«...Quella catena di promontori e di golfi lunati dava l'immagine d'un proseguimento di offerte, poiché ciascun seno recava un tesoro cereale. Le ginestre spandevano per tutta la costa un manto aureo. Da ogni cespo saliva una nube densa di effluvio, come da un turibolo. L'aria respirata deliziava come un sorso d'elisir.» |
(Gabriele d'Annunzio, da Il trionfo della morte, descrizione della Costa dei Trabocchi) |
Il terzo libro della trilogia è di grande importanza, in quanto mostra l'avvicinamento dannunziano al filosofo Friedrich Nietzsche, e al tema del "superomismo", di cui d'Annunzio creerà una creatura "superomista" del tutto legata al carattere letterario e al decadentismo, ovviamente. Fu avviato nel 1889 dopo "Il piacere", col titolo provvisorio "L'invincibile", e pubblicato a parti sul giornale, poi interrotto. D'Annunzio dovette rielaborare le sue esperienze passate a San Vito Chietino (Abruzzo) sulla costa dei Trabocchi con l'amante Barbara Leoni, e soprattutto dovette leggere lo Zarathustra di Nietzsche per poter tornare a riprendere l'opera con più ardore, sino al completamento.
La vicenda è ambientata brevemente a Roma, durante una scena di suicidio, poi definitivamente in Abruzzo, inizialmente presso Guardiagrele (CH). Nel borgo montano giunge il nobile Giorgio Aurispa, qui lui ha le sue origini nobili, come dichiara descrivendo la lapide monumentale del duomo di Santa Maria Maggiore con gli altri stemmi nobiliari (anche se in realtà è una invenzione dannunziana). Aurispa è messo in crisi dalla visione della morte. La sua ricca famiglia è in decadenza, perché suo padre sta sperperando gli ultimi averi con prostitute, e il resto della famiglia vive in miseria. L'unica persona a cui Giorgio è affezionato è lo zio Demetrio, che però muore suicida, altro segnale cupo dell'incombenza della morte sul destino di Giorgio.
Giorgio, esasperato dalla dura vita di paese, e dalla orripilante presenza di superstizione di streghe e di malocchi, fugge a San Vito Chietino, al mare, affittando una villetta sul litorale dei cosiddetti "trabocchi", ossia macchine da pesca in legno assai popolari. Giorgio contatta anche la sua amata Ippolita Sanzio, pregandola di consolarlo venendo da Roma. Mentre Giorgio si tuffa nella lettura dello Zarathustra di Nietzsche, scoprendo un mondo nuovo, l'estetismo che in un certo senso aveva fallito nel tentativo di affermazione dei personaggi dannunziani sino ad allora, adesso con la filosofia del superomismo ha una uova forza vitale per affermarsi nella società dei miseri borghesi. Ippolita lo raggiunge si affascina alle superstizioni abruzzesi riguardo alla stregoneria e al malocchio, vedendo la morte di un bambino per affogamento e quella di un infante, che si dice essere stato risucchiato nell'anima da una maga.
Giorgio è disgustato, e sente la morte sempre più vicina,spera di redimersi dalla "maledizione della morte" andando in pellegrinaggio nella vicina Casalbordino, al santuario della Madonna dei Miracoli, ma vede soltanto uno spettacolo raccapricciante di infermi e moribondi che chiedono invano grazia alla Vergine. Altro riferimento a un'esperienza realmente vissuta dal D'Annunzio andando a Casalbordino.
Sconsolato, dato che la sua compagna di viaggio e di esperienze ora, con il fascino per la rozzezza delle superstizioni e dunque per il "tradimento" contro i suoi ideali da parte dell'amante Ippolita, Giorgio decide il suicidio con la fidanzata.
I temi del romanzo, oltre a confermare l'autorità del superuomo dannunziano esteta e poeta, mostrano anche l'aspetto debole di questa figura: un uomo acculturato che però vive in una società corrotta e dissoluta, ossia la borghesia italiana emergente, e la massificazione sociale con la costruzione delle fabbriche. La cosiddetta "fiumana del progresso" verghiana. L'esteta non può far altro che reagire con l'isolamento in un luogo sicuro, stando a contatto con la natura. Nel caso però del Trionfo della morte, Giorgio incontra la plebe orrorifica e gli aspetti "soprannaturali" delle leggende abruzzesi, che lo sconfiggono. Complice della sconfitta è la stessa amante del protagonista, che rimane attratta da tali pratiche superstiziose. Il libro è tratto da un fatto veramente vissuto dallo stesso d'Annunzio nel 1899 a San Vito, in presenza della sua amata Barbara Leoni. Oggi esiste ancora la villetta affittata dal poeta sul cosiddetto "eremo dannunziano" nel cuore della costa dei Trabocchi. Anche l'episodio macabro del pellegrinaggio a Casalbordino è minuziosamente documentato dal poeta nelle lettere inviate nell'estate dell'89 a Barbara a Roma.