L’impresa di Fiume, i motti Dannunziani, le apparizioni pubbliche e il modo squillante, acuto e cristallino di arringare le folle rappresentano inconsapevolmente le prove generali degli strumenti propagandistici utilizzati per più di vent’anni dal regime.
Ognora desto
Motto che serviva a Poeta da sprone al suo lavoro letterario.Lo usò per i suoi ex libris accompagnato dall’immagine di un gallo che canta ritto su una pila di libri.
Io ho quello che ho donato
Inciso sul frontone all’ingresso del Vittoriale,e’questo il più celebre dei motti dannunziani.Alla affermazione apparentemente paradossale,usata dal poeta fino agli ultimi anni della sua vita,e legata l’idea della generosità e della munificenza a cui il Poeta si ispirò sopratutto negli ultimi anni trascorsi al Vittoriale. Racchiuso in un tondo recante la figura di una cornucopia,simbolo dell’abbondanza,o impresso al centro di due cornucopie,il motto si trova impresso sui sigilli,sulla carta da lettere e su tutte le opere di Gabriele d’Annunzio pubblicate dall’Istituto Nazionale e dall’Oleandro. Il Poeta affermò di aver trovato la frase incisa su una pietra di focolare appartenente a un camino del Quattrocento.In realtà è la traduzione di un emistichio del poeta latino Rabirio,contemporaneo di Augusto,citato da Seneca nel VI libro del De beneficiis:”Hoc habeo quadcumque dedi”.La frase e’ riportata in un trattato seicentesco dell’Abate Giovanni Ferro come motto di un cavaliere spagnolo del Cinquecento.
Piegandomi lego
Motto impresso sulla carta da lettere e sugli ex libris con l’immagine di un salice pingente che si piega legandosi ad un altro albero.Non è escluso che si “piega” alla volontà di Mussolini che lo vuole lontano dalla vita politica della nazione.
Suis viibus pollens possente di sua propria forza
Una delle frasi predilette dal d’Annunzio che la fece incidere sui sigilli dorati con cui chiudeva le buste e sugli oggetti che usava donare agli amici:gemelli e portasigarette d’argento.E’ inscritta in un tondo recantee l’immagine di un elefantee con la proboscite in alto.
Vivere ardendo e non bruciarsi mai
Parafrasi di un verso di Gaspara Stampa:” Vivere ardendo e non sentire il male”.Il motto fu adottato da d’Annunzio anche in guerra durante l’impresa di Fiume.
Resto dentro di me
La frase latina è legata alla immagine della tartaruga che resta nel suo guscio.D’Annnunzio la fece incidere su una placca che inviò a Mussolini ne ’35.Il Poeta era solito regalare agli amici piccole tartarughe d’argento che usava come “talismani”.
Cosa fatta capo ha
Celebre frase dantesca usata da d’Annunzio per sancire la sua impresa divenuta dopo pochi giorni gia’ leggendaria.Per i Poeta la parola “capo” ha il doppio significato di “principio” e di “comandante”. D’Annunzio fece disegnare per il motto,da Adolfo De Carolis,la figura di un nodo tagliato da un pugnale:rappresenta il nodo scorsoio che il presidente Wilson aveva messo intorno alla gola dell’Italia,stabilendo le umilianti condizioni di pace. Il motto fu gridato dal Comandante il 12 settembre 1920 nell’annunciare che avrebbe inviato al Senato americano la nuova delibera del Consiglio di Fiume contro il Patto di Londra.
Indeficienter
Si trova sullo stemma che Leopoldo I concesse aal città di Fiume nel 1659,sotto un’urna che versaacqua perenne,sovrastata da un’aquila ad ali spiegate.Secondo la leggenda l’acqua di Fiume serviva a guarire tutti i mali.”L’Urna inesausta” del vecchio stemma fu ripresa da d’Annunzio come simbolo della città occupata dai legionari e impressa sui francobolli della “Reggenza del Carnaro”.
Hic manebimus optime Non ducor, duco
Non sono guidato,guido Motto dei ligionari fiumani.E’ scritto in un cartiglio posto alla base di una ghirlanda di rami di quercia.Al centro campeggia un braccio si un guerriero che impugna la lancia.
Me ne frego
Il motto è ricamato in oro al centro del gagliardetto azzurro dei legionari fiumani.Un motto “crudo”, come lo definì il Poeta,tratto dal dialetto romanesco, ma a Fiume -disse il Comandante – “la mia gente non ha paura di nulla nemmeno delle parole”.Il motto appare per la prima volta nei manifesti lanciati dagli aviatori della Squadra del Carnaro su Trieste.
A ferro freddo
Grido di battaglia ,lanciato da d’Annunzio contro Francesco Misiano,deputato al Parlamento,che avversava la causa di Fiume e che tentò di entrare nella “Città di Vita” per sobillare la popolazione contro il Comandante.D’Annunzio incitò i suoi legionari a dare la caccia al “traditore” e a infliggergli il castigo immediato, “a ferro freddo”.
A noi !
Risposta alla enfatiche domande poste ai legionari durante la Festa di San Sebastiano,il 20 genneio 1920: “A chi la forza?” “A noi.” “A chi la fedeltà?” “A noi.” “A chi la vittoria?” “A noi.” Ma alla fine di quello stesso anno la domanda ai fedeli legionari cambiava: dopo il “Natale di sangue” era svanito ogni entusiasmo , non c’erano che morti e feriti in una città “assassinata” sulla quale il Comandantee non può che gettare un alalà funebre.E conclude: “A chi l’ignoto?” “A noi.”