lunedì 21 settembre 2020

"I Pastori" (1903)

 Settembre, andiamo. è tempo di migrare.

Ora in terra d'Abruzzi i miei pastori
lascian gli stazzi (1) e vanno verso il mare:
scendono all'Adriatico selvaggio (2)
che verde è come i pascoli dei monti.

Han bevuto profondamente (3) ai fonti
alpestri, che (4), sapor d'acqua natia
rimanga ne' cuori esuli (5) a conforto,
che lungo (6) illuda la lor sete in via. (7)
Rinnovato hanno verga d'avellano. (8)

E vanno pel tratturo (9) antico al piano,
quasi per un erbal fiume silente, (10)
su le vestigia (11) degli antichi padri.
O voce di colui che primamente (12)
conosce il tremolar della marina! (13)

Ora lungh'esso (14) il litoral cammina
la greggia (15). Senza mutamento (16) è l'aria.
Il sole imbionda sì la viva (17) lana
che quasi dalla sabbia non divaria (18).
Isciacquio, calpestìo, dolci romori.

Ah perché non son io co' miei pastori?


1) I recinti all'aperto sui monti, dove i pastori radunano il gregge per la notte.
2) "Selvaggio" perché l'Adriatico è un mare che diventa spesso tempestoso; inoltre "selvaggio" è un epiteto consueto in d'Annunzio e in Carducci perchè le spiagge dell'Adriatico appaiono inospitali o solitarie.
3) Con lunga voluttà.
4) Affinché
5) Perché i pastori lasciano l'Abruzzo per andare in Puglia.
6) "A lungo"
7) "Non faccia sentir loro la sete, né quella materiale, né quella del cuore in esilio".
8) Il bastone di nocciolo con cui i pastori guidano il gregge.
9) I tratturi sono vie larghe e verdeggianti, che discendono le alture conducendo ai piani le migrazioni delle greggi. Il tratturo è definito "antico" perché esiste fin dai tempi delle più remote migrazioni.
10) "Erbal" è un aggettivo che compare anche in altre Poesie di d'Annunzio. Qui sta a significare: "lungo un silenzioso fiume di erbe".
11) Orme.
12) Per primo.
13) Scorge il mare. è una reminiscenza di Dante: "di lontano/conobbe il tremolar de la marina".
14) Lungo.
15) è citato anche nel "Il fuoco".
16) Calma e dolce, senza niente che la turbi. è una reminiscenza di Dante: "Un'aura dolce, senza mutamento". L'espressione ricorre anche in altre Poesie di d'Annunzio.
17) Perchè non è ancora stata tosata e riveste animali vivi.
18) Non differisce.



martedì 8 settembre 2020

Solus ad solam (1939)

 Primo epistolario pubblicato dopo la morte di D'Annunzio, raccoglie le lettere scritte dal poeta con la contessa Giuseppina Mancini, conosciuta nel 190, e amata nel 1907-1908; la donna era sposata, continuamente combattuta tra il desiderio d'amore, il senso di colpa, la malattia nervosa che la attanagliava. Le lettere furono utilizzate da D'Annunzio anche per il romanzo Forse che sì, forse che no (1910), nel volume sono raccolte in modo da rielaborare una "cronaca della disperazione", con parti che riguardano anche le diagnosi mediche per la nevrosi della contessa Giuseppina.

I volumi sono 4, contengono le corrispondenze dall'8 settembre al 5 ottobre 1908, in origine D'Annunzio voleva pubblicare il volume, scrivendo all'editore Treves. Nel 1913 D'Annunzio mostrò l'opera a Luigi Albertini direttore del "Corriere della Sera", ma non fu pubblicato perché mancava delle correzioni; nel 1915 il poeta lo dette a un tal Giusini, sicché l'autografo sparì, e riapparve nel 1939, un anno dopo la morte del Vate.



Teneo te, Africa - La favola del sordomuto (1936)

 L'ultima prosa vera di D'Annunzio, dopo il Libro segreto, raccoglie gli scritti del poeta durante la spedizione italiana in Etiopia, cominciato dal messaggio in francese "Ai buoni Cavalieri di Francia e d'Italia", proseguito poi nel 1932 con la "Confessione dell'ingrato" (edizione 1932) e del "Sudore di sangue" in rinfaccio all'ingiustizia della "sorella latina" (la Francia) verso l'Italia. Nel libro appare l'Ode per la Resurrezione latina del 1914, compresa nel volume "Merope - Canti della guerra latina"; la prosa oratoria dannunziana si rinnova di ebbrezza lirica, si affaccia il rammarico del poeta di non poter combattere per la turpe vecchiaia.

L'altra operetta scritta in francese falso antico: Le dit su sord et muet qui fuit miraculé en l'an de grâce 1266, fu redatta dopo l'orazione "Ai buoni Cavalieri latini di Francia e d'Italia", raccolta nel volume Teno te Africa. L'opera sembra essere un plateale vanto del poeta di aver studiato filologia romanza negli anni universitari a Roma, la finzione erudita di esser egli stati in Francia con Brunetto Latini, e di sordomuto, di aver acquistato la favella francese, vedendo piangere il re Luigi nella Cappella Sacra. Da questo presupposto, parte la serie di avventure di questo giovane sordomuto miracolato con il riacquisto delle sue facoltà, nell'anno del Signore 1266, diviene guerriero di Guglielmo d'Orange, poi cavaliere errante e d'amore; pare che D'Annunzio volle riprendere in parte uno stile falsamente antico, come nella Vita di Cola Di Rienzo.



episolari e orazioni

 Orazione per la Sagra dei Mille, in "Corriere della Sera", 6 maggio 1915. (ma 5 maggio 1915): sopra lo scoglio di Quarto dei Mille a Genova, D'Annunzio pronunciò l'orazione per la celebrazione del Monumento a Garibaldi e alla spedizione dei Mille, in occasione della celebrazione di 50 anni della spedizione.Carta del Carnaro. Disegno di un nuovo ordinamento dello Stato libero di Fiume, 8 settembre 1920. La carta ribadiva l'italianità di Fiume, e prevedeva la nascita di uno Stato rivoluzionario e corporativo, racchiudeva la visione politica e poetica del Vate e fu elaborata concettualmente anche dal sindacalista Alceste De Ambris, la Carta doveva instaurare un nuovo ordine fondato sul lavoro, la tutela dei diritti individuali, la giustizia sociale, la prosperità e l'idea di bellezza tipici della sua poetica.La Reggenza italiana del Carnaro ribadiva geograficamente le tesi nazionalistiche, riferendosi non solo al territorio di Fiume, e alle isole di antica tradizione veneta, ma anche (art. II) "a tutte quelle comunità affini che per atto sincero di adesione possano esservi accolte secondo lo spirito di un'apposita legge prudenziale". Lo Statuto dedicava gran parte dei suoi articoli all'idea di Stato, e all'organizzazione politica ed economica (art. XVIII), i cittadini della Reggenza otteneva tutti i diritti civili e politici al compimento del 20simo anno d'età, divenendo senza distinzione di sesso elettori ed eleggibili in tutte le cariche (art. XVI), il potere legislativo spettava a tre camere con competenze diverse, il Consiglio degli Ottimi, non meno di 30 membri in carica per 3 anni, che si radunavano a ottobre di ogni anno, il Consiglio dei Provvisori, 60 membri in carica per 2 anni, eletti dalle corporazioni, che si radunavano 2 volte l'anno, e infine il Consiglio Nazionale detto "Arengo del Canraro".



La Pisanella (1913)

 Commedia in versi francesi in 3 atti, rappresentata a Parigi da Ida Rubinstein, con i commenti musicali di Ildebrando Pizzetti, tradotta da Ettore Janni nel 1935, col titolo La Pisanella, o il giuoco della rosa e della morte. Il prologo narra del re Ughetto di Cipro, che si innamora di una meretrice pisana contesa con dei predoni pirati, Ughetto riconosce in lei la "Santa d'Oltremare" predettagli dal canto di una Mandica, come immagine sacrale della Povertà, e la vuole avere come moglie. Combatte con suo zio uccidendolo, e trascorre con le una vita serena sicché la Regina Madre, dingendo di accoglierla come figlia, la inganna e l'uccide.

L'opera sembra risentire degli influssi del Sogno d'un tramonto d'autunno e de La Nave, per la rappresentazione della matrona di corte pronta a ordire gli inganni contro la rivale, e per la giustificazione sfacciata della lussuria e la sete di gloria del protagonista. Il protagonista Ughetto somiglia al giovane re imberbe del Laus vitae - Maia (1903), dal sapore di favola, il sonno incantato riprende quello di Aligi nella Figlia di Iorio; la Pisanella appare ora come meretrice e superfemmina (atto I), ora come figura angelica e beata (atto II), fiduciosa e ingenua verso la Regina Madre. C'è una decisiva attenuazione del tema erotico ferino delle altre protagoniste delle tragedie dannunziane, il poeta si lascia accompagnare dal ritmo della danza, dove il senso delle parole non riesce a sfondare la quarta parete.

Benché D'Annunzio l'avesse indicata come commedia, l'opera appare più una tragedia lirica, fu pubblicata a teatro con il sottotiolo "La rosa di Cipro" nel 1912, e unita nel 1934 al volume dell'Allegoria d'Autunno.





La Parisina (1913)

 Fu una tragedia composta per la rappresentazione lirica al teatro, su testo di D'Annunzio e musica di Romani. La storia originale narra di Niccolò III d'Este, duca di Ferrara, rimasto vedovo della prima moglie, che si sposa in seconde nozze con Parisina Malatesta, appartenente alla famiglia dei signori di Romagna; ma Parisina si innamorò poi di uno dei vari figli illegittimi di Niccolò: Ufo d'Este, Ugo era figlio di Stella de' Tolomei, unica amante pare manata con vera passione da Niccolò III. Il duca d'Este scoprì la relazione incestuosa del figlio bastardo con la Parisina mediante un'apertura nella boyola della biblioteca del palazzo di Ferrara, e li assassinò decapitandoli.

D'Annunzio concepì questa tragedia come secondo capitolo del "Trittico dei Malatesta", dopo la Francesca da Rimini con la musica di Zandonai, la terza tragedia dal titolo "Sigismondo", non fu mai composta per le vicende belliche della prima guerra mondiale. Nell'opera musicata da Pietro Mascagni, D'Annunzio dà più importanza al personaggio di Stella, madre di Ugo, aggiungendo qualcosa in più duinque alle altre riduzioni teatrali della vicenda, scritte da Byron, musicati da Donizetti e da Keurvels; la Stella dannunziana è una donna malvagia che aizza Ugo a odiare Parisina, responsabile del suo allontanamento da corte per volere di Niccolò III; la presenza di Stella servirebbe così a non far scadere la vicenda nel solito triangolo amoroso. Nel momento della condanna a morte di Ugo, dopo che è stato scoperto in adulterio dal padre, D'Annunzio inserisce una nuova scena, Stella che tenta di riabbracciare il figlio in prigione, mentre Parisina le accorda il perdono per le maledizioni che la legittima consorte d'Este le aveva lanciato.



Il martirio di San Sebastiano (Le martyre de Saint Sébastien) (1911)

 Scritta in versi francesi nel periodo di esilio a Parigi, rappresnetata nel 1911 da Ida Rubinstein con le musiche di Claude Debussy e pubblicata nello stesso anno, fu tradotta in italiano da Ettore Janni. Anche quest'opera come la Crociata si presenta come un "mistero" in cinque "mansioni" con un prologo preghiera.

Sotto un'atmosfera di misticismo, d'Annunzio ripercorre la vita di San Sebastiano. Il santo è un giovane soldato della scorta di Diocleziano imperatore, che decide di salvare due ragazzi dalla morte, condannati perché scoperti cristiani. Diocleziano tenta di corrompere Sebastiano con il gozzoviglio e i piaceri, offrendogli anche sua figlia in sposa, il soldato, che nel frattempo ha avuto varie visioni paradisiache e si è completamente convertito al cristianesimo, risulta schifato e offeso dalle lusinghe dell'imperatore corrotto, e dunque viene condannato ad essere ucciso con delle frecce.

In termini teatrali, l'opera lascia cadere le aspirazioni di una coerenza narrativa e drammatica, riconoscibili anche nella Fedra, tutto è decorazione della vicenda che si svolge, l'uso erudito della parola e della descrizione dei particolari sembra attingere al gusto ellenistico dei poeti alessandrini, alla cura del particolare, alla ricerca dell'elemento meno noto al grande pubblico, alla cristallizzazione dell'arte in sé; il descrittivismo e la sensualità della parola si aiutano con la danza e la musica di Debussy, affinché la tragedia arrivi alla conclusione.