico e di critica.

Tantissimi furono gli  grandi applausi , ma non quelli della genitrice. Il poeta ricevette anche la cittadinanza onoraria della città di Chieti. Le manifestazioni in suo  onore durarono tre giorni e  si conclusero con un memorabile banchetto che si tenne alla Pineta  di Pescara la sera del 26 giugno 1904.

A proposito di questo ritorno a casa di Gabriele D’Annunzio il prof. Garibaldo Bucco, qualche mese dopo scrisse “Io ricordo la signora Luisa nei giorni indimenticabili della festa popolare con cui gli Abruzzi allestirono la rappresentazione de “La figlia di Iorio” a Chieti, alla vigilia dell’arrivo di Gabriele a Pescara, la casa paterna era insolitamente animata: operai chiamati per restauri ed addobbi domestici carichi di canestri misteriosi  e per tutto quel giorno nessuno scorse tra le persiane socchiuse, la figura di donna Luisa.

Nella notte giunse Gabriele e quando apparve sulla soglia e corse incontro alla madre, lei facendo molta forza a se stessa, negò di baciarlo se prima non prometteva di trattenersi con lei almeno tre giorni. E il mattino seguente il poeta vedendola tra la folla dei curiosi e degli amici, che invasero le sale della casa per riverire il poeta, ognuno leggeva negli occhi animati  d’un lume giovanile , la gioia del piccolo trionfo. Ella appariva trasfigurata : era più diritta nella persona, le rughe parevano cancellate dal viso, i capelli  ancora neri pettinati con cura, la curva malinconica che sempre piegava la sua bocca, era distrutta da un sorriso continuo, come se tutti i sorrisi compressi nella sua vita dolorosa, risgorgassero ora senza più freno. La mattina dopo venerdì 24 giugno, il poeta si recò al Teatro Marrucino.  Secondo i giornali dell’epoca la cerimonia ebbe inizio con la consegna di alcuni doni all’illustre ospite tra cui la cittadinanza e un dono fattogli dagli studenti  un mirabile ritratto della madre fatto da Basilio Cascella.

A questo proposito il poeta disse: “Ma se il cuore troppo non mi tremasse davanti all’immagine di quella immacolata che ritrovo su le soglie della mia casa ad ogni mio ritorno, di quella che sembra tener viva nel cavo della mano , la più fresca vena dell’anima mia infantile  perché ogni volta io la ribeva e mi purifichi se troppo non mi tremasse il cuore , io vorrei dire ai giovani come dentro mi tocchi la divina lor gentilezza”.



Donna Luisetta De Benedictis: la madre tanto amata dal poeta Gabriele D'Annunzio

 Luisa De Benedictis, nata il 17 dicembre del 1839 a Ortona a Mare, da Filippo e Teresa Pozzi, trascorse ad Ortona la sua fanciullezza che fu purtroppo funestata da un grave lutto: le morì la madre in giovane età e questo dolore le fece conservare per tutta la vita una certa severità nel volto. Crebbe in un’atmosfera di pace e di amore educata alle virtù casalinghe  che era il miglior vanto delle fanciulle delle buone famiglie abruzzesi.

Erede di casato signorile, a soli 18 anni, il 3 maggio 1858, sposò nel 1858 Francesco Paolo Rapagnetta che, dopo esser stato adottato da Anna Lolli, sorella della madre Rita, aveva preso il cognome dal secondo, ricco marito della zia Anna, Antonio D’Annunzio. Venne ad abitare a Pescara nella casa di Corso Manthonè e acquistò ben presto le simpatie della suocera e fu amata da quanti avevano vincoli di amicizia e parentela con casa D’Annunzio poiché  era affabile con tutti. Francesco Paolo e Luisa  ebbero cinque figli: Anna, Gabriele, Elvira, Ernesta e Antonio. Madre tenerissima, vigile custode delle ragazze, alla cui educazione si dedicò col costante esempio, soleva manifestare la sua soddisfazione di madre quando nelle serate di festa, circondata dalle figlie giovinette, passeggiava per la città.

Fu confortatrice nei momenti difficili dei figli maschi. Tra questi Gabriele certamente fu il figlio che le dette maggior orgoglio, gioia e conforto di cui soffrì in modo particolare la lontananza. Vennero poi i giorni delle ristrettezze finanziarie e della tristezza, della vergogna e di fronte a questi tristi eventi lottò con animo forte.

Ma il più amaro calice le si presentò quando il fedifrago marito Francesco Paolo si trasferì nella casa di Madonna del Fuoco con un’amante a cui succedettero tante altre. Colpito da una malattia cardiaca che si manifestò in diversi episodi Francesco morì il 5 giugno 1893.

Donna Luisa Trascorse gli ultimi anni della sua esistenza, stanca e malata nella casa con Marietta Camerlengo, la sua fedele custode, rallegrata dalle nipotine Emilia e Nadina che le vivevano accanto. Ma il suo pensiero andava soprattutto al figlio lontano per questo ella leggeva ogni giorno la “Tribuna” e “ Il giornale d’Italia” ma solo con la speranza di trovarvi notizie del suo amatissimo Gabriele. Usciva raramente e solo d’estate su una vecchia carrozza che la portava fino alla riviera di Castellammare.

Ennio Flaiano così la descriveva: “Sul balcone esterno di destra, ho vista talvolta seduta, nei tardi pomeriggi, la madre del Poeta. Io ero un bambino, mia madre me la indicava. Guarda, Donna Luisa, dal volto nobile bianca e infelice per la lontananza del figlio”.

Le sue condizioni fisiche e psichiche peggiorarono nonostante l’assistenza del suo medico curante Luigi Luise e le attenzioni amorevoli della fedele Marietta. Dopo un penoso declino dovuto a un’arteriosclerosi acuita da ripetute ischemie cerebrali, si spense il 27 gennaio 1917. Il decesso fu comunicato al figlio da un messo del generale Cadorna e Gabriele, febbricitante partì immediatamente alla volta di Pescara e partecipò ai solenni funerali in divisa da capitano. La salma fu prima sepolta nel Cimitero di San Silvestro e poi nell’agosto del 1949 venne traslata nella Cattedrale di San Cetteo in un’Arca scolpita da Arrigo Minerbi.

Gabriele fu attaccatissimo alla madre verso la quale per tutta la vita ebbe una specie di culto. Meglio di qualsiasi descrizione  sono le pagine che Gabriele le dedicò. “Consolazione” nel 1891 contenuta nel Poema paradisiaco e nel 1903 “L’inno alla madre mortale” nella Laus vitae.

Gabriele fu attaccatissimo alla madre verso la quale per tutta la vita ebbe una specie di culto. Meglio di qualsiasi descrizione  sono le pagine che Gabriele le dedicò. “Consolazione” nel 1891 contenuta nel Poema paradisiaco e nel 1903 “L’inno alla madre mortale” nella Laus vitae.

La sua figura inoltre aleggia nelle pagine del Notturno e nel Libro segreto.  Ma anche dal frequentissimo carteggio  si evince  che  se Donna Luisa fu per il figlio la creatura che più colpiva la bontà del suo animo, ella fu anche la silenziosa ispiratrice della sua opera.



4 curiosità che non conosciamo su Gabriele d’Annunzio

 

1-L’espediente per incrementare le vendite

Nel suo primo componimento, Primo Vere, per incrementare le vendite si inventò un particolare espediente. Diede la notizia della sua morte a seguito di una caduta da cavallo. Solo in un secondo momento smentì la notizia. Un vero e proprio stratega!

2-Il lancio dei volantini

D’Annunzio, nonostante fu ferito gravemente all’occhio destro, nel 1918 compì uno dei suoi più iconici gesti. Lo scrittore attraversò Vienna con un aereo e lanciò più di 400.000 volantini per invitare i viennesi a placare le controversie e indurli alla resa. Il testo recitava così:

VIENNESI!

Imparate a conoscere gli italiani.
Noi voliamo su Vienna, potremmo lanciare bombe a tonnellate. Non vi lanciamo che un saluto a tre colori: i tre colori della libertà.
Noi italiani non facciamo la guerra ai bambini, ai vecchi, alle donne.
Noi facciamo la guerra al vostro governo nemico delle libertà nazionali, al vostro cieco testardo crudele governo che non sa darvi né pace né pane, e vi nutre d’odio e d’illusioni.

VIENNESI!

 Voi avete fama di essere intelligenti. Ma perché vi siete messi l’uniforme prussiana? Ormai, lo vedete, tutto il mondo s’è volto contro di voi.

Volete continuare la guerra? Continuatela, è il vostro suicidio. Che sperate? La vittoria decisiva promessavi dai generali prussiani? La loro vittoria decisiva è come il pane dell’Ucraina: si muore aspettandola.

POPOLO DI VIENNA, pensa ai tuoi casi. Svegliati!

VIVA LA LIBERTÀ!

VIVA L’ITALIA!

                                                 VIVA L’INTESA!

 

3-L’invenzione delle parole

Fu anche coniatore di lemmi. Un aspetto da ricordare perchè le usiamo ancora oggi nel linguaggio comune. A lui si attribuisce l’invenzione delle parole: scudetto, tramezzino, velivolo, automobile (al femminile), Vigili del Fuoco, fusoliera e probabilmente anche il termine Milite ignoto. A lui si devono anche il nome laRinascente, il primo negozio in Italia dove si vendono abiti preconfezionati, e SAIWA l’azienda produttrice di prodotti da forno a livello industriale; D’Annunzio era un assiduo consumatore di questi biscottini e suggerì di chiamare l’azienda Società Accomandita Industria Wafer e Affini, ovvero: SAIWA.


4-D’Annunzio testimonial pubblicitario

Essendo un personaggio famoso e data la sua popolarità, fu anche tra i primi “testimonial” pubblicitari e creatore di slogan o marchi, per lo più di prodotti gastronomici,soprattutto abruzzesi. Fu scelto da aziende come l’amaretto di Saronno e l’amaro Montenegro per promuovere i loro prodotti. Addirittura, il drammaturgo creò una linea di profumi, l’Acqua Nunzia. Nel 1920 l’industriale abruzzese Luigi D’Amico fece assaggiare per primo il “suo” parozzo, dolce tradizionale della regione da lui prodotto a livello industriale, al poeta pescarese che, estasiato, scrisse un madrigale in dialetto, “La Canzone del parrozzo”, il cui testo è tuttora presente nelle confezioni in vendita del dolce. Ai primi del Novecento il poeta suggerì il nome del liquore “Aurum”, a base di brandy e infuso di arance, tipico di Pescara, al fondatore della fabbrica Amedeo Pomilio.

La sua arte fu così determinante per la cultura di massa, che influenzò usi e costumi nell’Italia, e non solo, del suo tempo: un periodo che più tardi sarebbe stato definito, appunto, dannunzianesimo.