mercoledì 5 agosto 2020

Motti Dannunziani

L’impresa di Fiume, i motti Dannunziani, le apparizioni pubbliche e il modo squillante, acuto e cristallino di arringare le folle rappresentano inconsapevolmente le prove generali degli strumenti propagandistici utilizzati per più di vent’anni dal regime.

Ognora desto

Motto che serviva a Poeta da sprone al suo lavoro letterario.Lo usò per i suoi ex libris accompagnato dall’immagine di un gallo che canta ritto su una pila di libri.

Io ho quello che ho donato

Inciso sul frontone all’ingresso del Vittoriale,e’questo il più celebre dei motti dannunziani.Alla affermazione apparentemente paradossale,usata dal poeta fino agli ultimi anni della sua vita,e legata l’idea della generosità e della munificenza a cui il Poeta si ispirò sopratutto negli ultimi anni trascorsi al Vittoriale. Racchiuso in un tondo recante la figura di una cornucopia,simbolo dell’abbondanza,o impresso al centro di due cornucopie,il motto si trova impresso sui sigilli,sulla carta da lettere e su tutte le opere di Gabriele d’Annunzio pubblicate dall’Istituto Nazionale e dall’Oleandro. Il Poeta affermò di aver trovato la frase incisa su una pietra di focolare appartenente a un camino del Quattrocento.In realtà è la traduzione di un emistichio del poeta latino Rabirio,contemporaneo di Augusto,citato da Seneca nel VI libro del De beneficiis:”Hoc habeo quadcumque dedi”.La frase e’ riportata in un trattato seicentesco dell’Abate Giovanni Ferro come motto di un cavaliere spagnolo del Cinquecento.

Piegandomi lego

Motto impresso sulla carta da lettere e sugli ex libris con l’immagine di un salice pingente che si piega legandosi ad un altro albero.Non è escluso che si “piega” alla volontà di Mussolini che lo vuole lontano dalla vita politica della nazione.

Suis viibus pollens possente di sua propria forza

Una delle frasi predilette dal d’Annunzio che la fece incidere sui sigilli dorati con cui chiudeva le buste e sugli oggetti che usava donare agli amici:gemelli e portasigarette d’argento.E’ inscritta in un tondo recantee l’immagine di un elefantee con la proboscite in alto.

Vivere ardendo e non bruciarsi mai

Parafrasi di un verso di Gaspara Stampa:” Vivere ardendo e non sentire il male”.Il motto fu adottato da d’Annunzio anche in guerra durante l’impresa di Fiume.

Resto dentro di me

La frase latina è legata alla immagine della tartaruga che resta nel suo guscio.D’Annnunzio la fece incidere su una placca che inviò a Mussolini ne ’35.Il Poeta era solito regalare agli amici piccole tartarughe d’argento che usava come “talismani”.

Cosa fatta capo ha

Celebre frase dantesca usata da d’Annunzio per sancire la sua impresa divenuta dopo pochi giorni gia’ leggendaria.Per i Poeta la parola “capo” ha il doppio significato di “principio” e di “comandante”. D’Annunzio fece disegnare per il motto,da Adolfo De Carolis,la figura di un nodo tagliato da un pugnale:rappresenta il nodo scorsoio che il presidente Wilson aveva messo intorno alla gola dell’Italia,stabilendo le umilianti condizioni di pace. Il motto fu gridato dal Comandante il 12 settembre 1920 nell’annunciare che avrebbe inviato al Senato americano la nuova delibera del Consiglio di Fiume contro il Patto di Londra.

Indeficienter

Si trova sullo stemma che Leopoldo I concesse aal città di Fiume nel 1659,sotto un’urna che versaacqua perenne,sovrastata da un’aquila ad ali spiegate.Secondo la leggenda l’acqua di Fiume serviva a guarire tutti i mali.”L’Urna inesausta” del vecchio stemma fu ripresa da d’Annunzio come simbolo della città occupata dai legionari e impressa sui francobolli della “Reggenza del Carnaro”.

Hic manebimus optime Non ducor, duco

Non sono guidato,guido Motto dei ligionari fiumani.E’ scritto in un cartiglio posto alla base di una ghirlanda di rami di quercia.Al centro campeggia un braccio si un guerriero che impugna la lancia.

Me ne frego

Il motto è ricamato in oro al centro del gagliardetto azzurro dei legionari fiumani.Un motto “crudo”, come lo definì il Poeta,tratto dal dialetto romanesco, ma a Fiume -disse il Comandante – “la mia gente non ha paura di nulla nemmeno delle parole”.Il motto appare per la prima volta nei manifesti lanciati dagli aviatori della Squadra del Carnaro su Trieste.

A ferro freddo

Grido di battaglia ,lanciato da d’Annunzio contro Francesco Misiano,deputato al Parlamento,che avversava la causa di Fiume e che tentò di entrare nella “Città di Vita” per sobillare la popolazione contro il Comandante.D’Annunzio incitò i suoi legionari a dare la caccia al “traditore” e a infliggergli il castigo immediato, “a ferro freddo”.

A noi !

Risposta alla enfatiche domande poste ai legionari durante la Festa di San Sebastiano,il 20 genneio 1920: “A chi la forza?” “A noi.” “A chi la fedeltà?” “A noi.” “A chi la vittoria?” “A noi.” Ma alla fine di quello stesso anno la domanda ai fedeli legionari cambiava: dopo il “Natale di sangue” era svanito ogni entusiasmo , non c’erano che morti e feriti in una città “assassinata” sulla quale il Comandantee non può che gettare un alalà funebre.E conclude: “A chi l’ignoto?” “A noi.”



d’Annunzio e Vicenza

I rapporti fra D’Annunzio e Vicenza si possono definire davvero fitti e ricchi di avvenimenti significativi. Il poeta solca le strade della città all’alba del secolo e la saluta con espressioni dolcissime, quali : << Vicenza la Bella>> , << la mia divina Vicenza >>, << la mia città diletta >>.

Anche a distanza di anni, egli ricorda ancora la bellezza della Basilica, del Teatro Olimpico, della Rotonda ed ammira con occhio d’artista quella città monumentale dove vive “il grande spirito dell’Urbe”. Nel 1901 D’Annunzio si reca a Vicenza per visitare il Teatro Olimpico, l’illusione di fare dell’Olimpico un Teatro Nazionale rappresentò per diverso tempo un sogno del Vate, sogno a cui i Vicentini dovettero tristemente rinunciare quando nel 1902 apparve un articolo in cui D’Annunzio preannunciava l’uscita del “Re Numa” presso il teatro d’Abano che doveva diventare, secondo i piani di del Vate, Teatro Nazionale.

D’Annunzio ritorna a Vicenza nel 1910 in occasione di una conferenza dal titolo : “ Pel dominio dei cieli” , durante la conferenza D’Annunzio ricorda la magnifica giornata di Giugno del 1905 in cui l’aeronave Italia, progettata dal vicentino Almerico da Schio, sorvola i cieli della provincia, procurando notevole stupore ed ammirazione.


Nel Settembre del 1915 il Vate ritorna nuovamente nel Vicentino e più precisamente ad Asiago, da li D’Annunzio spicca il volo su Trento davanti al tripudio degli Asiaghesi, soltanto tre giorni dopo sorvola Vicenza per lanciare “un saluto d’amore a Vicenza la Bella”.


Quello che segue è storia, D’Annunzio intraprende l’avventura Fiumana in nome della “Vittoria Mutilata” ed infine si ritira nella sua reggia incantata ove costruisce un museo attorno al suo mito. Muore il 1° Marzo del 1938 senza aver più rivisto Vicenza e << Bassano che amai e difesi…>>


D’Annunzio viene riposto sul culmine dell’altura che sovrasta il Vittoriale denominato “il Colle Santo”, nel quale D’Annunzio aveva sistemato le Arche donate dalla città di Vicenza e risalenti all’epoca romana. Fra i nomi dei suoi legionari che lo circondano appare quello di Antonio Gottardo 1896-1920 nativo di Grisignano di Zocco e morto nel momento più aspro del “Natale di Sangue”.


Anche se l’epopea Dannunziana ha avuto fine, rimane intatta la bellezza dei luoghi che ispirarono gli artisti d’ogni tempo; persone che lasciarono un segno incancellabile del loro amore per quei posti che ancora oggi possiamo contemplare.


“ Abbraccio in te tutti gli studenti di Vicenza; che sanno come io sia e mi vanti di essere studente perpetuo, di Vicenza cittadino ”

Il Vittoriale : 8 Luglio 1935



Fiume – gli “scalmanati” e il Sessantotto

Ribelli, insofferenti, spiriti liberi. L’area degli “scalmanati” rispecchia l’anima più originale del fiumanesimo. Il fenomeno presenta una forte corrispondenza con le realtà artistiche e ideologiche coeve: il dadaismo negatore e soprattutto il futurismo politico, la cui vicenda s’intreccia con la storia dell’impresa proprio attraverso i percorsi di Marinetti. Sempre per rintracciare somiglianze e cercare d’individuare punti di collegamento tra i molteplici eventi della rivolta novecentesca, alcuni aspetti dell’avventura fiumana possono essere messi a confronto con movimenti lontani nello spazio e nel tempo. Ma si potrebbe azzardare un paragone con le agitazioni giovanili degli anni della contestazione? Agli occhi di molti non sarà cosa buona accostare realtà così diverse, pensandoci bene però, nel pentolone del laboratorio fiumano le componenti più anarchiche e creative hanno affrontato discorsi e tentato esperienze che giustificano un simile parallelo: dall’amore libero all’emancipazione della donna, dalla circolazione delle droghe al desiderio di abolire le carceri e il denaro, ma anche la critica della politica ufficiale e la ricerca di forme d’economia non influenzate dal profitto, la tutela del lavoro e inoltre l’opposizione alle grandi potenze imperialistiche, la difesa di tutti gli oppressi, popoli, classi, individui, delle diversità e delle sacche di resistenza contro l’ordine mondiale.

Appare come dato presente in tutti gli episodi di insubordinazione la vita-festa, intesa come ribellione, esaltazione collettiva, immaginazione senza limiti e liberazione mentale. Concetti che peraltro si ritrovano in molti slogan scritti sui muri delle nostre università, nel ’68: “L’immaginazione al potere”, “Proibito proibire”, “Prendete i vostri desideri per realtà”, “Apriamo le porte dei manicomi e delle prigioni e dei licei e dei nidi d’infanzia”. Durante le rivolte, la festa rappresenta la vittoria totale della vita collettiva su quella privata, mentre l’individuale si spinge nel sociale: passioni, idee e sogni non sono del singolo ma di tutti. La festa rivoluzionaria non si esaurisce in un giorno, anzi, il suo carattere particolare è di prolungarsi come una “vacanza”, termine che significa proprio una condizione di vuoto, interruzione, cessazione di normali attività. La festa è un clima che accompagna in genere la fase iniziale di un’insurrezione, quella destabilizzante e spontanea, prima che intervenga il processo di normalizzazione che tende a immettere in un ordine la rivoluzione per farla durare nel tempo. La vita-festa è tipica soprattutto delle ribellioni caratterizzate dalla transitorietà, nate non per durare, ma per tracciare un segno, indicare una via, comete effimere destinate però a rimanere nella memoria collettiva e a incidere anche dopo la conclusione della loro parabola, come il Sessantotto, o la reggenza di Fiume, nella cui costituzione si legge che la musica è il principio centrale dello stato.

Uno stato davvero irreale che si finanzia con i clamorosi colpi di mano degli Uscocchi, in ricordo degli antichi pirati, che attira a sé artisti, bohémien, anarchici, avventurieri, apolidi, omosessuali, dandy, militari, riformatori d’ogni tipo. Dove D’Annunzio comanda leggendo dal balcone proclami che sono pura letteratura, dimostrando così che l’arte è un fatto essenziale nell’impegno politico. In luogo della politica tradizionale, dunque, la creatività, il piacere invece del dovere: questa è la ribellione desiderante attuata a Fiume dove si vive nella perpetua festa tra i cortei, fanfare, canti, balli, concerti, spettacoli, fuochi d’artificio. Dopo tanti mesi di baldoria, un breve assedio e quattro cannonate fanno franare questa magnifica utopia.



d’Annunzio e la seduzione

Capita spesso di incappare nel tema d’Annunzio e la seduzione, articoli e studi davvero approfonditi nei quali vengono messi in luce aspetti riguardanti il numero di amanti e le tendenze amorose e sessuali del poeta. Eppure tante volte viene trascurato un elemento fondamentale che caratterizza il d’Annunzio seduttore ovvero il coinvolgimento psicologico ed emotivo del seduttore stesso.

L’affermazione che segue può suonare come assurda e paradossale ( soprattuto per chi conosce bene l’epopea dannunziana ) eppure per d’Annunzio l’atto fisico conta pochissimo se paragonato a l’alone seduttivo, emotivo e psicologico che circondava l’atto fisico.

Se escludiamo gli ultimi anni trascorsi al Vittoriale, notiamo un elemento comune che caratterizza ogni vicenda sentimentale del poeta, ovvero l’assoluto, profondo, vivo ed esclusivo coinvolgimento amoroso verso la donna amata.

Lettere, stati d’animo, gesta plateali non sono puro artifizio di forma o tecnica di seduzione ma divengono sinceri impeti di sentimento che coinvolgono prima di tutto d’Annunzio ed il più delle volte lo rendono schiavo del sentimento stesso, vittima delle sue stesse passioni.

Il binomio amore e sofferenza pervade tutta la sua vita diventando un elemento ricorrente capace di renderlo carnefice e nel contempo vittima delle sue stesse azioni ed in questa dimensione anche la stessa infedeltà verso l’amante diviene qualcosa di onesto, puro e trasparente, un’inevitabile prezzo da pagare per assecondare un ideale più alto in grado di consacrare se stesso e la donna amata all’altare dell’arte.

Nella sua produzione letteraria ed epistolare risulta davvero difficile trovare un vanto per un atto fisico consumato, del tutto scevro da un alone di seduzione artistica, di passione amorosa e di conquista emotiva.

La conquista, il sesso e l’atto fisico privi di tutta la componente artistica divengono una cosa adatta alla gente comune e non ad un artista.

In quest’ottica la seduzione stessa abbraccia contesti molto più ampi che vanno dal cibo, al verso, passando per la moda, i profumi, gli ambienti, stoffe, lettere, regali, gesta e musica, permeando infine la vita stessa del poeta che grazie alla seduzione diviene un’opera d’arte.

Indicativa per capire il contesto emotivo e psicologico del poeta nei confronti della seduzione una famosa lettera destinata alla Leoni datata Luglio 1887 :

Roma, 31 luglio ’87

Il mio dolore è cosí grande che da ieri io vivo quasi incosciente delle cose della vita, chiuso in me, col pensiero, col desiderio acuto e incessante del tuo amore.

Quando io ti lasciai jeri, mi si velarono gli occhi. Mi parve d’esser per cadere. L’angoscia mia cresceva ogni ora piú. Andavo per le vie, mentre la sera scendeva, portando miseramente la mia gran tristezza in mezzo alla gente. Mi avvicinai due o tre volte alla tua casa. Mi si affacciavano alla mente i pensieri piú strani e i propositi piú folli. Verso le dieci incontrai gli amici che mi trassero con loro, al solito luogo, da Morteo, dove ti ho veduta per tante sere e dove ho bevuto l’amore dai tuoi occhi lungamente. Avevo la gola cosí serrata e cosí riarsa che non m’era possibile profferire una sola parola. Quegli ultimi trentacinque minuti, prima dell’ora precisa della tua partenza, furono atroci. Io non ti so dire come soffrivo, Barbara.

Tu partivi, tu partivi, senza ch’io ti potessi vedere, coprirti di baci la faccia, ripeterti ancora un’ultima volta con la voce soffocata: «Ricordati! Ricordati! ».

[..]

Oh amica mia, tu dovresti amarmi sempre sempre e con infinita tenerezza, soltanto per ricompensarmi di quei momenti supremi di spasimo non mai provati!

Rientrai a casa, come pazzo. Ti vedevo, ti vedevo chiaramente, nel vagone, seduta, alla luce della lampada, tutta triste, fra il romore monotono del treno che fuggiva. Sentii suonare tutte le ore, all’orologio della Trinità dei Monti. Ti seguii, nel viaggio, con tale intensità di pensiero e di morte e di angoscia che tu certamente avrai dovuto provare nel fondo dell’anima tua un turbamento misterioso. Non ho mai chiuso gli occhi. Mi son alzato stamani e, dopo molti e terribili sforzi di volontà, mi son messo a scrivere l’articolo che ti avevo detto. Scrivevo, invece d’una prosa per un giornale, una lettera di passione! Ho strappato i fogli; e poi ho scritta meccanicamente una cosa volgare. Non la leggere.

Leggimi invece nel pensiero. Io mai mai t’ho amata come ora e mai ho amata cosí nessun’altra donna, mai, mai. Tutta Roma oggi mi par vuota, deserta, maliconica come un cimitero. Sono qui, a casa, da molte ore; rimarrò qui tutta la sera, tutta la notte, con te, con l’imagine tua, con i ricordi, e con i dubbi tremendi da cui dispero di guarire, e con le lacrime.

Tu che fai? Tu che pensi? Tu dove sei? Tu sei lontana, fra la gente che ti ammira e ti circonda, innanzi al mare, e forse tu sei già serena e forse hai già riacquistato il sorriso, quel sorriso che io amo e che io veggo raggiarmi nello spirito inestinguibilmente.

Addio, addio. Amami, amami. Tutti i moti dell’animo tuo, tutti tutti i tuoi pensieri e i sogni sieno per me, tutti tutti tutti.

Non ti scrivo piú oltre. Io non so quel che ti dico. È quasi sera, la stanza è piena d’ombra, la casa è silenziosa. Un’onda di amarezza mi sale dal profondo cuore. Darei non so che cosa per perdere la coscienza dell’essere, per non sentire, per non pensare, per non soffrire cosí. È troppo, amica mia.

Che fai? Che fai in questo momento? Che fai? Per saperlo, darei la metà del mio sangue.

RICORDATI! Addio, addio.




Quando il Vate voleva liberarsi dei Savoia

La biografia politica di Gabriele D’Annunzio ci viene riproposta nell’interessante saggio di Vito Salierno, D’Annunzio e i Savoia (Salerno Editrice, pagg. 236, euro 14), che ne mette in luce il carattere eversivo nei confronti del sistema politico liberale e dello stesso istituto monarchico. Fervido proselita dell’entrata in guerra dell’Italia, a fianco di Francia e Inghilterra, nel 1915, D’Annunzio aveva mescolato la sua azione a quella dell’interventismo più radicale che, nelle sue componenti di sinistra e di destra,

minacciava addirittura un’azione rivoluzionaria per spingere Vittorio Emanuele III a fornire il suo consenso alla presa d’armi. Nel marzo di quell’anno, il letterato era coinvolto nel progetto di Peppino Garibaldi, nipote del duce dei Mille, che intendeva utilizzare la legione di volontari garibaldini, pronti a congiungersi con l’esercito francese nelle Argonne, in un colpo di mano in Liguria, dove duemila camicie rosse avrebbero dovuto affluire per forzare la mano al governo.
Pochi mesi più tardi,

la guerra si sarebbe sostituita alla rivoluzione, fornendo l’occasione a D’Annunzio di offrire alte testimonianze di valore, che ne ingigantirono a dismisura la statura politica e la sua presa sulle masse. Il vate embedded si prodigava in una serie di imprese mirabolanti, sempre accompagnate da un accorto battage pubblicitario: il forzamento del porto di Buccari al comando di una flottiglia di agili barchini d’assalto, gli arditi voli su Trento, Trieste, e quello su Vienna a pochi mesi dalla vittoria finale delle armi italiane.

Né D’Annunzio dimenticava di usare, insieme alla spada, anche la penna, intonando un inno in gloria del sovrano che, «dimesso l’ermellino e la porpora», aveva indossato gli umili «panni bigi» dei suoi soldati. Omaggio poetico che pare non avesse intenerito la dura scorza sabauda di Vittorio, il quale faceva osservare che le azioni di D’Annunzio sui campi di battaglia equivalevano semplicemente al suo dovere di soldato e non avevano bisogno di «essere strombazzate ai quattro venti». Più cordiali invece i rapporti con il Duca D’Aosta che lo lodava per aver sostituito l’anglico «hurrà!

» con il fatidico «eja, ejà, alalà!», come grido di guerra atto ad animare le truppe inviate all’assalto delle trincee avversarie.
Poi il tradimento degli alleati al tavolo di pace di Versailles, l’oltraggio della «vittoria mutilata» che il poeta intese vendicare con l’occupazione di Fiume, nel 1919, alla testa di una sua armata personale. Un gesto di ribellione aperta verso i poteri costituiti, per il quale il poeta ebbe la sfrontatezza di chiedere un preventivo consenso al sovrano, il quale avrebbe obiettato che la concessione di quell’autorizzazione oltrepassava la sfera delle competenze di un re costituzionale.

La stessa laconica risposta che Vittorio avrebbe opposto alla firma dello stato d’assedio nel 1922, per bloccare la marcia su Roma. Incassato il regale rifiuto, D’Annunzio si poneva decisamente al di fuori di ogni rispetto della legalità e della legittimità, con i fatti, sicuramente, ma anche con le parole. I suoi proclami adriatici parlavano una lingua ormai dichiaratamente eversiva, inneggiavano alla guerra totale delle «nazioni povere e impoverite» contro i nuovi padroni del mondo, paragonando l’impresa di Fiume alle gesta del repubblicanissimo Sinn Fein irlandese e persino alla rivoluzione bolscevica.

Intanto, dietro la silhouette del poeta cominciava a stagliarsi l’ombra inquietante di Mussolini. Tra i due uomini, che mai si sarebbero amati e che sempre avrebbero diffidato l’uno dell’altro, prendeva corpo una sorta di patto d’azione, scarso di risultati sul piano pratico ma denso di oscuri presagi per l’immediato futuro. Fantasmi di congiure, complotti, pronunciamenti militari, magari capeggiati dal Duca d’Aosta, già in avanzata linea di sintonia con il movimento fascista, si agitavano a ripetizione,

come fuochi fatui privi di consistenza fino alla primavera del 1920, ma prendevano corpo improvvisamente nel programma rivoluzionario redatto da Mussolini, nell’autunno successivo, dove si leggeva che «il colpo di stato dannunziano non deve essere né deve apparire reazionario e perciò è necessario che sin dall’inizio batta bandiera repubblicana».
Dopo i Romanoff, in Russia, anche i Savoia dovevano essere sbalzati dal loro trono, ma, se possibile, senza spargimento di sangue, e anzi a condizione di «guardarsi da brutalità contro le persone della famiglia reale».

Come in un controcanto bene intonato, D’Annunzio rispondeva all’incendiario proclama, l’anno successivo, sostenendo che la monarchia non era ormai che una semplice «facciata» istituzionale impersonificata da un «imbecille», la quale attendeva soltanto di essere abbattuta da un atto di forza che avrebbe dovuto «restituire al popolo italiano la pienezza della sua iniziativa».



Progetti legati a d’Annunzio

SUSMEL

SUSMEL è una base dati che raccoglie l’archivio personale del giornalista e scrittore Duilio Susmel acquistato dalla biblioteca e riguardante la storia italiana del periodo fascista e della Repubblica di Salò.
Il progetto ha permesso di inventariare tutto l’archivio rendendone possibile la consultazione. La ricerca si presenta molto semplice: l’interrogazione avviene mediante una maschera che offre varie possibilità di ricerca, anche incrociata, per titolo del documento, per data, per parola chiave, ecc.
Appartiene al Fondo Susmel anche un archivio fotografico di circa tremila fotografie con parte delle quali è stato realizzato un CD-ROM che raccoglie le foto riguardanti gli anni giovanili di Mussolini fino alla Marcia su Roma.

(Progetto realizzato dalla Società SELECTA con il coordinamento di Marcella Pisano)

AR.I.EL. – ARCHIVIO DELLE RACCOLTE DANNUNZIANE IN FORMATO ELETTRONICO

AR.I.EL. è un sistema informatizzato per la ricerca dei dati descrittivi di alcune raccolte dannunziane possedute dalla Biblioteca.
E’ stato ideato per consentire l’individuazione dei documenti in sostituzione del catalogo cartaceo, utilizzando un formato che offre un gran numero di accessi alla notizia grazie alla scelta dei campi inseriti e alla possibilità di effettuare ricerche su molti di essi.
Il programma è strutturato in modo da individuare l’elemento in qualunque posizione all’interno del campo.

Le raccolte dannunziane comprese nella base dati AR.I.EL. sono:

  • Raccolta dannunziana Gentile
  • Carteggio D’annunzio – Calmann Lévy
  • Raccolta D’Annunzio – Treves
  • Autografi vari
  • Manoscritto Aux bons chevaliers…

Il tutto per un totale di oltre 2700 unità.

Il programma è aggiornabile con le descrizioni delle altre raccolte dannunziane.
E’ già prevista la possibilità di associare ad ogni notizia le immagini del documento descritto, delle fotografie, di alcuni oggetti che appartennero a D’Annunzio e di altro materiale iconografico.

(Progetto di Livia Martinoli per la Sezione manoscritti della Biblioteca realizzato dalla Società SELECTA)

MAR.T.E. – MARCHE TIPOGRAFICHE EDITORIALI

MAR.T.E. è un archivio incrementabile di immagini raffiguranti le marche tipografiche ed editoriali tratte da edizioni a stampa antiche.
L’immagine è contenuta in una scheda descrittiva, in cui si è ritenuto opportuno ripetere alcuni elementi della Gestione marche di SBN-Antico (descrizione; fino a cinque parole chiave tratte dalla descrizione; fino a tre citazioni standard riferite a repertori che riportano la marca; il MID o numero identificativo attribuito nell’archivio), con l’aggiunta del nome del tipografo o editore o libraio al quale appartiene o viene attribuita la marca e, desunti dalle pubblicazioni, luogo e date estreme in cui la marca è apparsa. Ultimo elemento sono le dimensioni espresse in mm, indispensabili poiché le immagini non riflettono le dimensioni reali delle marche. La ricerca è possibile partendo da uno o più di questi campi, anche combinandoli fra di loro.
La funzione Confronto marche permette di avere prospettate sullo schermo due immagini contemporaneamente, consentendo un’analisi puntuale nel caso di marche simili. Il nome del tipografo/editore/libraio risulta dal collegamento con la scheda relativa, in cui è registrato anche il VID (il codice identificativo del nome nella base dati SBN-Antico), ulteriore chiave di ricerca per individuarne la presenza o meno in MAR.T.E.
La Biblioteca nazionale centrale di Roma ha promosso la realizzazione dell’archivio MAR.T.E. per inserire le marche tratte da edizioni italiane del ‘600, in seguito all’avvio del progetto Seicento, che prevede la catalogazione di 30.000 edizioni del XVII secolo possedute dall’Istituto.

(Progetto di Marina Venier realizzato dalla società SELECTA)

UNA RETE PER GLI ARCHIVI LETTERARI DEL 900

Il progetto (nato dalla collaborazione fra la Biblioteca nazionale centrale di Roma e l’Istituto per gli studi di letteratura contemporanea presieduto da Mario Petrucciani) si prefigge lo scopo di fornire un luogo virtuale di incontro a tutti colore che in istituzioni pubbliche, fondazioni, oppure come privati, si occupano della gestione, della conservazione, della valorizzazione di archivi letterari del Novecento italiano.
Il sito WEB della Biblioteca nazionale ospita in “Una rete per gli archivi letterari del 900” i dati relativi ai manoscritti, documenti, carteggi e biblioteche d’autore posseduti dalle biblioteche e da altre istituzioni che si sono collegate al progetto.
Per ogni biblioteca è stata allestita una pagina che contiene tutte le notizie essenziali sui fondi novecenteschi oltre alle informazioni generali circa i referenti, gli orari e le modalità di consultazione; qualora l’istituto abbia una sua descrizione dei fondi on line si accede direttamente ad essa.
Il progetto è fornito di un motore di ricerca che consente il reperimento “trasversale” delle informazioni e il collegamento incrociato fra istituti.
Attualmente le informazioni raccolte riguardano circa 30 istituti, fra pubblici e privati, ma l’aggiornamento è quotidiano e il progetto si configura come un work-in-progress in costante ampliamento.

(Responsabile del progetto: Simonetta Buttò e Giuliana Zagra. Realizzazione: Logo 2000)



Le frasi più belle

In quella fine estate tutte le cose avevano non so che linguaggio appassionato e dolce. ( d’Annunzio )

Io vorrei che tutti i tuoi sensi fossero chiusi ad ogni altra sensazione che non ti venisse da me ( d’Annnunzio )

Voi soltanto siete vera. Il resto è nulla. ( d’Annnunzio )

Perché la notte non piange tutte le sue stelle ( d’Annunzio )

L’incoerenza è la prerogativa dell’artista. ( d’Annunzio )