Non si può dire che Gabriele D’Annunzio abbia creduto che l’amore potesse racchiudersi e declinare con una sola donna.
Nel “Libro segreto”, opera scritta prima di morire, il Vate, recisamente, asseriva:
“La fedeltà ha il suono scenico delle false catene, chi mostra di trascinarle ben sa come siano più lubriche di quelle pastoie che illasciviscono certe danze malesi. Alludo agli amanti fedeli: genia inesistente, non v’è coppia fedele per amore. Io sono infedele per amore, anzi per arte d’amore quando amo a morte”.
In realtà sono tanti gli amori di Gabriele D’Annunzio, ma, contrariamente a quanto si creda nell’immaginario collettivo, quello che ha lasciato il segno nel poeta abruzzese non è stata la relazione con l’attrice Eleonora Duse, bensì quella con Barbara Leoni. Tale asserzione è suggerita dal fatto che proprio durante il tempo di cinque anni dell’intesa con la bella romana sono venute alla luce le opere più famose di Gabriele D’Annunzio: il Piacere, il Trionfo della morte, L’Innocente, Le Elegie Romane. E’ ben noto tra l’altro che Barbara Leoni non volle restituire le lettere che Gabriele D’Annunzio le scriveva (se ne contano più di 1000): sta di fatto che quelle pervenute si ritrovano disseminate nel “Trionfo della morte”, sino ad identificare la protagonista Ippolita Sanzio, proprio con Barbarella, come amava chiamare il Vate la Leoni.
Fu Mauro Guabello che diede notizia dell’esistenza di un vasto carteggio tra Gabriele D’Annunzio ed un suo “grande amore”.
Prima che venisse edito il “Libro segreto” (1935) Guabello aveva acquistato il carteggio da tal Salviati, che aveva vissuto negli ultimi anni con Barbara Leoni.
Sia come sia- scrive un grande studioso di Gabriele D’Annunzio Federico Roncoroni– l’effetto congiunto della pubblicazione del passo del “Libro segreto” e della prima notizia di Guabello fu l’inizio della fortuna di Barbarella. Tutti che a mano a mano la conoscevano si innamoravano di lei. Succedeva, per un fenomeno che ovviamente è più umano e sentimentale che critico: tutta la simpatia dello studioso, come quella del curioso di cose dannunziane, va a lei, a Barbara, alla bella romana, più ad ogni altra delle numerose donne dannunziane, tutte per qualche verso poco simpatiche e poco umane”( Lettere d’amore a Barbara Leoni Corriere della sera-Introduzione a cura di Federico Roncaroni).
L’incontro con Elvira Natalia Fraternali, maritata Leoni che Gabriele D’Annunzio chiamerà Barbara, Barbarella, Ippolita, Miranda, Jessica e Gorgona, avvenne il 2 aprile 1887 a Roma in via Margutta al Circolo Artistico, durante un concerto di musica classica., in un periodo molto triste per il poeta, con la vena poco feconda.
Scrive Piero Chiara: “L’incontro fu folgorante: si misero in moto i meccanismi ispirativi del poeta che sembrava aver bisogno di una forte eccitazione amorosa, per accogliere e sviluppare i nuovi temi narrativi e le nuove forme poetiche che si dispiegarono poi nel romanzo Trionfo della morte e nelle Elegie romane, destinate a segnare il suo felice ritorno alla poesia.
Le trasfigurazioni romanzesche del Piacere e del Trionfo della morte, provano l’importanza non soltanto sentimentale di questo amore, che i biografi ritengono il più importante del poeta. Barbarella era, certo anche a guardarne oggi l’immagine, bella e provocante all’eccesso.
Dotata di viva sensibilità poetica e di una piacevole vena di follia, si prestò ai giochi erotici del suo amante, rievocati nelle lettere che si scambiarono. In un clima pregno di sesso e di prezioso intellettualismo Gabriel (come si faceva chiamare) si sente un super maschio o almeno si dipinge come tale, ma sarà Barbara, sua ispiratrice e musa, a fargli sentire i primi sussulti del superuomo che sta nascendo in lui (Piero Chiara Vita di Gabriele D’Annunzio- Oscar Mondadori capitolo VII pagine 57 e 58).
La relazione fra i due amanti ha come scenario non solo Roma, ma anche Venezia, Napoli, dove il poeta soggiornò per due anni.
Le lettere sono bellissime e dimostrano un poeta già maturo, almeno per la ricerca del sentimento, la sua descrizione; sono profondamente originali anche nella stessa struttura lessicale, giammai ripetitiva. I critici sostengono che molti passaggi sino stati poi trasfusi nelle opere che hanno fatto grande il D’Annunzio.
Così scrive Giordano Bruni Guerri: ”Le tracce di Barbara nella produzione letteraria di Gabriele d’Annunzio dimostrano che fu una passione trascinante ed ispiratrice quant’altre mai prima. Dal Trionfo della morte alle Elegie Romane fino al Libro Segreto, Barbara è sempre presente o protagonista. Nel Trionfo della morte vengono inseriti interi brani del loro ricchissimo epistolario….aveva nei modi una vena eccentrica di poesia, che un talento brillante sapeva enfatizzare e rendere seducente. Aveva studiato al Conservatorio di Milano ed era una brava pianista: tutte doti che insieme ad un innato intuito femminile, la rendevano preda e cacciatrice ideale di Gabriele D’Annunzio, che amava la musica, di un amore pieno e mai tradito.
Gabriele D’Annunzio se ne invaghì al punto da non fare nulla per celare la relazione a sua moglie Maria, oramai rassegnata. Si incontravano tutti i giorni, ora nello studio del pittore Guido Boggiani, ora negli eleganti appartamenti di Francesco Paolo Tosti, in via dei Prefetti, prima di trovare danaro per una garconierre.
Ha tre mesi più di lui ed alle spalle un matrimonio fallito con Ercole Leoni, un conte bolognese impegnato in ditte commerciali, che di tanto in tanto si fa vedere per reclamare i diritti coniugali. Le uniche tracce della sua presenza sono quelle lasciate sulla pelle della donna dai rapporti sessuali.” Risparmiami la vista delle tue lividure. Io non so pensarci senza raccapriccio”, le scrive Gabriele D’Annunzio.
Il Vate si sente innamorato, condizione che a dargli credito vive con ogni donna. Eppure stavolta sembra crederci anche lui. E’ incantato dal suo pallore e dalla sua magrezza, che la fanno sembrare sempre convalescente…Gli occhi, le ciglia, la bocca- dove si concentrano le attenzioni del D’Annunzio-le conferiscono un’aria provocante. In più è capace, all’occasione, di diventare un’interprete fedele delle trasgressioni erotiche suggerite dall’amante.
Gabriele D’Annunzio viene sollecitato nelle sue fantasie da un pettegolezzo molto diffuso sulla malattia sessuale che il marito le avrebbe trasmesso, rendendola sterile e con un’aria esangue. Una predilezione morbosa per le egritudini che avrà anche verso altre donne.
(Giordano Bruno Guerri, Oscar Mondadori, D’Annunzio L’amante Guerriero passim da pagina 59-65).
Roma Lunedì notte 8/9 agosto 1887
“È notte alta. Io sono solo in questa stanza: il palazzo Barberini è illuminato misteriosamente dalla luna che nasce; il mio letto, la’ in fondo, è tutto bianco, così largo che potrebbe accogliere anche il tuo corpo….Se tu venissi! Io ti dicevo che il desiderio del tuo corpo si fa in me ogni giorno più ardente e più torturante. Le immagini del piacere mi incalzano da tutte le parti. E’ una febbre. Se bene io stia stanco e triste, al sol pensiero che io potrei possederti e stringerti ignuda come una volta, sento un brivido profondo corrermi nelle vene ed una strana vitalità d’amore corrermi nei muscoli ed agitarmi. E’ una notte tentatrice. La mia stessa languidezza mi fa più voluttuoso ed il desiderio di dimenticare il dolore e la miseria reale mi fa avido di piaceri sensuali…..
La fontana del giardino Barberini canta più dolce di un usignolo in un bosco di rose all’alba prima. Tu dove sei? Non senti l’immensa angoscia che mi opprime? Non senti il mio desiderio che attraversa gli spazi infiniti e viene a cercarti ed infiammarti l’anima nel sonno? Come ti amo Barbara! E come questo mio dolore è al di sopra delle forze umane!
Sento una specie di soffocazione. Mi pare quasi che io non debba giungere all’alba.
Aiutami! Aiutami tu!
Pescara 11 luglio 1888.
“Ieri sera tornando da Francavilla trovai la tua lettera, grazie. Ogni parola mi bruciava l’anima. Uscii, dopo e camminai lungo il mare, per molto tempo. Non mai, io penso, l’anima di un uomo ha cercato con maggior furia di passione, d’ardore e di desiderio un’altra anima. La notte, il mare infinito, tutto il mondo degli astri e del silenzio mi pareva angusto a contenere quella terribile espansione d’amore umano.
Le stelle scintillavano di un fulgore singolare. E le acque si muovevano a pena, con dolcezza. Dove eri?
Che pensavi? I ricordi non ti soffocano? Addio amami. Io ti amo; mi sento così male che non reggo più; io darei, per averti, il miglior sangue del mio cuore”.
Francavilla al Mare, Venerdì 13 luglio 1888.
“Sono a Francavilla, ieri, nel pomeriggio arrivarono finalmente le casse! Nella prima cassa grande, in quella dei tappeti, la cosa che apparve innanzi a tutto fu il “cuscino delle carezze”, il cuscino sbiadito, senza oro, che ha sostenuto il tuo capo nelle più ardenti, nelle più folli, nelle più indimenticabili ore della voluttà. Mi tremavano le mani quando lo presi. E vi affondai la faccia, con una bramosia immensa, come per cercarvi qualche cosa di te, qualche cosa della tua bellezza, qualche cosa del piacere che tu mi davi….
Passerò tutto il giorno con le belle cose che tu hai amate e affatate. Sentirai oggi, certo, più violento il mio desiderio ed il mio pensiero”.
Pescara-Martedì 11 febbraio 1890 ore 5 pomeriggio.
…”Ora nevica, con un gran vento, a turbini….Tu hai l’anima vasta e scintillante, come un firmamento; io so che tu sei la più nobile delle creature, la più coraggiosa, la più generosa, la più forte, la più soave.
Quando io ti bacio le dita, sento che la parte migliore di me ti si presta con entusiasmo e con reverenza. Io non posso baciarti le mani (forse tu lo sai) senza sentirmi inumidire gli occhi. Un grande sentimento di ammirazione e di adorazione si impadronisce di me, quando penso all’anima straordinaria che si chiude nel tuo corpo voluttuoso. Perciò le voluttà che io prendo da te hanno un sapore profondo, una ripercussione spirituale…
Nessuna cosa bassa può entrare nel nostro amore. La tua fiamma accende e divinizza tutti i desideri.
Tu sei l’Amante unica, l’Amante eterna, quella che tiene in signoria un’anima per tutta la vita. Per tutta la vita io ti amerò, ti adorerò…..
Pensa a questo, quando ti assale il disgusto delle vili cose umane….
Io (ascolta) darei tutti i tesori per essere il tuo tesoro….
Il tuo solo alito(intendi?) è bastato a ristorarmi. In tutti i peggiori supplizi, quando lo spirito agonizzava, una voce alta squillante mi diceva:” ella ti bacerà; ella ti serba i suoi più dolci baci, le sue carezze più care. Attendi!”. E un brivido mi correva le vene, al presentimento degli oblii divini”.
Roma 4.08.1890
“….Mi hanno riarso le fiamme più atroci della passione, con una violenza non mai sofferta. Ho sentito la mia ragione perdersi e la mia conoscenza ed il mio sangue oscurarsi a poco a poco. Ho singhiozzato, ho gridato; ho soffocato gli scoppi del mio dolore sul guanciale dove tu appoggiavi la testa, languendo di passione, pallida di voluttà e di tristezza. Mi sono inginocchiato dinanzi al divano, dove tu rimanevi taciturna accarezzandomi la fronte pensierosa….
Sono rimasto lunghe ore chiuso in questa stanza, senza uscirne mai, senza vedere nessuno mai, esaltandomi nella solitudine, provando improvvisi bisogni di fuggire all’aperto, eppure tenuto qui da un fascino ineluttabile.
Oh, se potessi raccontarti tutto!
Immagina- stare qui, respirare qui, in questa stanza, dove tu portavi, apparendo, tutti i raggi e tutti i profumi; stare qui solo, solo innanzi al letto, dove ti ho posseduta mille volte, con un godimento sempre più intenso; rivedere, rivedere con gli occhi dell’anima tutti i tuoi gesti, tutte le tue attitudini, tutti gli incanti della tua bellezza; sentirsi soffocare, ad ogni ricordo evocato e non poter far altro che mordere il guanciale freddo e bagnarlo di lacrime disperate….
Quando entrava nella mia casa la giovane donna, l’Adorata, quella che il mio cuore ha scelto per tutta la vita che erano allora le tristezze? La sua presenza era il grande aroma ristoratore. La mia anima beveva da lei tutte le ebrezze e tutti gli oblii. Il suono del suo passo metteva nelle intime vene un fremito di delizia infinito.
Quando ella usciva la mia anima la seguiva come un’ombra indivisibile.
Quando ella tremava, sotto la mia carezza leggera, io sentivo tutto il mio essere fondersi nel suo, struggersi in una morte ineffabile.
Ella mi rivelava, in un bacio, mondi sconosciuti.
Sotto la sua mano si risvegliavano fibre misteriose… quando entrava alta, pallida, velata entrava il mio sogno, il fiore dell’anima, il mio miracolo d’amore”.
Faenza 6 settembre 1890
“……Tutta la tua pelle è un velluto odorante; ciascuno dei tuoi pori diventa quasi una piccola bocca che rende i baci; ogni tuo moto suscita un’onda di voluttà smisurata; e dai tuoi occhi, di sotto alle pupille un po’ gravi, fluisce non so quale carezza, immateriale, continua, inesauribile, dove l’anima mia si annega e si smarrisce e mille volte crede di morire”. Quando sei così……
Napoli,13 settembre 1891
“…..Muoio a poco a poco di accoramento. E non ho la forza né di allontanarmi, ne’ di cercare un oblio. Sento il tempo fuggire e la vita scorrere ed il mio tedio ed il mio dolore farsi più profondi ad ogni ora e te lontana lontana….
Dammi notizie della tua salute…. di tutto quello che mi piace del tuo corpo. E adorami.
E’ una sera calda, tutta chiara, mollissima. Davanti al mio balcone spalancato il Vesuvio fumiga, così da presso che quasi mi sembra tangibile. Napoli e Portici e Resina e tutti i villaggi sono rosei su un mare pallidissimo, dove corrono i battelli a sciami. Un grande sogno di piacere scende insieme col crepuscolo. Ti giuro sull’anima mia, Barbarella, che per averti consentirei a morir domani”.
Nel suo soggiorno napoletano Gabriele D’Annunzio conobbe molte donne, tra le quali primeggiava la principessa siciliana Maria Gravina Cruyllas. La descrivono i biografi come alta, slanciata, di rara eleganza e sposata con il conte Anguissola, con il quale aveva avuto due figli. Vistosissima, anche a causa di una ciocca di capelli rossi tra la sua chioma nera, era corteggiatissima, anche dal futuro Vittorio Emanuele III.
Bellissima e slanciata aveva preso nel cuore del poeta il posto di Barbarella: quest’ultima non fu consolata neppure dal fatto che il Vate le avrebbe promesso di portare con sé un feticcio pruriginoso, una ciocca di pelo pubico da custodire in una specie di reliquario e da ammirare come un talismano nei momenti di abbandono e di accoramento.
Ebbe il più grave smacco non solo scoprendo la relazione con la nuova arrivata,ma per il fatto che il 10 aprile 1892, a cinque dalla sua relazione iniziata, il 2 aprile 1887( era scesa a Napoli per festeggiare) usci la prima copia dell’Innocente in volume con dedica del D’Annunzio: ”alla contessa Maria Anguissola-Gravina Cruyllas di Rammacca-questo libro è dedicato”.
Con la Gravina Gabriele D’Annunzio andò a vivere in un paese limitrofo a Napoli Ottaviano, in un castello messo a sua disposizione dalla famiglia Cola. Dalla relazione ebbe anche un figlio; il marito della contessa, il conte Anguissola sporse querela per adulterio.
Drammatiche furono le ultime lettere con Barbara Leoni: si ricorda soprattutto quella nella quale il Poeta le reclamava tutte, intese come le sue reliquie sante :”non indugiare ti prego! Io sono risoluto a tutto, per riavere le reliquie sante: -anche a farmi uccidere (Napoli 10 dicembre 1891).
La Leoni non restituì le lettere del suo grande amore: furono vendute. Visse gli ultimi anni ospite di suore del Preziosissimo sangue, annesse al Conservatorio di Sant’Eufemia. Mori il 7 aprile 1949 ad ottantasei anni.
Oggi, dopo che fu evitato che i suoi resti andassero nell’ossario comune, riposa al numero 89, seconda fila, campo 69 nel cimitero del Verano, ricordata da una piccola lapide.