Gabriele D'Annunzio

Gabriele D'Annunzio, è stato uno scrittore, poeta, drammaturgo, militare, politico, giornalista e patriota italiano, simbolo del decadentismo, dal 1924 insignito del titolo di Principe di Montenevoso. Soprannominato "il Vate", cioè "poeta sacro, profeta", cantore dell'Italia umbertina, o anche L'immaginifico. 


Gabriele D’Annunzio è il padre del Decadentismo italiano. Esteta e superuomo, è uno dei poeti che più hanno segnato l'immaginario poetico italiano
Uno dei poeti e scrittori più importanti, famosi e amati della letteratura italiana, “il Vate” Gabriele D’Annunzio. La sua poetica verte intorno a due concetti: l’estetismo e il superomismo. L’estetismo è quella corrente di pensiero che si pone come obiettivo il raggiungimento e la celebrazione del Bello e delle opere d’arte, intese nella loro perfezione formale e stilistica. L’arte per D’annunzio è come la vita: non ci sono differenze tra ciò che l’artista vive e ciò che l’artista produce. L’estetismo culmina nell’attenzione al piacere, nell’edonismo, che si concretizza sia nella produzione e nel godimento del Bello e dell’Arte, sia nelle avventure erotiche. Inoltre la vita di Gabriele D’Annunzio è sempre stata caratterizzata da esperienze fuori dagli schemi, basti citare l’impresa della presa di Fiume: infatti il poeta abruzzese vuole vivere come un superuomo, diverso dagli altri uomini, contrario all’omologazione borghese e ai ragionamenti comuni.


il d'annunzio esoterico viene riportato qui: orbo veggente

Gabriele D’Annunzio, nato a Pescara il 12 marzo 1863, abruzzese verace e fortemente legato alla sua terra, sviluppò fin da subito un importante legame mistico-folkloristico con essa: legame che gli permise di interessarsi a qualsiasi sfaccettatura riguardante il mondo magico e occulto, rendendolo un uomo curioso nei confronti dell’ignoto e desideroso di scoprirne ogni più recondito segreto. Grazie alle sue doti di scrittura, cominciò a palesare questa passione attraverso le sue opere, come ad esempio l’editio picta dell’Isaotta Guttadauro, una raccolta di poesie edita nel 1886, velatamente macabra e ricca di illustrazioni esoteriche ed antropomorfe.

Questa sua innata peculiarità si acuì dopo la perdita della vista all’occhio destro, a causa di una ferita (non curata per un intero mese) riportata nel corso dell’atterraggio d’emergenza che D’Annunzio fu costretto ad eseguire il 16 gennaio 1916, durante l’incursione aerea su Trento: l’impossibilità di vedere il mondo reale attraverso l’occhio destro -che iniziò a tener coperto da una benda- gli permise, come lui stesso disse, di aprire il suo “Terzo Occhio” sul mondo imperscrutabile dell’occulto e del paranormale.

Da quel momento si auto cucì addosso l’appellativo di Orbo Veggente, immergendosi a capofitto in varie branche esoteriche, come ad esempio la necromanzia, la gemmologia e la numerologia. Proprio quest’ultima ebbe un ruolo fondamentale nella vita del Vate: difatti il Vittoriale, magnifico ed imponente complesso di edifici progettatato ed eretto grazie all’aiuto dell’architetto Giancarlo Maroni, presentava un fortissimo simbolismo numerologico: basti pensare alla stanza della meditazione, chiamata La Stanza del Lebbroso, progettata in modo tale da avere esattamente 7 lati (sette è il numero della creazione e rappresenta il tutto, un ciclo compiuto ed un equilibrio perfetto).

La camera presentava inoltre una forma singolare: era infatti una freccia, con la base rivolta verso levante e la punta diretta verso ponente; questo faceva sì che l’alba ed il tramonto fossero sempre ai rispettivi lati della freccia, simboleggiando la morte della materia (il crepuscolo al calare del sole), e la rinascita spirituale (il sorgere del sole). Per rafforzare ancora di più il simbolismo, D’Annunzio volle due letti in quella stanza: uno a forma di bara, ed uno a forma di culla, circondati da dipinti rappresentanti i quattro elementi: acqua, aria, terra e fuoco. Insomma, tutto fu studiato per rappresentare al meglio la totalità, ogni dettaglio doveva essere curato nei minimi particolari, senza tralasciare proprio nulla. Nessuno poteva disturbarlo durante le sue meditazioni, nè tantomeno si poteva avere accesso al misterioso armadio posto in quella stanza, armadio di cui solo D’Annunzio possedeva le chiavi.

L’Orbo Veggente iniziò così a circondarsi di amicizie inerenti il mondo del paranormale, come ad esempio medium, cartomanti e guaritori; le sedute spiritiche divennero parte intergrante della sua esistenza, pratica tra l’altro parecchio in voga alla fine dell’800, durante il quale si praticava la magia all’ordine del giorno, divenendo così quasi una moda comune, senza differenze di età e di ceti sociali. Nota è infatti la sua amicizia con Eusapia Palladino, celebre spiritista italiana che trovò la sua fortuna grazie alle presunte (e successivamente smascherate come false) doti di lievitazione e necromanzia. L’influenza del soprannaturale avvolse così totalmente D’Annunzio, il quale sostenne di aver avuto anche diverse apparizioni nel corso della sua vita, come quella di Eleonora Duse, una delle sue amanti più note, della sorella Anna ed in particolare quella di San Tommaso, un Santo molto venerato dal Vate e già menzionato proprio nel 1886 nella raccolta intitolata “San Pantaleone”.

Nonostante i suoi costanti studi nel campo dell’esoterismo più intricato, mantenne comunque sempre vivo il suo animo fortemente superstizioso, aspetto fortemente tipico del territorio abruzzese e delle antiche radici pagane che affondavano in esso: amava difatti circondarsi di amuleti e talismani che creava personalmente con svariati ed improbabili elementi, tra cui i peli pubici delle sue amanti. Si può tranquillamente dire che l’importanza per quanto concerne gli oggetti scaramantici continuò anche dopo il termine della sua vita terrena: infatti, egli espresse la volontà di farsi recidere un orecchio dopo la morte, affinchè venisse donato a Mussolini e conservato come portafortuna. Inutile dire che la macabra pratica fu impedita e creò un -neanche troppo- malcelato disturbo a quello che avrebbe dovuto essere il destinatario della “reliquia”.

Bice Valbonesi [La Metafonia]

 Bice Valbonesi risulta essere stata la prima medium ad utilizzare la metafonia (al tempo psicofonia) come transcomunicazione strumentale. Le sue sedute erano ultrafaniche, ovvero che trascendevano l’esperienza sensibile, un altro termine che all’epoca veniva usato per questo tipo di “apporti audio”.

Bice, diminutivo di Beatrice era nata attorno al 1890 (la data esatta al momento non sono riuscito a reperirla) in una frazione di Castrocaro Terme a dieci chilometri da Forlì, chiamata Terra del Sole.
Non ebbe una grande istruzione, nonostante la famiglia non avesse problemi economici, ma a quei tempi avere il diploma di scuola elementare era già una buona base per non essere analfabeti.
Rimase orfana molto presto e appena adolescente fu promessa sposa al suo stesso tutore. Fra un matrimonio turbolento ad un certo punto finito e tre figli da crescere, Bice riusciva a guadagnarsi da vivere con lavori di cucito, come il ricamo, e talvolta vendendo qualche suo dipinto.

L’incontro con D’Annunzio

Gabriele D’Annunzio

Bice Valbonesi divenne così popolare che persino Gabriele D’Annunzio (1863-1938) e Benito Mussolini (1883-1945) ne furono incuriositi. Infatti in un interessante libro di Attilio Mazza (1935-2015) dal titolo “D’Annunzio e l’Occulto”, si racconta che già nel 1924, la “messaggera dello spirito occulto”, così lo stesso D’Annunzio descrisse la Valbonesi, fu invitata al Vittoriale a Gardone Riviera sul lago di Garda, in provincia di Brescia. Vi consiglio di visitarlo se passate da quelle parti, merita davvero!
Fu la stampa dell’epoca che in un articolo apostrofò Bice Valbonesi come ultrafana e non iperfisica, descrivendola come una medium di alta intellettualità. In quei giorni trascorsi al Vittoriale, Bice Valbonesi pare abbia ricevuto la voce di poeti e filosofi. D’Annunzio era molto colpito dalla donna che definì “colei che vede e che ode”.“il Maestro”. D’Annunzio ne fu talmente colpito che scrisse una lettera persino a Mussolini in cui spiegava che suo figlio era intossicato da una (usò proprio questi termini) perfida e impudentissima femmina e che era vittima di un lento assassinio. Il riferimento era a Maria Canevari, della quale, il figlio di D’Annunzio, Gabriellino, ne era profondamente innamorato.