martedì 8 settembre 2020

La città morta (1896)

 D'Annunzio, a circa vent'anni di distanza, celebra la scoperta archeologica di Troia e Micene da parte dello Schliemann, una ventina d'anni prima. La scena mette in mostra una compagnia di giovani arricchiti, tra cui un giovane archeologo, che a Micene rinviene la tomba di Agamennone. Due ragazze, nel frattempo (l'una delle quali cieca), leggono l'Antigone di Sofocle per legarsi maggiormente nello spirito alla sensazione di grande rinascita della culla della civiltà greca, per cui autori come Omero, Eschilo ed Euripide hanno contato le gesta.

L'archeologo Leonardo riesce a coronare il suo sogno, scoprendo le tombe di Cassandra e Agamennone a Micene. Con lui ci sono la sorella Bianca Maria, dolce creatura che passa il tempo leggendo Sofocle, e gli amici Alessandro ed Anna, marito e moglie, lui poeta e lei sua semplice consorte, priva della vista, e molto amica di Bianca Maria con cui passa la giornata ascoltando i tragici greci. Loro sono due donne che vivono in adorazione dei mariti, rispettivamente fratello e marito, ma Alessandro è innamorato di Bianca Maria, la scena della dichiarazione avviene nel momento in cui lei sta contemplando le maschere funebri rinvenute a Micene; pare che d'Annunzio si ispirò allo Schliemann che fece la sua dichiarazione alla futura moglie, mentre maneggiava la maschera di Agamennone.

Ma Bianca Maria respinge Alessandro, comunicandogli di essersi votata alla verginità; d'altro canto Leonardo ama Maria a sua volta, un amore possessivo e geloso, nutrendo dei sentimenti molto oltre quelli del comune fratello protettivo, e per questo è combattuto non volendoglielo comunicare. Leonardo diventa folle di gelosia per Alessandro, si apparta con Bianca Maria presso la fonte Perseia, meditando il delitto contro l'amico, mentre Anna che ha intuito l'amore del marito per la fanciulla, e l'incombere di una tragedia irreversibile, quasi fosse una veggente nella sua cecità, lo incita ad affrettarsi verso la fonte, ma giunge troppo tardi: Bianca Maria è morta, il cadavere viene raggiunto da Anna, la scena si conclude con lei che riconosce l'amica e urla di orrore

Pare che l'intento di d'Annunzio fosse quello di realizzare un dramma moderno, capace di rivaleggiare con la tragedia greca, volle rappresentare l'azione della catarsi, sublimando le passioni del pubblico, mettendo Bianca Maria come vittima espiatrice dei peccati, come fosse la figlia di di Agamennone Ifigenia. Se questo fosse stato il vero intento di D'Annunzio, il prodotto finale pecca di vari fraintendimenti del senso stesso della tragedia greca e dei suoi temi, come il destino e l'espiazione, il tema dell'incesto di Leonardo e Bianca Maria sembra essere un contorno alla sensazione tragica, ma si pone come struttura portante della vicenda.
Il tutto sembra ruotare attorno a un sentimento di adorazione e di osannare l'antico da parte di d'Annunzio, trattando della scoperta di Micene e Troia da parte dell'archeologo Schliemann, tipiche esaltazioni e furori romantici dell'era del decadentismo.



Il Sogno di un mattino di primavera e Sogno d'un tramonto d'autunno (1896-97)

 Queste due opere prime teatrali sono strettamente legate tra loro, per quanto riguarda la tensione del protagonista con la sensazione della morte imminente e la confitta dinanzi alla vita. Nel 1897 in pochi giorni D'Annunzio scrive per la Duse una tragedia, il primo Sogno, elabora l'idea nella villa di Albano alla fine di marzo, quando inizia a sviluppare la figura della protagonista "Demente". La protagonista diventa folle d'amore, per tutta la notte tiene in braccio l'amante ridotto in fin di vita dal marito, ricoperta di sangue dell'amato, a nulla servono i tentativi di riabilitarla dal medico e dalla sorella Beatrice. Il "sogno" è un breve idillio in cui la protagonista sembra riacquistare il senno e la calma, Isabella sogna di essere in un lussureggiante giardino, lontano dalla morte e dalla pausa, il suo desiderio di metamorfosi viene scoperto da Virginio, fratello dell'amante ucciso, segretamente innamorato di lei, il simbolo della tragedia sta nel punto in cui nel sogno Isabella prende un ramo e lo trasforma in ghirlanda, simbolo della primavera, della dicotomia tra vita e morte presente nella tragedia.

Dal punto di vista stilistico la prima tragedia è un esperimento in cui vi sono delle tracce che D'Annunzio userà sostanzialmente in quasi tutte le altre tragedie, la dicotomia vita-morte, la follia d'amore, la passione, la gelosia.

  • Nella prima opera una povera donna di Firenze, impazzita d'amore, sta vivendo gli ultimi momenti con la famiglia, che cerca invano di farla rinsavire, prima di entrare in manicomio. Il motivo di tale follia è un amore non corrisposto.
  • Nella seconda opera, ambientata nel '700 a Venezia, la moglie di un Doge non precisato, chiama una fattucchiera perché il nuovo Doge, il suo amante per cui lei ha assassinato il vero Doge, suo marito, adesso è in un bordello, a sollazzarsi con una crudele prostituta. La fattucchiera, con un rito magico a base di cera e capelli dello sventurato, fa prendere fuoco il bordello.

Nel secondo Sogno il tema è lo stesso, quello del tradimento d'amore, la follia, la vendetta, anche gli scenari cambiano, se nel primo Sogno la scenografia è più tranquilla e sensuale, qui si la descrizione paesaggistica del rossore del cielo sembra combaciare con la tensione emotiva della protagonista, pronta a scoppiare nell'omicidio, nella distruzione, nella vendetta amorosa. Lo spirito dionisiaco avvolge la nemica della protagonista, la meretrice Pantea con cui il doge di Venezia si è appartato, che naviga il Brenta su una nave dorata verso la città, seguita da altri amanti folli di lei. La vicenda della dogaressa Gradeniga sembra ricordare la Medea euripidea, lei per il doge ha ucciso suo marito, legittimo doge di Venezia, ora con i sortilegi intende vendicare il tradimento, sicché, sempre rievocando un'altra scena euripidea delle Baccanti, gli amanti della meretrice sono stregati dai filtri e dalle maledizioni della dogaressa, e si avventano su Pantea uccidendola, sempre alla tragedia greca D'Annunzio allude, usando in questa opera la figura del messaggero, che interviene nel raccontare i particolari più cruenti, come la scena dell'uccisione della nemica.




Il teatro dannunziano (1896 - 1914)

 D'Annunzio entrò in contatto con il teatro grazie ad Eleonora Duse, circa nel 1895. Il suo intento era di riformare da un punto di vista totalmente sperimentale la drammaturgia italiana, incentrata in storie che ricalcavano i grandi avvenimenti del passato rinascimentale o romano-greco. Il tutto doveva svolgersi in scenografie di ampia suggestione emotiva, che avrebbero dovuto mettere in comunicazione panica lo spettatore con la natura e l'aura di ombra e mistero del destino, facendo provare sensazioni oniriche.



Il libro segreto (1936)

 Ossia titolo completo: Le cento e cento e cento e cento pagine del libro segreto di Gabriele d'Annunzio tentato di morire è l'ultima opera in prosa ufficiale del poeta, redatta nel Vittoriale degli italiani nel 1935. Il poeta si abbandona al ricordo delle sue imprese fiorentine e alla sua infanzia soprattutto, dichiarando di essere stato scelto dal destino e dalla volontà divina di esser poeta, patriota e combattente, mettendo sempre a rischio la vita. Infatti d'Annunzio sostiene di aver ricevuto una visione durante la visita al santuario dei Sette Dolori di Pescara, affermando che i suoi progetti per il futuro consistevano in una semplice vita da erudito.



La Leda senza cigno (1916)

 Il tentativo è quello di ricercare nuove esperienze di vita, come già avvenuto con le automobili e gli aeroplani in Forse che sì, forse che no. D'Annunzio si adegua con più coerenza, anche se la storia non ha una trama precisa, una donna gira di albergo in albergo con un oscuro amante che la domina, e con il fidanzato che lui le procurò, quasi lei debba pagargli un pegno. Questo amante procurato viene avvelenato dalla morfina, indotto a sottoscrivere una grossa assicurazione sulla vita in favore della fidanzata, è infine ucciso in una disgrazia. Nasce il sospetto del delitto, la donna è di nuovo prigioniera della scelta: denunciare ambedue oppure tacere, sicché il grosso macigno della colpa la travolge, e si suicida.

La prosa si concentra sulle descrizioni cupe della donna, contrapposte alla sua sgargiante bellezza, nella scena del canile tra i bianchi levreieri, la donna sembra rinnovare il mito della Leda tra i cigni.




Il Notturno (1916 poi 1921)

 Si tratta di un memoriale della Prima guerra mondiale, in cui d'Annunzio dà prova del suo stile, narrando in tre parti ("offerte") le sofferenze del conflitto. Il titolo allude all'incidente di d'Annunzio durante il volo su Vienna, quando fu ferito ad un occhio, battendo la tempia dentro l'aereo. Essendo costretto a letto, bendato, nella convalescenza, il poeta volle esprimere le sue sensazioni scrivendo alla cieca su lunghi fogli di carta. La scrittura è asciutta, piena di frasi brevi e spezzate, disposte a colonna, in un verticalismo lirico che ricorda la metrica di Giuseppe Ungaretti. Tra gli episodi più famosi descritti, vi è quello del rientro della salma, a Venezia, dell'aviatore Giuseppe Miraglia, amico intimo di d'Annunzio. Il poeta si sofferma a lungo per tutta la prima parte dell'opera su questa scena, descrivendo in maniera minuziosa il suo stato d'animo, mentre è seduto davanti al letto dove giace il corpo.



Le Faville del maglio (1911-1914, poi 1928)

 Scritti di prosa lirica usciti sulla Terza pagina de Il Corriere della Sera, in quattro serie, tra il 1911 e il 1914, furono redatte durante il soggiorno in Francia. L'autore li raccolse in due volumi, pubblicati dall'Editore Treves , raccolti definitivamente in due tomi: Il venturiero senza ventura e altri studii del vivere inimitabile nel 1924, dedicato a Eleonora Duse; il secondo, Il compagno dagli occhi senza cigli nel 1928, con lunghe parentesi rievocative della fanciullezza del poeta a Pescara e al Collegio Cicognini. Il titolo allude alla simultaneità dell'opera, costituita come uno scritto di intermezzo tra i grandi capolavori dannunziani del passato e quelli che devono sopraggiungere: le sue riflessioni, ricordi, confessioni sono come le "faville" sprizzanti dall'incudine battuto dal poeta fabbro (il maglio).

Tra gli scritti figura quello in cui D'Annunzio accoglie, dopo tanti anni, un vecchio compagno conosciuto al Liceo Cicognini di Prato. Il ragazzo, di nome Dario, è mostrato malato e febbricitante, mentre d'Annunzio si tratteggia in splendida forma, addirittura un giorno seduto seminudo sul tetto di casa, sfidando il temporale e la pioggia.