martedì 22 settembre 2020

Sopra un erotik

 

Voglio un amore doloroso, lento,
che lento sia come una lenta morte,
e senza fine (voglio che più forte
sia de la morte) e senza mutamento.

Voglio che senza tregua in un tormento
occulto sian le nostre anime assorte;
e un mare sia presso a le nostre porte,
solo che pianga in un silenzio intento.

Voglio che sia la torre alta granito,
ed alta sia così che nel sereno
sembri attingere il grande astro polare.

Voglio un letto di porpora, e trovare
in quell'ombra giacendo su quel seno,
come in fondo a un sepolcro l'Infinito.


La malinconia secondo Gabriele d’Annunzio

 «Ma la Melancolia venne e s’assise

in mezzo a noi tra gli oleandri,

Ed Erigone, ch’ebbe conosciuta 

la taciturna amica del pensiero 

chinò la fronte come chi saluta.

E poi disse la Notte e il suo mistero.»

La taciturna amica del pensiero: con questo magnifico endecasillabo Gabriele D’Annunzio definisce la malinconia in una delle poesie dell’Alcyone, L’oleandro, che probabilmente non è tra le sue migliori composizioni, troppo lunga e gravata com’è da un’architettura artificiosa, da preziosismi linguistici, da riferimenti mitologici e letterari. Ma è uno di quei versi (il 429°) che si fissano per sempre nella memoria per la sua intima verità.



In memoria di te, Gabriele D’Annunzio

 Il 12 marzo 2013, nella ricorrenza del 150° anniversario di nascita di Gabriele D’Annunzio al Vittoriale di Gardone si entrerà gratuitamente. Tutta Italia celebra questo anniversario con appuntamenti, manifestazioni, attività culturali e convegni sulla figura del poeta.

Tra le città coinvolte nei festeggiamenti: Milano, il Teatro Manzoni ospiterà la tappa finale del tour dello spettacolo “Gabriele d’Annunzio, tra amori e battaglie”, di e con Edoardo Sylos Labini e una grande mostra nel foyer,  Verona, con un’intera settimana di eventi dannunziani, tra convegni e spettacoli, Trento ospiterà una grande mostra su d’Annunzio aviatore presso il Museo dell’Aeronautica Gianni Caproni, ma anche Genova, Bologna, Roma, Pisa e la Versilia, con la sua più celebre e prestigiosa manifestazione estiva, la Versiliana. Torino rappresenterà una tappa fondamentale, con il Salone Internazionale del Libro che dedicherà ampio spazio ai temi dannunziani. Inoltre, la Fondazione Ugo Bordoni curerà un convegno su d’Annunzio innovatore, in cui verranno presentati i risultati dei più moderni studi scientifici applicati alla ricerca in campo umanistico e artistico.


“Lo abbiamo curato foglia a foglia, questo parco, come lo curò il suo creatore, fra i primi amanti e protettori della natura in senso contemporaneo. Abbiamo ripiantato i cipressi caduti e pettinato gli ulivi, abbiamo accolto come fiori portati dal vento i grandi capolavori di Mimmo Paladino, Ugo Riva, Ettore Greco, Arnaldo Pomodoro, ulteriore omaggio al padrone di casa”. Così il Presidente del Vittoriale Giordano Bruno Guerri.


In occasione della cerimonia è stata scoperta un’altra opera d’arte che va arricchire la collezione del Vittoriale: ovvero Gian Marco Montesano “Perché non son io coi miei pastori?” ispirata ad un verso del poeta.


Nell’angolo di giardino che d’Annunzio dedicò ai suoi cani è stata invece inaugurata una stele. “Abbiamo scolpito la drammatica, dolcissima poesia che il poeta dedicò a loro, che mi custodiscono”.


Qui giacciono i miei cani

gli inutili miei cani,

stupidi ed impudichi,

novi sempre et antichi,

fedeli et infedeli

all’Ozio lor signore,

non a me uom da nulla.

Rosicchiano sotterra

nel buio senza fine

rodon gli ossi i lor ossi,

non cessano di rodere i lor ossi

vuotati di medulla

et io potrei farne

la fistola di Pan

come di sette canne

i’ potrei senza cera e senza lino

farne il flauto di Pan

se Pan è il tutto e

se la morte è il tutto.

Ogni uomo nella culla

succia e sbava il suo dito

ogni uomo seppellito

è il cane del suo nulla


Gabriele D’Annunzio, 31 ottobre 1935




I VOCABOLI CREATI DA D'ANNUNZIO

 Gabriele D'Annunzio, dal 1924 Principe di Montenevoso (Pescara, 12 marzo 1863 – Gardone Riviera, 1º marzo 1938), è stato uno scrittore, poeta, drammaturgo, militare, politico, giornalista e patriota italiano, simbolo del Decadentismo e celebre figura della prima guerra mondiale. Soprannominato il Vate, cioè "poeta sacro, profeta", cantore dell'Italia umbertina, occupò una posizione preminente nella letteratura italiana dal 1889 al 1910 circa e nella vita politica dal 1914 al 1924.

 

È stato definito «eccezionale e ultimo interprete della più duratura tradizione poetica italiana […]» e come politico lasciò un segno nella sua epoca e una influenza sugli eventi che gli sarebbero succeduti.

 

Ma ha anche coniato diversi neologismi! vediamoli!

 

1-      Automobile è femminile!

Fu lui a stabilire in Italia, tra le tante varianti che allora si usavano che la parola "automobile" fosse di genere femminile: lo fece in una lettera inviata a Giovanni Agnelli che gli aveva posto l'annosa questione ("L'Automobile è femminile. Questa ha la grazia, la snellezza, la vivacità di una seduttrice; ha inoltre una virtù ignota alle donne: la perfetta obbedienza").

2-      Tramezzino

Fu D'Annunzio che italianizzò il sandwich chiamandolo “tramezzino”.

3-      In Ambito aereonautico

Fusoliera, velivolo ma anche folla oceanica sono espressioni che introdusse lo stesso Vate.

4-      Arzente

Arzente, italianizzazione del termine cognac, per Gabriele D'Annunzio avrebbe dovuto essere derivato da "arzillo" e da ardens (ardente) a indicare lo stato di euforia indotto dall'ebbrezza, o il calore che derivava dal bere l’alcolico.

5-      Nomi Propri

Inventò il nome proprio Cabiria per l'eroina dell'omonimo film muto del 1914 del quale firmò la sceneggiatura. Il nome proprio Ornella e lo pseudonimo della scrittrice di romanzi rosa Amalia Liana Negretti Odescalchi, in arte Liala: il suo nome d'arte si deve proprio a un suggerimento di D'Annunzio: "Ti chiamerò Liala perché ci sia sempre un'ala nel tuo nome".

6-      Milite Ignoto

Fu D'Annunzio a coniare il termine Milite ignoto (dal latino miles ignotus, cioè "soldato sconosciuto").

7-      Il Piave

Verso la fine della Grande guerra, vista la vittoria italiana sul Piave, il poeta decise che il sacro fiume d'Italia doveva cambiare l'articolo: se in passato il fiume era conosciuto come la Piave, fu dopo l'intervento di D'Annunzio che il fiume si chiamerà il Piave. D'Annunzio ebbe questa idea per celebrare la potenza maschia del fiume che resistette al nemico e il Piave fu elevato a fiume sacro della Patria.

8-      La Rinascente

Nel 1917 ribattezzò la Rinascente dopo la ricostruzione seguita all'incendio che l'aveva completamente distrutta. D'Annunzio fu un grande pubblicitario oltre che coniatore di neologismi. Anche il nome de La Rinascente, per gli omonimi attuali grandi magazzini di Milano, fu suggerito da Gabriele D'Annunzio a Senatore Borletti quando quest'ultimo rilevò l'attività commerciale ivi presente: i magazzini "Aux Villes d'Italie". (Il nome si rivelò poi particolarmente indovinato quando la Rinascente fu distrutta da un incendio e completamente ricostruita).

9-      Gli oro Saiwa

Coniò il nome Saiwa per l'azienda di biscotti.

10-   Unione di parole esistenti

D'Annunzio coniò inoltre il termine "fraglia", unione dei termini "fratellanza" e "famiglia", che indica oggi molte associazioni veliche, tra cui la Fraglia della Vela di Riva del Garda.

11-   Scudetto.

Il triangolino tricolore che, dal 1925, viene applicato sulle maglie della squadra che vince il Campionato italiano di calcio, fu "inventato" da Gabriele d'Annunzio. Il simbolo, infatti, si ispira allo "scudetto" che il Vate aveva voluto applicare alla divisa indossata dagli italiani in una partita di calcio organizzata durante l'occupazione di Fiume.

12-   Vigili del fuoco.

Alla nascita, nel 1935, il Corpo Nazionale creato per svolgere servizio antincendio e di protezione civile, derivò il nome dall'analogo corpo francese: i pompieri. Tre anni più tardi - in piena autarchia culturale - il francesismo fu abbandonato e sostituito da “Vigile del Fuoco”: anche in questo caso l'idea fu di Gabriele d'Annunzio, che si ispirò ai "vigiles" dell'antica Roma.

13-   D’Annunzio e La Pubblicità

 

Fu testimonial dell'Amaro Montenegro che definì «liquore delle virtudi» e dell'Amaretto di Saronno. D'Annunzio lanciò una propria linea di profumi, l'Acqua Nunzia.




Gabriele D’Annunzio, l’intellettuale indefinibile

 A mio parere, quello cioè non di un blasonato critico letterario ma di un semplice amante della letteratura di tutti i tempi, ben poche figure di poeti e di scrittori sono apparse così indefinibili, nel lungo corso della storia, come quella di Gabriele D’Annunzio: un intellettuale, oserei dire, che tutti conoscono ma che ben pochi hanno esaminato nella sua profondità e che riescono a definire, o comunque a far rientrare in un preciso movimento o anche tendenza letteraria invalsa ai suoi tempi.

Le storie letterarie, delle quali tutti noi ci serviamo o che comunque abbiamo consultato, collocano il nostro poeta nell’ambito del Decadentismo, qual era l’atmosfera culturale che si respirava in Italia ed in Europa nell’epoca a cavallo tra i secoli XIX e XX. Questo è certamente vero, ma la sensibilità decadente di D’Annunzio fu profondamente diversa da quella degli altri rappresentanti italiani di tale temperie letteraria, primo tra tutti Giovanni Pascoli. Ciò dipende anzitutto dalle differenze caratteriali, anche sul piano personale, tra i due poeti: mentre Pascoli, pur ritenendo il poeta superiore alla comune umanità in quanto a lui solo è concesso di cogliere l’essenza profonda delle cose, partiva “dal basso” delle descrizioni naturali e della rappresentazione della vita nei suoi aspetti più comuni, D’Annunzio faceva della peculiarità della condizione dell’intellettuale un motivo per giungere al superomismo, osservando cioè “dall’alto” la società come colui che, pur facendone parte, si sente su di un piano diverso, più alto della comune umanità, e su questo piano colloca anche i personaggi dei suoi romanzi.
Pur tuttavia l’indefinibilità di D’Annunzio, la continua apparente contraddizione che emerge dalle sue opere non deriva solo da motivi caratteriali, ma anche da una particolare forma di coscienza poetica, quella cioè che si lascia solo parzialmente avvolgere nell’atmosfera culturale dei suoi tempi ma che riscopre invece, con riferimenti diretti ma per lo più allusivi, tutta la grande tradizione della poesia classica, da Omero a Virgilio, da Dante a Carducci ed al Pascoli stesso.
Un breve accenno ai romanzi, in particolare a L’innocente e al Piacere. Che si tratti di opere pensate nell’ambito del decadentismo è chiaro, ma alla lettura emergono tratti ben visibili del verismo (in talune descrizioni crude e realistiche) ma anche del primo Verga, quello della fase romantica di Una peccatriceTigre reale ecc.: lo rivelano, se non altro, tratti psicologici dei protagonisti come i numerosi particolari con cui è descritta la forte passione d’amore dei protagonisti e l’idealizzazione della donna amata, oltre ad una particolare forza descrittiva degli elementi paesaggistici che ricorda da vicino la relazione tra uomo e natura propria del Romanticismo. Se poi ci affacciamo a leggere anche discorsivamente la grande produzione poetica dannunziana, non possiamo fare a meno di trovarci ricordi ed allusioni a tutta la tradizione classica ed italiana. Lasciando stare i poeti cronologicamente più vicini (da Leopardi a Carducci) troviamo in diverse raccolte dannunziane, e specialmente in Alcyone, chiari riferimenti al Cantico di frate Sole di San Francesco (“Laudata sii pel tuo viso di perla, / o Sera”, in La sera fiesolana, 15-16), a Dante, ricordato in molte occasioni da D’Annunzio (v. ad es, sempre in Alcyone, I pastori vv. 14-15: “O voce di colui che primamente / conosce il tremolar della marina”, con chiaro richiamo ai vv 116-7 del primo canto del Purgatorio) ed anche agli stilnovisti: ai vv. 55-56 dell’ode Il dolce grappolo, tratto dalla raccolta Isotteo, si legge: “O madonna Isaotta, è dura cosa / ir le beltà non viste imaginando”, in cui il linguaggio cavalcantiano è mescolato ad una certa maliziosità che ricorda anche certe liriche del Poliziano ed in genere del periodo rinascimentale.
Per i ricordi del mondo classico, tanto scoperti quanto allusivi, la lezione del Carducci (e poi anche del Pascoli) non poteva non influire: frequentissimi sono i richiami ai poeti antichi in tutte le raccolte, ma più diffusi nelle giovanili come Canto novo ed in quelle dove deliberatamente il mito classico sale in primo piano, come Alcyone; qui gli esempi da portare sarebbero moltissimi, ed è per me particolarmente gradito trovarne in quanto studioso dell’antichità greca e romana. Ne ricorderò solo due per ognuna delle due grandi letterature dell’antichità: nell’ode Sera sui colli d’Alba, dalle Elegie romanesi legge “e tu, o dolceridente pupilla”, dove l’aggettivo composto ricalca chiaramente quelli omerici; allo stesso modo, nell’ode Versilia (da Alcyone) il poeta definisce se stesso con l’epiteto “Occhiazzurro”, con cui in Omero è solitamente designata la dea Atena, definita “dagli occhi di civetta”, quindi cerulei, come quelli che il poeta, con allusione dotta, riferisce a se stesso. Ancor più numerosi i richiami ai poeti latini. Nella celebre ode La pioggia nel pineto, la più nota di D’Annunzio, il poeta afferma che lui ed Ermione, la donna amata, vanno “di fratta in fratta, or congiunti or disciolti / (e il verde vigor rude / ci allaccia i malleoli / c’intrica i ginocchi) / chi sa dove, chi sa dove”. Può ben darsi ch’io m’inganni, ma in questo intrico di macchie e di arbusti che avvincono le caviglie e le gambe degli amanti mi par di vedere un ricordo allusivo al celebre mito di Dafne cantato nelle Metamorfosi di Ovidio, dove la bella ninfa, per sfuggire al raptus amoroso di Apollo, si attacca a terra e si trasforma nella pianta dell’alloro. Riferimenti più scoperti possiamo trovare a Virgilio, sia nelle accurate descrizioni paesaggistiche che ricordano certi luoghi delle Georgiche, sia in richiami a passi dell’Eneide: nella poesia citata sopra, Il dolce grappolo, si legge ai vv. 163-4 che “uno stuol d’augelli, d’improvviso / attraversò con ilari saluti”, esortando il poeta e la bella Isaotta a rimettersi in cammino per scoprire nuovi incantati paesaggi; e qui viene in mente il libro VI del poema virgiliano, dove ai vv. 190 e sgg. si parla di una coppia di colombe che rompono l’inerzia di Enea di fronte all’albero dal ramo d’oro, permettendogli di scorgerlo.
Queste mie osservazioni nascono da uno studio piuttosto ordinario dell’opera dannunziana, a me suggerito dalla necessità di dover trattare l’opera del poeta nel normale svolgimento del programma di letteratura italiana della mia quinta liceo classico. Non mi vanto di aver detto cose nuove, ché altrimenti avrei scelto una rivista specializzata e non il mio piccolo misero blog; sono anzi certo che altri prima di me hanno già arrivati a simili e molto più geniali conclusioni. Ho voluto scriverle perché fin dai miei studi liceali ho sempre avuto l’impressione che D’Annunzio sia un poeta che sfugge a precise definizioni e collocazioni, poiché nella sua produzione si affastellano suggestioni culturali che vanno ben al di là del Decadentismo e di ogni altra corrente letteraria. Anche il senso della natura e del paesaggio, in lui così forte e così ricorrente, ci lascia spesso stupiti, perché è difficile distinguere la brama del puro esteta, che vuol stupire il lettore e fare della sua poesia la voce del Vate onnipotente, dalla sensibilità personale verso l’altro da sé, profonda e al tempo stesso sfuggente come un velo ch’egli sembra voler continuamente porre dinanzi agli occhi del lettore.

Prof. MASSIMO ROSSI




lunedì 21 settembre 2020

L’ideologia e la poetica di Gabriele D’Annunzio

 

Nazionalismo. Dal punto di vista ideologico D’annunzio propende sicuramente verso posizioni nazionalistiche;  ha preso chiaramente posizione a favore:

1)      dell’aggressiva politica di Crispi, sia sul piano interno (repressione dura di tutte le proteste), sia su quello esterno (impresa di Adua, Eritrea, fallita miseramente);
2)      dell’interventismo durante la I° guerra mondiale, e in seguito a favore di quella buffonata su Fiume;
3)      della guerra in Etiopia condotta, e vinta, da Mussolini nel 1935.
 - Esibizionismo. Ma non bisogna pensare che la sua adesione a idee nazionalistiche di destra sia di natura solamente politica/ideologica
 - a D’Annunzio la politica in sé interessa poco: quello che gli importa è la possibilità di adottare un determinato stile di comunicazione, fondato:
 - sull’esibizionismo;  
 - sul culto narcisistico del leader;
 - sulla possibilità di guidare le masse, influenzandone il giudizio da un punto di vista emotivo, più che razionale.
 - Populismo. C’è molto della moderna comunicazione politica: che punta alla cosiddetta «pancia», e fa leva su argomenti «populisti» pur di raccogliere un facile consenso a tutti i costi.
 - Atteggiamento filo-borghese. D’altra parte c’è anche un disprezzo per le masse popolari, che vanno appunto dominate, sia con l’uso «mediatico» della parola, sia con politiche economiche a favore delle classi superiori: l’alta borghesia. Da qui l’adesione alla politica imperialista, che era espressione dell’alta borghesia tardo-ottocentesca;
 - il disprezzo per le masse, porta quindi al disprezzo per la stessa democrazia e per le classi operaie.

Estetismo. Questo si collega alla sua concezione dell’arte, la quale a sua volta si identifica totalmente con la  bellezza;  ma nel caso di D’Annunzio, questa concezione ha caratteri ambivalenti:
1)      da un lato abbiamo visto che D’Annunzio si pone come ultimo Vate, erede di una tradizione umanistica, e terzo nella trafila dei moderni dopo Carducci e Pascoli;
- con tutte quelle connotazioni dell’intellettuale umanista, solitario, separato dalla società, dedito agli studi delle belle lettere;
2)      dall’altro lato si pone come un moderno esteta, fa di sé un mito di massa, cavalca le mode;  crea egli stesso delle mode.

Contraddizioni. Questo aspetto della personalità artistica di D’Annunzio ha un carattere anche paradossale e contraddittorio. La contraddizione sta nel fatto che:
a)      da un lato si pone come mito di massa, celebrato in quanto tale;
b)      dall’altro  come un genio superiore, al di sopra delle masse, con un atteggiamento aristocratica superiorità, e che disprezza la società dei consumi e la mercificazione dell’arte.

Come si risolve questa contraddizione? L’unico modo è far coincidere arte e vita, privato e pubblico. Facendo della propria vita uno spettacolo, e di se stesso oggetto di mercificazione.
 - esempio: dopo la pubblicazione della prima raccolta poetica (Primo Vere, 1879), D’Annunzio diffonde la notizia della propria morte, e raccoglie una serie di necrologi che lo esaltano come grande poeta;
 - L’arte e la vita coincidono: l’una è in funzione dell’altra.

La parola poetica. In questo processo di identificazione arte e vita, svolge ovviamente un ruolo fondamentale la parola, dato che D’Annunzio è un artista della parola:
 - per D’Annunzio viene a saltare lo scarto tra linguaggio quotidiano, e la lingua della poesia: la lingua parlata dal poeta, tutti i giorni, è lingua poetica, artefatta;
- la parola che è al di fuori di questo tipo di formalizzazione artistica è inutile;

La concezione della natura. Non solo non c’è mediazione, non c’è scarto tra la parola ordinaria e quella poetica, ma non c’è nemmeno scarto tra l’io del poeta e mondo esterno;
 - c’è una totale identificazione sia tra l’io e le cose, sia tra le cose stesse tra di loro: ogni cosa è anche un’altra, e rimanda all’altra;
- per questo la parola del poeta è in grado di ricreare la realtà, nel momento in cui viene pronunciata
 - per esprimere questa fusione tra l’io lirico e la realtà, e tra i vari elementi della realtà è ovviamente la sinestesia, usata in abbondanza da D’Annunzio.

Rapporto uomo natura. In questo modo, tramite la poesia, di fatto D’Annunzio ristabilisce un rapporto tra uomo e natura. Cioè ristabilisce quel rapporto che la nuova società industriale aveva spezzato;
 - è un modo per superare il divario tra civiltà moderna e natura, tra cultura e istino.

Il superomismo

Il mito del Superuomo. Altro aspetto dell’ideologia dannunziana è il superomismo, il mito del Superuomo:
 - l’idea del Superuomo nasce in D’Annunzio dopo la lettura, verso la fine dell’Ottocento, di Nietzsche: si tratta però di una lettura superficiale, dalla quale D’Annunzio trae alcune suggestioni, che lo postano a corroborare idee che aveva già in partenza, ad esempio:
a)      l’esaltazione della volontà di potenza;
b)      l’aspetto vitalistico;
c)       l’istinto alla lotta e al dominio sulle masse;
d)      l’elevazione del singolo uomo privilegiato al di sopra delle masse stesse;

L’arte. Dopo l’incontro con Nietzsche, l’arte per D’Annunzio diventa uno strumento di questo dominio ideologico sulle masse:
 - la parola del poeta-Vate deve servire a distruggere la meschinità e l’ipocrisia della democrazia borghese, allo scopo di difendere la bellezza: cosa che la massa non può capire né apprezzare;
 - a livello storico-politico questo pensiero si inserisce nelle complicate vicende storiche di fine secolo: dopo il fallimento delle imprese coloniali dell’epoca di Crispi, l’alta borghesia imperialista aveva bisogno di un’ideologia forte, basata sull’ordine sociale e sull’aggressività bellica (come esigenza di riscatto);
 - il Superuomo, nella cui persona si identificano arte e vita, sa imporsi sulle masse, sa manipolarle, sa creare miti e modelli di vita: l’uomo forte, inimitabile, invincibile (pensiamo a Mussolini, e ai miti che è riuscito a creare intorno alla sua persona);

La Donna. Il Superuomo dannunziano subordina tutto al progetto della propria affermazione, in primo luogo la donna, considerata come un oggetto di possesso da domare, da sottomettere alla propria volontà:
- tra mite la lussuria la donna  è in grado di avvincere e subordinare l’uomo a sé, e per questo è una forza che l’uomo deve domare e vincere, per imporre il proprio dominio sulla donna; 
 - questo porta anche ad atteggiamenti aggressivi nei confronti della donna;

Aspetto velleitario. Naturalmente in tutto ciò c’è un aspetto velleitario:
 - c’è una enorme sproporzione tra la grandiosità degli obiettivi che il Superuomo si pone, e l’effettiva possibilità di realizzarli, sicché la sicurezza dei personaggi dannunziani è sempre minata dall’ombra della sconfitta e del fallimento;
 - in tutti i romanzi e le opere d’Annunziane domina sempre un senso di annullamento totale e di morte, causato proprio da questo senso di onnipotenza dell’io, che naturalmente non può realizzarsi pienamente;
 - da qui anche gli aspetti più torbidi e morbosi dei suoi romanzi, ad esempio:
a)      L’InnocenteQui si narra la vicenda che coinvolge Giuliana e suo marito Tullio: lei resta incinta a seguito di una relazione adulterina, e partorisce un figlio;
- Tullio la perdona e vorrebbe ripristinare il rapporto con lei, sbarazzandosi del bambino, che fa in modo di lasciare all’aria aperta durante una novena di Natale;
- dopo questo episodio l’innocente si ammala e muore; ma Tullio non riuscirà a recuperare la serenità;
b)      Vergini delle rocceQui invece si narra la storia di Claudio Cantelmo, un giovane esponente di un’antica famiglia nobile di origine provenzale;
- Claudio Cantelmo si mette in testa un progetto eroico e velleitario: eliminare gli effetti della rivoluzione francese del 1989, e riportare al potere l’oligarchia nobiliare;
 - a questo scopo vuole generare, in unione ad un’altra nobile famiglia (I Capece-Montaga) del regno delle due Sicilie, un figlio, che sarà poi messo a capo del nuovo Regno;
 - nella famiglia dei Capece-Montaga ci sono tre sorelle, vergini, e decide che una di loro sarà la madre di questo eroe eccezionale;
 - Claudio sceglie la più bella delle tre, ma questa rifiuta poiché non vuole deturpare il suo corpo con una gravidanza;
  - anche l’altra sorella rifiuta perché costretta ad assistere la madre folle, e lo esorta a provare con la terza;
 - Claudio deluso rinuncia al progetto.


Alcyone

Le Laudi. È il terzo libro delle Laudiun progetto poetico che doveva includere, secondo le intenzioni del poeta, sette libri. Di questi ne vendono completati solo quattro: MaiaElettraAlcyone, e Merope. Alcyone è dunque il terzo della serie; 
 - i primi tre sono stati pubblicati tra il 1899 e il 1904, il quarto molti anni dopo, nel 1912.


Struttura. Il libro è diviso in cinque parti

Dai "Taccuini"

Talvolta il teschio traspare. Teste toccate dalla Morte, segnate dall'Operaia terribile  Il cielo è d'una purità sublime, incurvato su i monti che le prime nevi imbiancano.

Un tepore lento si forma dalla preghiera, sopra le baionette nude e verticali, Il fogliame moribondo dei pioppi tremola di continuo, oro nell'oro. Il Carso è laggiù, avido di sangue, desideroso di avere tra i suoi fiumi occulti il fiume rosso fumante. Si sente che la rossa e calda corrente si forma sotto il sasso, per poi sboccare come una piena di gloria nel promesso Avvenire... Odo il canto della terra; odo la pulsazione dei cuori di carne e di sangue; odo il silenzio di sotterra e il silenzio che sta di là dell'azzurro.