Ribelli, insofferenti, spiriti liberi. L’area degli “scalmanati” rispecchia l’anima più originale del fiumanesimo. Il fenomeno presenta una forte corrispondenza con le realtà artistiche e ideologiche coeve: il dadaismo negatore e soprattutto il futurismo politico, la cui vicenda s’intreccia con la storia dell’impresa proprio attraverso i percorsi di Marinetti. Sempre per rintracciare somiglianze e cercare d’individuare punti di collegamento tra i molteplici eventi della rivolta novecentesca, alcuni aspetti dell’avventura fiumana possono essere messi a confronto con movimenti lontani nello spazio e nel tempo. Ma si potrebbe azzardare un paragone con le agitazioni giovanili degli anni della contestazione? Agli occhi di molti non sarà cosa buona accostare realtà così diverse, pensandoci bene però, nel pentolone del laboratorio fiumano le componenti più anarchiche e creative hanno affrontato discorsi e tentato esperienze che giustificano un simile parallelo: dall’amore libero all’emancipazione della donna, dalla circolazione delle droghe al desiderio di abolire le carceri e il denaro, ma anche la critica della politica ufficiale e la ricerca di forme d’economia non influenzate dal profitto, la tutela del lavoro e inoltre l’opposizione alle grandi potenze imperialistiche, la difesa di tutti gli oppressi, popoli, classi, individui, delle diversità e delle sacche di resistenza contro l’ordine mondiale.
Appare come dato presente in tutti gli episodi di insubordinazione la vita-festa, intesa come ribellione, esaltazione collettiva, immaginazione senza limiti e liberazione mentale. Concetti che peraltro si ritrovano in molti slogan scritti sui muri delle nostre università, nel ’68: “L’immaginazione al potere”, “Proibito proibire”, “Prendete i vostri desideri per realtà”, “Apriamo le porte dei manicomi e delle prigioni e dei licei e dei nidi d’infanzia”. Durante le rivolte, la festa rappresenta la vittoria totale della vita collettiva su quella privata, mentre l’individuale si spinge nel sociale: passioni, idee e sogni non sono del singolo ma di tutti. La festa rivoluzionaria non si esaurisce in un giorno, anzi, il suo carattere particolare è di prolungarsi come una “vacanza”, termine che significa proprio una condizione di vuoto, interruzione, cessazione di normali attività. La festa è un clima che accompagna in genere la fase iniziale di un’insurrezione, quella destabilizzante e spontanea, prima che intervenga il processo di normalizzazione che tende a immettere in un ordine la rivoluzione per farla durare nel tempo. La vita-festa è tipica soprattutto delle ribellioni caratterizzate dalla transitorietà, nate non per durare, ma per tracciare un segno, indicare una via, comete effimere destinate però a rimanere nella memoria collettiva e a incidere anche dopo la conclusione della loro parabola, come il Sessantotto, o la reggenza di Fiume, nella cui costituzione si legge che la musica è il principio centrale dello stato.
Uno stato davvero irreale che si finanzia con i clamorosi colpi di mano degli Uscocchi, in ricordo degli antichi pirati, che attira a sé artisti, bohémien, anarchici, avventurieri, apolidi, omosessuali, dandy, militari, riformatori d’ogni tipo. Dove D’Annunzio comanda leggendo dal balcone proclami che sono pura letteratura, dimostrando così che l’arte è un fatto essenziale nell’impegno politico. In luogo della politica tradizionale, dunque, la creatività, il piacere invece del dovere: questa è la ribellione desiderante attuata a Fiume dove si vive nella perpetua festa tra i cortei, fanfare, canti, balli, concerti, spettacoli, fuochi d’artificio. Dopo tanti mesi di baldoria, un breve assedio e quattro cannonate fanno franare questa magnifica utopia.