giovedì 25 giugno 2020

Io ho quel che ho donato

Inciso sul frontone all’ingresso del Vittoriale,e’questo il più celebre dei motti dannunziani.Alla affermazione apparentemente paradossale,usata dal poeta fino agli ultimi anni della sua vita,e legata l’idea della generosità e della munificenza a cui il Poeta si ispirò sopratutto negli ultimi anni trascorsi al Vittoriale. Racchiuso in un tondo recante la figura di una cornucopia,simbolo dell’abbondanza,o impresso al centro di due cornucopie,il motto si trova impresso sui sigilli,sulla carta da lettere e su tutte le opere di Gabriele d’Annunzio pubblicate dall’Istituto Nazionale e dall’Oleandro. Il Poeta affermò di aver trovato la frase incisa su una pietra di focolare appartenente a un camino del Quattrocento.agli ultimi anni della sua vita, è legata l'idea della generosità e della munificenza a cui il Poeta si ispirò soprattutto negli anni trascorsi al Vittoriale.Il poeta,in fin di vita,decise di donare tutte le sue opere e la magnificenza del VITTORIALE come dono all'amato POPOLO ITALIANO.

"Come la morte darà la mia salma all’Italia amata, così mi sia concesso preservare il meglio della mia vita in questa offerta all’Italia amata."

 

IO HO QUEL CHE HO DONATO 

 


NUMQUAM DEORSUM

MAI IN BASSO

 

Uno dei tanti motti latini prediletti dal «superuomo» d'Annunzio che lo legò al mito del fuoco le cui fiamme tendono sempre verso l'alto.
Era dipinto su un parafuoco in lamiera di uno dei numerosi caminetti della villa «La Capponcina», al centro di una fiamma ardente.


Il fuoco è un romanzo di Gabriele D'Annunzio, pubblicato nel 1900.

 

Anche questo romanzo inaugura una trilogia, i romanzi del melograno (Il fuoco, La vittoria, Il Trionfo della vita, quest’ultimo rovesciamento positivo del Trionfo della morte), progettata ma mai portata a termine; il melograno voleva simboleggiare la gloria del trionfo, ma all’interno di una dimensione religiosa neopagana. Le tre trilogie (romanzi della rosa, del giglio e del melograno) avrebbero dovuto formare una visione totale dell’universo dannunziano, rimandando alle tre cantiche della Commedia dantesca.

Ambientato a Venezia, il romanzo ha come protagonisti Stelio Effrena, poeta e musicista, vitale e narcisista, e la matura attrice Foscarina Perdita, che assiste allo sfiorire della propria bellezza consacrandosi al trionfo dell’amato, tutto preso dal suo sogno artistico.Alcune tra le pagine più suggestive del Fuoco nascono dal sentimento decadente del tempo che trionfa su tutto, anche sulla bellezza.


I madrigali della Notte

Le sue mani piú pure delle rose
nuove a rifiorir la stanza dove
comporrei canzoni maliose.

E cadere vedrei come ad un lieve
fiato le foglie miti come neve
su la pagina, al suo pensier d'amore;

Siete per me come un giardino chiuso,
dove nessuno è penetrato mai.
Di profondi invisibili rosai
giunge tale un divino odore effuso
che atterra ogni desío di chi l'aspira.

La vedo stranamente fiammeggiare
come un segno fatale. - O passione
arsa a quel fuoco! - Tutte le corone
de la terra non possono oscurare
quel segno unico.

Siete come una spada senza l'elsa,
pura e lucente, e non brandita mai...

Lane di agnelli, gigli senza stelo,
vaghe bianche apparenze, in cielo, in mare

A noi su 'l capo non fuggiva l'Ora:
la gran legge de 'l Tempo era bandita
Ella splendea d'un'immortale aurora
ove lo bevea da' suoi cari occhi la Vita.

- A TE,dal dolce nome che io non
chiamo!



Venti Grecali

A te libo. Mi brilla ne 'l calice nitido il sangue
che già a 'l tuo bacio ne' gemmanti grappoli

Anche siam noi: ci spingono i venti grecali
pregni di sale e di profumi d'alighe
ne 'l pelago de' sogni; piú lento di molli spondei
fluisce il verso fuor de le labbra

Languidi i venti cantano per la freschissima selva
dormente ne la vasta luce plenilunare,
dormente su l'onda che mormora dolce e a la notte
nembi d'effluvi manda, conscia di stranî amori.

Cantano i venti: - O voi cui viva pe' tronchi la linfa,
qual per le vene il sangue vivo.

Accogliete il messaggio! Lontano una vergine torma
su l' monte, a la luna, sogna divini amori.

Oh bella frenante la foga de' lombi stupendi
tra le prunaie rosse giú per la china audace.

non sente in bocca un nuovo licor da versare ne' baci
la vergine, piú bella di un'amadriade antica?

O pantera flessibile da li occhi ove brucia il desio,
ei t'avvinghî pe' fianchi, là, come un gladiatore;

e va e va il sogno pe 'l sol, per l'azzurro, va lungi
portato da 'l desio, va il sogno a batter l'ala.




mercoledì 24 giugno 2020

Il Sognatore dei Boschi

Sottile
ella era e tutta bionda; su la nuca infantile
due ciocche avean que' caldi luccicori vermigli
che han le vergini antiche di Tadema;

Tra i cigli lunghi li occhi avean l'iride verdognola, raggiante
di fini àcini d'oro.

Sopra un fondo di cielo
aranciato i grandi alberi, dinanzi, ne 'l fogliame
prendean tinte metalliche, toni intensi di rame.

Il corpo di lei esalava un ardente
profumo, qual di frutto maturo; ed un'alena
tepida palpitava ne 'l bosco.

E in ogni vena
a me correva l'aspro vin de la giovinezza.

Le viole cadevano; era una pioggia enorme.
Tutto il bosco, un istante, parve a la mia vista
una maravigliosa foresta di ametista
che risplendeva

Or venivan d'in torno le nebbie di viola
ne l'aria; una penombra dolce velava l'aria,
e su da la foresta profonda e solitaria
sorgevano le voci de le cose, li odori

Pareva come da i fiori,
da le foglie, da l'erbe un sogno vegetale
salisse e si spandesse, grande e soave.

Que' richiami d'amore, trepide ne 'l misterio
de l'ombre vigilando se non già tra 'l fogliame
d'in torno luccicassero li occhi ardenti di rame
d'un amante.

I secolari tronchi di quercia ergevano a li incanti lunari
le membra e ne la evanescenza
de la luna era come una selva lontana
di cupole e di aguglie.

Un largo
respirare di belva; ma come voci rotte
di piacere animavano il bosco, ne la notte.


Ballata delle donne sul Fiume

I nitidi mercanti alessandrini,

profumati di cínnamo e d'issopo,

bevean su la riviera di Canopo

ne' calici de 'l loto i rosei vini.

Noi lungo il fiume, ove sí dolci istanti

indugiammo cercando per la via

il grappolo tardivo,

navighiamo a diletto, in compagnia

di musici che il lido empion di canti.

 

Tutto s'accende il lido fuggitivo

a lo splendor vermiglio.

Tu, ridendo, co 'l calice d'un giglio

attingi le bell'acque scintillanti.

La man tua lieve crea schietti rubini.

Le gentildonne, che fan gaia corte

a te con gran sollazzo,in su' minori

legni, rapidamente

seguon l'esempio e con i bianchi fiori

attingon l'acque d'or, ridendo forte.

Tutte, in un tempo, bevono a 'l lucente

vespero, inebriate,

quasi Bacco le linfe abbia cangiate

in vin di Scío, da' regni de la morte.

 

Suonano a torno i lieti ribechini.

Cosí tu vai, piacente Primavera,

navigando ne 'l vespero, per l'almo

fiume onde Amore sorse;

e i gigli tratti dietro il paliscalmo

vestono forme, ne la dubbia sera.

Non calano da' rotti argini forse

le ninfe a 'l Latamone?

Questa, piena di donne e di canzone,

non è l'isola bella di Citera?

Non sei tu dunque iddia ne' tuoi domíni?

 

Questa è l'isola bella: non la tiene

però Venere. Isotta ha signoria,

Isotta Biancamano,

su la verde Brolangia solatía

ove reíne clementi e serene

vissero a lungo, in tempo assai lontano,

e amaron poetare.

 

 

Qui non s'ode Bacchilide cantare,

non Saffo, non Alceo di Mitilene.

Ma s'odono i leuti fiorentini.

O musici, toccate li strumenti

con piú dolcezza, poi che a' lauri in cima

è la luna novella.

 

Cantate, o gentildonne, a cui la rima

fiorisce in amorosi allettamenti

a sommo de la bocca picciolella.

Sicché di su l'altura

udendo suoni e canti a la ventura,

veggendo faci, dicano le genti:

- Torna forse Brisenna a' suoi festini?



ROMANZA DELLA DONNA VELATA

Chi dunque ne la mia memoria oscura

susciterà quel duplice ricordo?

Una musica e un sogno. (E una figura di donna?)

Oh, ch'io ritrovi il primo accordo

e rivivrà la dolce creatura,

ed il sogno con lei, nel mio ricordo;

e l'una e l'altro non morranno piú.

Ma quale fu la musica?

Ma quale fu il sogno?

Ma qual era il vostro viso, donna velata?

Il giorno era autunnale  (mi sovviene del giorno, all'improvviso!)

ed il sole era come un grande opale

in un ciel cosí bianco che un sorriso

di piena luna non è forse più.

D'altro ancor mi sovviene. Giungea piano

a me il suono, fin là su la ringhiera;

e pareami venisse di lontano

. Ai penduli rosai qualche leggera

aura facea, ne le pause, uno strano bisbiglio.

Ed anche quella musica era dolce;

ma non so quale fosse piú.

Profondavasi innanzi una contrada

nobile e calma; e un fiume la partiva

lento, che mettea foce in una rada cerula.

E il fiume lungi m'appariva

nel diffuso vapor come la spada

appannata da l'alito; o spariva

subitamente, non luceva piú.

D'altro ancor mi sovviene. Se talora

io mi volgeva, senza sollevare

le tende ove languia l'onda sonora,

io scorgeva a traverso quelle rare

trame confusamente la signora

misteriosa e vago luccicare

il cembalo ne l'ombra, e nulla piú. 

La musica fluiva, nel sovrano

incanto di quel giorno moribondo,

con tal dolcezza che il mio cuore umano

non la sostenne. Ed un oblío profondo

de la vita mi trasse in un lontano mondo.

Ah perché di quel lontano mondo,

anima mia, non ti sovviene piú?