martedì 8 settembre 2020

Il Sogno di un mattino di primavera e Sogno d'un tramonto d'autunno (1896-97)

 Queste due opere prime teatrali sono strettamente legate tra loro, per quanto riguarda la tensione del protagonista con la sensazione della morte imminente e la confitta dinanzi alla vita. Nel 1897 in pochi giorni D'Annunzio scrive per la Duse una tragedia, il primo Sogno, elabora l'idea nella villa di Albano alla fine di marzo, quando inizia a sviluppare la figura della protagonista "Demente". La protagonista diventa folle d'amore, per tutta la notte tiene in braccio l'amante ridotto in fin di vita dal marito, ricoperta di sangue dell'amato, a nulla servono i tentativi di riabilitarla dal medico e dalla sorella Beatrice. Il "sogno" è un breve idillio in cui la protagonista sembra riacquistare il senno e la calma, Isabella sogna di essere in un lussureggiante giardino, lontano dalla morte e dalla pausa, il suo desiderio di metamorfosi viene scoperto da Virginio, fratello dell'amante ucciso, segretamente innamorato di lei, il simbolo della tragedia sta nel punto in cui nel sogno Isabella prende un ramo e lo trasforma in ghirlanda, simbolo della primavera, della dicotomia tra vita e morte presente nella tragedia.

Dal punto di vista stilistico la prima tragedia è un esperimento in cui vi sono delle tracce che D'Annunzio userà sostanzialmente in quasi tutte le altre tragedie, la dicotomia vita-morte, la follia d'amore, la passione, la gelosia.

  • Nella prima opera una povera donna di Firenze, impazzita d'amore, sta vivendo gli ultimi momenti con la famiglia, che cerca invano di farla rinsavire, prima di entrare in manicomio. Il motivo di tale follia è un amore non corrisposto.
  • Nella seconda opera, ambientata nel '700 a Venezia, la moglie di un Doge non precisato, chiama una fattucchiera perché il nuovo Doge, il suo amante per cui lei ha assassinato il vero Doge, suo marito, adesso è in un bordello, a sollazzarsi con una crudele prostituta. La fattucchiera, con un rito magico a base di cera e capelli dello sventurato, fa prendere fuoco il bordello.

Nel secondo Sogno il tema è lo stesso, quello del tradimento d'amore, la follia, la vendetta, anche gli scenari cambiano, se nel primo Sogno la scenografia è più tranquilla e sensuale, qui si la descrizione paesaggistica del rossore del cielo sembra combaciare con la tensione emotiva della protagonista, pronta a scoppiare nell'omicidio, nella distruzione, nella vendetta amorosa. Lo spirito dionisiaco avvolge la nemica della protagonista, la meretrice Pantea con cui il doge di Venezia si è appartato, che naviga il Brenta su una nave dorata verso la città, seguita da altri amanti folli di lei. La vicenda della dogaressa Gradeniga sembra ricordare la Medea euripidea, lei per il doge ha ucciso suo marito, legittimo doge di Venezia, ora con i sortilegi intende vendicare il tradimento, sicché, sempre rievocando un'altra scena euripidea delle Baccanti, gli amanti della meretrice sono stregati dai filtri e dalle maledizioni della dogaressa, e si avventano su Pantea uccidendola, sempre alla tragedia greca D'Annunzio allude, usando in questa opera la figura del messaggero, che interviene nel raccontare i particolari più cruenti, come la scena dell'uccisione della nemica.