lunedì 7 settembre 2020

I figli di Gabriele D'annunzio

 Mario nasce a Pescara nella tenuta di campagna dei d'Annunzio, conosciuta come Villa del Fuoco, il 13 gennaio 1884; di salute delicata nella sua prima infanzia, viene presto affidato ai nonni paterni a Pescara. Nel 1895, Mario viene iscritto allo stesso Collegio Cicognini di Prato dove aveva studiato il padre, ma con un rendimento scolastico che sarà motivo di delusione per il Poeta. Nel 1906 ottiene ildiploma di Capitano di lungo corso presso l'Istituto Tecnico Commerciale di Livorno. Dopo aver lavorato presso la Direzione Generale della Navigazione Generale Italiana, passa nel nuovo servizio delle Ferrovie dello Stato, dove raggiunge il grado di Ispettore capo delle ferrovie.

Nel 1938 sposa Angela Benetti, ma da questa unione non nascono figli. Muore a Roma nel 1964

Gabriellino nasce Roma nel 1886, e ben presto viene mandato ad una balia di Olevano Romano. Successivamente la madre lo porta con sè a Parigi,dove studia al Liceo Sailly per poi iscriversi, per volere del padre, al Collegio Cicognini di Prato dove consegue la licenza nel 1903. In seguito frequenta la Scuola di recitazione di Luigi Rasi, per dedicarsi all'arte drammatica. Come attore interpreta alcune opere del padre: nel 1905 sostiene la parte di Simonetto nella tragedia La fiaccola sotto il moggio al Teatro Manzoni di Milano; nel 1908 prende parte alla prima della Nave e nel 1909 recita nella la parte di Ippolito nella Fedra al Teatro Lirico di Milano. Debutta anche come attore cinematografico legando il suo nome a film come La Nave e Quo vadis. Dopo un fidanzamento con l'attrice Maria Melato, si lega Maria Brizi. Nel giugno del 1925 si cominciano a manifestare i sintomi di una grave ma ignota malattia che renderanno cagionevole per sempre la sua salute. Muore a Roma nel 1945.

Ugo Veniero nasce a Roma nel 1887; registrato all'anagrafe capitolina come Ugo, viene poi battezzatoper volere del padre con il nome di Veniero “che è più forte affinchè il figliuolo porterà il fato nel nome,c he è glorioso di gran gloria navale” quella di Lepanto, preparata e vinta dal Doge e Ammiraglio veneziano Sebastiano Venier (1496-1578). Veniero conduce una vita più distaccata dalla famiglia: trascorre l'adolescenza tra Roma, Parigi e poi Zurigo dove frequenta la Facoltà di Ingegneria Meccanica. Nel 1914 presta servizio militare come Ufficiale di artiglieria e poi come Ingegnere Meccanico lavora per l'Aviazione Militare presso le officine Caproni per le quali nel 1917si reca negli Stati Uniti come capo missione e come progettista per la stessa Caproni Aeroplans di Detroit. Nel 1919 ritorna in Italia e si congeda dal servizio militare con il grado di capitano: in seguito si occupa come disegnatore della fabbrica di automobili Isotta Fraschini e come rappresentante di questa casa, nel 1924, si trasferisce negli Stati Uniti e nel 1930 ne prende la cittadinanza. Dopo un primo matrimonio con la cittadina svizzera Anna Elena Nussberger,dalla quale divorzia nel 1937 dopo aver avuto una figlia, Anna Maria, si risposa a New York con Luigia Bertelli, dalla quale nel 1942 nasce il figlio Gabriele. Nel 1945 si spegne a New York per un male incurabile.

Renata Anguissola in Montanarella nasce a Resina ( Na ) nel 1893 dalla relazione fra d'Annunzio e Maria Gravina Cruyllas sposata al conte Guido Anguissola. Renata, figlia molto amata dal Poeta che la chiamava affettuosamente “Cicciuzza”, viene ricordata per la sua vicinanza ed assistenza al padre nel periodo in cui era in convalescenza a Venezia, nella “Casetta rossa”, per l'incidente all'occhio destro verificatosi dopo un ammaraggio brusco nelle acque di Grado ,nel 1916. A lei si deve la trascrizione e il riordino dei cartigli scritti dal Poeta bendato, utilizzati in seguito per la redazione del Notturno, pubblicato nel 1921. Durante la permanenza alla “Casetta rossa”, Renata conosce il Tenente di vascello, Sivio Montanarella, che sposa nell'agosto del 1916: testimoni delle nozze sono il padre e Mario d'Annunzio. Da questa unione nascono 8 figli che rendono nonno il Poeta per la prima volta.Renata muore nel 1976 e viene sepolta nel cimitero del Vittoriale.





La moglie di Gabriele Dannunzio Maria Hardouin

 Maria Hardouin nasce a Roma nel 1864 dal Duca Giulio di Gallese e Natalia Lezzani. Conosce il futuro poeta nel febbraio del1883 e, dopo una fuga d'amore a Firenze, si sposano a Roma il 28 Luglio dello stesso anno nella cappella di Palazzo Altemps; testimoni di nozze dello sposo sono Francesco Paolo Michetti, fratello spirituale, e Baldassarre Avanzini, direttore del “Fanfulla”. Nel gennaio del 1884, nasce a Pescara il primo figlio della coppia, Mario, ben presto affidato ai nonni paterni. Nel 1885 Maria e Gabriele tornano a vivere a Roma: qui nascono nel 1886 il secondo figlio Gabriele e poi, nel 1887, Ugo Veniero. Dopo il 1890 i coniugi si separano di fatto e nel 1894 Maria presenta la prima domanda di separazione per salvare una parte del patrimonio famigliare: dopo una prima archiviazione, la separazione viene legalizzata nel 1899 dal presidente della I sezione civile del Tribunale di Roma. I tre figli vengono affidati al padre con l'onere di provvedere al loro sostentamento ed educazione.Dopo la separazione, Maria Hardouin si trasferisce a Parigi, dove riceve il Poeta, fuggito in Francia dopo il dissesto economico della Capponcina, e qui diviene amica intima del letterato Robert de Montesquiou, conte di Fezensac, che la introduce nei salotti parigini e favorisce l'ascesa del Poeta nell'ambiente culturale della capitale .Dopo la fine della I Guerra Mondiale e l'impresa di Fiume, si trasferisce a Gardone Riviera, nella Villa Marabella, unita sin dal 1924 al comprensorio del Vittoriale, dove muore il 18 gennaio 1954.

 


I fratelli di Gabriele D'annunzio

 Dal matrimonio fra Francesco Paolo e Luisa d'Annunzio nascono oltre a Gabriele, (1863), altri quattro figli: Anna (1859), Elvira (1861), Ernestina (1865) ed Antonio (1867).

Anna d'Annunzio nasce a Pescara il 27 luglio 1859. Nel 1885 sposa Nicola De Marinis, agiato possidente pescarese:da questa unione nascono 13 figli, dieci dei quali si spengono in tenera età. L'immenso dolore per queste morti immature sconvolsero profondamente per tutta la vita la sorella tanto amata dal Poeta che si spegne il 9 agosto del 1914.

Elvira d'Annunzio nasce a Pescara il 3 novembre 1861. Il 9 aprile 1888 sposa il farmacista Michele Luise: dal loro matrimonio nascono 8 figli, dei quali solo l'ultimo muore in tenera età. Si spegne a Pescara nel 1942

Ernestina d'Annunzio nasce a Pescara il 10 luglio 1865. Nel marzo del 1892 sposa Antonino Liberi, noto Architetto ideatore e realizzatore di molti edifici in stile eclettico e liberty a Pescara e in Abruzzo :hanno una figlia ,Nadina, nipote tanto amata dal Poeta, consciuta col nome di Nada Moscada per le molte lentiggini. Anna muore a Pescara nel 1938.

Antonio d'Annunzio nasce a Pescara nel 1867. Viene ricordato per la sua vocazione per la musica, come compositore e direttore d'orchestra. Nel 1901 si trasferisce negli Stati Uniti dove vive dando lezioni di pianoforte.e suonando l'oboe in un'orchestra Qui sposa Adele d'Annunzio, omonima ma non parente,dalla quale ha due figli.Nel 1929 con la crisi di Wall Street perde tutto il denaro investito in borsa e per questo inizia a chiedere prestiti al Poeta che dapprima lo aiuta inviandogli cospicue somme, ma poi stanco per le continue richieste, si rifiuta di incontralo a Vittoriale. Muore nel 1945 a New York.



Genealogia della famiglia d'annunzio

 La famiglia del Poeta discende da Francesco d'Annunzio, che risulta proprietario della casa di Corso Manthonè già nel catasto murattiano del 1809. Ricco possidente di vari beni immobili e padre di Antonio che nel 1836 sposa Anna Giuseppa Lolli, sorella maggiore di Rita Olimpia, sposata a sua volta a Camillo Rapagnetta con il quale ha sette figli. L'ultimo di questi figli si chiama Francesco Paolo che, nel 1851,viene adottato dagli zii, Antonio e Anna Giuseppa

d'Annunzio, e in seguito rinunzia al primo cognome registrando i figli con il nuovo cognome.
Il Poeta, infatti, fin dall'atto di nascita, con l'avallo del nonno Camillo Rapagnetta che compare come testimone, viene legittimato solamente come d'Annunzio. Quanto al nome, Gabriele si chiamava un fratello di Antonio d'Annunzio, perito in mare prima dell'adozione di Francesco Paolo.


Il padre di Gabriele d'Annunzio Francesco Paolo Rapagnetta

 Il padre di Gabriele d'Annunzio,Francesco Paolo Rapagnetta, nato nel 1838, era stato adottato da una sorella della madre Rita, Anna Lolli, che aveva sposato in seconde nozze, dopo la morte del primo marito, un facoltoso commerciante ed armatore, Antonio d'Annunzio. Camillo Rapagnetta e Rita Lolli cedettero il sesto figlio agli zii: l'adozione fu approvata dalla Corte Civile de L'Aquila con decreto del 4 Dicembre 1851.

Il Poeta descrive la figura del padre in alcuni brani del Il compagno dagli occhi senza cigli in Le Faville del maglio:

“ Mio padre è là corpulento e sanguigno, un poco ansante, con quel suo sguardo un poco torvo in cui passava talvolta uno strano ardore come di fosforo che vi s'accendesse.
M'è vicino e m'è lonatano, è fatto della mia stessa sostanza e m'è sconosciuto. Ho potuto vivere lungo tempo discosto da lui, talvolta ho potuto avversarlo, talvolta perfino dimenticarlo...
Spirito tirannico quan'altri mai, egli aveva da tempo abdicata la sua autorità sopra me, solo attento a vigilare le mie tendenze e a spiare l'ombra dei miei sogni.”

Il padre, entusiasta per le precoci doti letterarie del figlio,convittore al collegio Cicognini di Prato, fa pubblicare a sue spese le due edizione di Primo Vere, la prima (1879 ) dal tipografo G: Ricci di Chieti e la seconda (1880) dall'editore Rocco Carabba di Lanciano. E quando le opere giovanili sollevarono dispute contrastanti nella critica letteraria, Francesco Paolo decide di consacrare queste prime affermazioni poetiche facendo dipingere nella volta del salotto del secondo piano i titoli delle prime opere: negli angoli del salone quattro colombe ad ali spiegate recano nel becco piccoli cartigli che inquadrano i titoli di Primo vereCanto novoTerra Vergine e Intemezzo di rime. Queste decorazioni sono scomparse per i danni causati dagli eventi bellici del secondo conflitto mondiale.

In seguito,vicissitudini delle vita determinano tra padre e figlio rapporti di astio e avversione che culminano in un allontanamento doloroso: il Poeta tornerà a Pescara per la morte del padre nel 1893, ma a sepoltura avvenuta, e per occuparsi della famiglia e della madre, ormai ridotta in miseria e oberata da debiti e ipoteche contratti dal Padre.



La madre di Gabriele D'annunzio Luisa De Benedictis

  Luisa De Benedictis nasce ad Ortona a Mare ( CH ) nel 1839. A venti anni conosce Francesco Paolo Rapagnetta – d'Annunzio che sposa il 3 maggio 1858 con nozze fastose che le permettono di entrare nella nuova casa di Corso Manthonè con tutti gli onori.

L'amore di Gabriele d'Annunzio per la madre fu di ispirazione filiale ed estetica; meglio di qualunque commento parlano le commosse pagine che d'Annunzio scrive per lei: dall' Inno alla madre mortale(Laus vitae) a Consolazione(Poema Paradisiaco), dalle pagine del Notturno a quelle delle Faviglie del maglio del Libro segreto, del Libro ascetico della giovane Italia. Basti citare un brano da Il secondo amante di Lucrezia Buti in Le faville del maglio:
"Colei che quasi ogni notte si levava per un'ansia subitanea e veniva nella mia stanza e indagava il mio sonno e mi poneva una mano sul cuore e si chinava a bevermi l'alito e sentiva in sè che la vita era bella perchè il figlio viveva".

Poesie e prose testimoniano come l'amore di Gabriele per la madre non solo non subì diminuzioni col passare degli anni ma andò crescendo fino a divenire un vero e proprio culto, perchè se “Donna Luisetta” (come veniva chiamata a Pescara) fu per il figlio la cretura che più colpiva l'innata bontà del suo cuore, fu anche la grande e silenziosa ispiratrice della sua opera.

“Donna Luisetta” muore il 27 Gennaio 1917 nella sua casa a Pescara: la sua morte viene comunicata da un messo del Generale Cadorna al Poeta che febbricitante scende a Pescara per partecipare ai solenni funerali in divisa da capitano. La salma viene prima sepolta al cimitero di S.Silvestro e sulla tomba viene posta una croce fatta con due assi di legno di un peschereccio. In seguito, il 28/8/1949, viene traslata nell'Arca scolpita da Arrigo Minerbi all'interno della Cappella situata nel braccio sinistro del transetto della nuova Chiesa di S. Cetteo-Tempio della Conciliazione.




Gabriele D’Annunzio: “lettere d’amore” a Barbara Leoni

 Non si può dire che Gabriele D’Annunzio abbia creduto che l’amore potesse racchiudersi e declinare con una sola donna.

Nel “Libro segreto”, opera scritta prima di morire, il Vate, recisamente, asseriva:
“La fedeltà ha il suono scenico delle false catene, chi mostra di trascinarle ben sa come siano più lubriche di quelle pastoie che illasciviscono certe danze malesi. Alludo agli amanti fedeli: genia inesistente, non v’è coppia fedele per amore. Io sono infedele per amore, anzi per arte d’amore quando amo a morte”.

In realtà sono tanti gli amori di Gabriele D’Annunzio, ma, contrariamente a quanto si creda nell’immaginario collettivo, quello che ha lasciato il segno nel poeta abruzzese non è stata la relazione con l’attrice Eleonora Duse, bensì quella con Barbara Leoni. Tale asserzione è suggerita dal fatto che proprio durante il tempo di cinque anni dell’intesa con la bella romana sono venute alla luce le opere più famose di Gabriele D’Annunzio: il Piacere, il Trionfo della morte, L’Innocente, Le Elegie Romane. E’ ben noto tra l’altro che Barbara Leoni non volle restituire le lettere che Gabriele D’Annunzio le scriveva (se ne contano più di 1000): sta di fatto che quelle pervenute si ritrovano disseminate nel “Trionfo della morte”, sino ad identificare la protagonista Ippolita Sanzio, proprio con Barbarella, come amava chiamare il Vate la Leoni.

Fu Mauro Guabello che diede notizia dell’esistenza di un vasto carteggio tra Gabriele D’Annunzio ed un suo “grande amore”.

Prima che venisse edito il “Libro segreto” (1935) Guabello aveva acquistato il carteggio  da tal Salviati, che aveva vissuto negli ultimi anni con Barbara Leoni.

Sia come sia- scrive un grande studioso di Gabriele D’Annunzio Federico Roncoroni– l’effetto congiunto della pubblicazione del passo del “Libro segreto” e della prima notizia di Guabello fu l’inizio della fortuna di Barbarella. Tutti che a mano a mano  la conoscevano si innamoravano di lei. Succedeva, per un fenomeno che ovviamente è più umano e sentimentale che critico: tutta la simpatia dello studioso, come quella del curioso di cose dannunziane, va a lei, a Barbara, alla bella romana, più ad ogni altra delle numerose donne dannunziane, tutte per qualche verso poco simpatiche e poco umane”( Lettere d’amore a Barbara Leoni  Corriere della sera-Introduzione a cura di Federico Roncaroni).

 

L’incontro con Elvira Natalia Fraternali, maritata Leoni che Gabriele D’Annunzio chiamerà Barbara, Barbarella, Ippolita, Miranda, Jessica e Gorgona, avvenne il 2 aprile 1887 a Roma in via Margutta al Circolo Artistico, durante un concerto di musica classica., in un periodo molto triste per il poeta, con la vena poco feconda.

 

Scrive Piero Chiara: “L’incontro fu folgorante: si misero in moto i meccanismi ispirativi del poeta che sembrava aver bisogno di una forte eccitazione amorosa, per accogliere e sviluppare i nuovi temi narrativi e le nuove forme poetiche che si dispiegarono poi nel romanzo Trionfo della morte e nelle Elegie romane, destinate a segnare il suo felice ritorno alla poesia.

 

Le trasfigurazioni romanzesche del Piacere e del Trionfo della morte, provano l’importanza non soltanto sentimentale di questo amore, che i biografi ritengono il più importante del poeta. Barbarella era, certo anche a guardarne oggi l’immagine, bella e provocante all’eccesso.

 

Dotata di viva sensibilità poetica e di una piacevole vena di follia, si prestò ai giochi erotici del suo amante, rievocati nelle lettere che si scambiarono. In un clima pregno di sesso e di prezioso intellettualismo Gabriel (come si faceva chiamare) si sente un super maschio o almeno si dipinge come tale, ma sarà Barbara, sua ispiratrice e musa, a fargli sentire i primi sussulti del superuomo che sta nascendo in lui (Piero Chiara Vita di Gabriele D’Annunzio-  Oscar Mondadori capitolo VII pagine 57 e 58).

 

La relazione fra i due amanti ha come scenario non solo Roma, ma anche Venezia, Napoli, dove il poeta soggiornò per due anni.

Le lettere sono bellissime e dimostrano un poeta già maturo, almeno per la ricerca del sentimento, la sua descrizione; sono profondamente originali anche nella stessa struttura lessicale, giammai ripetitiva. I critici sostengono che molti passaggi sino stati poi trasfusi nelle opere che hanno fatto grande il D’Annunzio.

Così scrive Giordano Bruni Guerri: ”Le tracce di Barbara nella produzione letteraria di Gabriele d’Annunzio dimostrano che fu una passione trascinante ed ispiratrice quant’altre mai prima. Dal Trionfo della morte alle Elegie Romane fino al Libro Segreto, Barbara è sempre presente o protagonista. Nel Trionfo della morte vengono inseriti interi brani del loro ricchissimo epistolario….aveva nei modi una vena eccentrica di poesia, che un talento brillante sapeva enfatizzare e rendere seducente. Aveva studiato al Conservatorio di Milano ed era una brava pianista: tutte doti che insieme ad un innato intuito femminile, la rendevano preda e cacciatrice ideale di Gabriele D’Annunzio, che amava la musica, di un amore pieno e mai tradito.

Gabriele D’Annunzio se ne invaghì al punto da non fare nulla per celare la relazione a sua moglie Maria, oramai rassegnata. Si incontravano tutti i giorni, ora nello studio del pittore Guido Boggiani, ora negli eleganti appartamenti di Francesco Paolo Tosti, in via dei Prefetti, prima di trovare danaro per una garconierre.

Ha tre mesi più di lui ed alle spalle un matrimonio fallito con Ercole Leoni, un conte bolognese impegnato in ditte commerciali, che di tanto in tanto si fa vedere per reclamare i diritti coniugali. Le uniche tracce della sua presenza sono quelle lasciate sulla pelle della donna dai rapporti sessuali.” Risparmiami la vista delle tue lividure. Io non so pensarci senza raccapriccio”, le scrive Gabriele D’Annunzio.

Il Vate si sente innamorato, condizione che a dargli credito vive con ogni donna. Eppure stavolta sembra crederci anche lui. E’ incantato dal suo pallore e dalla sua magrezza, che la fanno sembrare sempre convalescente…Gli occhi, le ciglia, la bocca- dove si concentrano le attenzioni del D’Annunzio-le conferiscono un’aria provocante. In più è capace, all’occasione, di diventare un’interprete fedele delle trasgressioni erotiche suggerite dall’amante.

Gabriele D’Annunzio viene sollecitato nelle sue fantasie da un pettegolezzo molto diffuso sulla malattia sessuale che il marito le avrebbe trasmesso, rendendola sterile e con un’aria esangue. Una predilezione morbosa per le egritudini che avrà anche verso altre donne.
(Giordano Bruno Guerri, Oscar Mondadori, D’Annunzio L’amante Guerriero passim da pagina 59-65).

 

Roma Lunedì notte 8/9 agosto 1887

“È notte alta. Io sono solo in questa stanza: il palazzo Barberini è illuminato misteriosamente dalla luna che nasce; il mio letto, la’ in fondo, è tutto bianco, così largo che potrebbe accogliere anche il tuo corpo….Se tu venissi! Io ti dicevo che il desiderio del tuo corpo si fa in me ogni giorno più ardente e più torturante. Le immagini del piacere mi incalzano da tutte le parti. E’ una febbre. Se bene io stia stanco e triste, al sol pensiero che io potrei possederti e stringerti ignuda come una volta, sento un brivido profondo corrermi nelle vene ed una strana vitalità d’amore corrermi nei muscoli ed agitarmi. E’ una notte tentatrice. La mia stessa languidezza mi fa più voluttuoso ed il desiderio di dimenticare il dolore e la miseria reale mi fa avido di piaceri sensuali…..

 

La fontana del giardino Barberini canta più dolce di un usignolo in un bosco di rose all’alba prima. Tu dove sei? Non senti l’immensa angoscia che mi opprime? Non senti il mio desiderio che attraversa gli spazi infiniti e viene a cercarti ed infiammarti l’anima nel sonno? Come ti amo Barbara! E come questo mio dolore è al di sopra delle forze umane!
Sento una specie di soffocazione. Mi pare quasi che io non debba giungere all’alba.

Aiutami! Aiutami tu!

Pescara 11 luglio 1888.

“Ieri sera tornando da Francavilla trovai la tua lettera, grazie. Ogni parola mi bruciava l’anima. Uscii, dopo e camminai lungo il mare, per molto tempo. Non mai, io penso, l’anima di un uomo ha cercato con maggior furia di passione, d’ardore e di desiderio un’altra anima. La notte, il mare infinito, tutto il mondo degli astri e del silenzio mi pareva angusto a contenere quella terribile espansione d’amore umano.

Le stelle scintillavano di un fulgore singolare. E le acque si muovevano a pena, con dolcezza. Dove eri?

Che pensavi? I ricordi non ti soffocano? Addio amami. Io ti amo; mi sento così male che non reggo più; io darei, per averti, il miglior sangue del mio cuore”.

Francavilla al Mare, Venerdì 13 luglio 1888.

“Sono a Francavilla, ieri, nel pomeriggio arrivarono finalmente le casse! Nella prima cassa grande, in quella dei tappeti, la cosa che apparve innanzi a tutto fu il “cuscino delle carezze”, il cuscino sbiadito, senza oro, che ha sostenuto il tuo capo nelle più ardenti, nelle più folli, nelle più indimenticabili ore della voluttà. Mi tremavano le mani quando lo presi. E vi affondai la faccia, con una bramosia immensa, come per cercarvi qualche cosa di te, qualche cosa della tua bellezza, qualche cosa del piacere che tu mi davi….

Passerò tutto il giorno con le belle cose che tu hai amate e affatate. Sentirai oggi, certo, più violento il mio desiderio ed il mio pensiero”.

Pescara-Martedì 11 febbraio 1890 ore 5 pomeriggio.

 

…”Ora nevica, con un gran vento, a turbini….Tu hai l’anima vasta e scintillante, come un firmamento; io so che tu sei la più nobile delle creature, la più coraggiosa, la più generosa, la più forte, la più soave.

Quando io ti bacio le dita, sento che la parte migliore di me ti si presta con entusiasmo e con reverenza. Io non posso baciarti le mani (forse tu lo sai) senza sentirmi inumidire gli occhi. Un grande sentimento di ammirazione e di adorazione si impadronisce di me, quando penso all’anima straordinaria che si chiude nel tuo corpo voluttuoso. Perciò le voluttà che io prendo da te hanno un sapore profondo, una ripercussione spirituale…

Nessuna cosa bassa può entrare nel nostro amore. La tua fiamma accende e divinizza tutti i desideri.

Tu sei l’Amante unica, l’Amante eterna, quella che tiene in signoria un’anima per tutta la vita. Per tutta la vita io ti amerò, ti adorerò…..

Pensa a questo, quando ti assale il disgusto delle vili cose umane….

Io (ascolta) darei tutti i tesori per essere il tuo tesoro….

Il tuo solo alito(intendi?) è bastato a ristorarmi. In tutti i peggiori supplizi, quando lo spirito agonizzava, una voce alta squillante mi diceva:” ella ti bacerà; ella ti serba i suoi più dolci baci, le sue carezze più care. Attendi!”. E un brivido mi correva le vene, al presentimento degli oblii divini”.

 

 

Roma 4.08.1890

“….Mi hanno riarso le fiamme più atroci della passione, con una violenza non mai sofferta. Ho sentito la mia ragione perdersi e la mia conoscenza ed il mio sangue oscurarsi a poco a poco. Ho singhiozzato, ho gridato; ho soffocato gli scoppi del mio dolore sul guanciale dove tu appoggiavi la testa, languendo di passione, pallida di voluttà e di tristezza. Mi sono inginocchiato dinanzi al divano, dove tu rimanevi taciturna accarezzandomi la fronte pensierosa….

Sono rimasto lunghe ore chiuso in questa stanza, senza uscirne mai, senza vedere nessuno mai, esaltandomi nella solitudine, provando improvvisi bisogni di fuggire all’aperto, eppure tenuto qui da un fascino ineluttabile.

Oh, se potessi raccontarti tutto!

Immagina- stare qui, respirare qui, in questa stanza, dove tu portavi, apparendo, tutti i raggi e tutti i profumi; stare qui solo, solo innanzi al letto, dove ti ho posseduta mille volte, con un godimento sempre più intenso; rivedere, rivedere con gli occhi dell’anima tutti i tuoi gesti, tutte le tue attitudini, tutti gli incanti della tua bellezza; sentirsi soffocare, ad ogni ricordo evocato e non poter far altro che mordere il guanciale freddo e bagnarlo di lacrime disperate….

Quando entrava nella mia casa la giovane donna, l’Adorata, quella che il mio cuore ha scelto per tutta la vita che erano allora le tristezze? La sua presenza era il grande aroma ristoratore. La mia anima beveva da lei tutte le ebrezze e tutti gli oblii. Il suono del suo passo metteva nelle intime vene un fremito di delizia infinito.

Quando ella usciva la mia anima la seguiva come un’ombra indivisibile.
Quando ella tremava, sotto la mia carezza leggera, io sentivo tutto il mio essere fondersi nel suo, struggersi in una morte ineffabile.
Ella mi rivelava, in un bacio, mondi sconosciuti.

Sotto la sua mano si risvegliavano fibre misteriose… quando entrava alta, pallida, velata entrava il mio sogno, il fiore dell’anima, il mio miracolo d’amore”.

 

 

 

Faenza 6 settembre 1890

 

“……Tutta la tua pelle è un velluto odorante; ciascuno dei tuoi pori diventa quasi una piccola bocca che rende i baci; ogni tuo moto suscita un’onda di voluttà smisurata; e dai tuoi occhi, di sotto alle pupille un po’ gravi, fluisce non so quale carezza, immateriale, continua, inesauribile, dove l’anima mia si annega e si smarrisce e mille volte crede di morire”. Quando sei così……

 

Napoli,13 settembre 1891

“…..Muoio a poco a poco di accoramento. E non ho la forza né di allontanarmi, ne’ di cercare un oblio. Sento il tempo fuggire e la vita scorrere ed il mio tedio ed il mio dolore farsi più profondi ad ogni ora e te lontana lontana….

Dammi notizie della tua salute…. di tutto quello che mi piace del tuo corpo. E adorami.
E’ una sera calda, tutta chiara, mollissima. Davanti al mio balcone spalancato il Vesuvio fumiga, così da presso che quasi mi sembra tangibile. Napoli e Portici e Resina e tutti i villaggi sono rosei su un mare pallidissimo, dove corrono i battelli a sciami. Un grande sogno di piacere scende insieme col crepuscolo. Ti giuro sull’anima mia, Barbarella, che per averti consentirei a morir domani”.

Nel suo soggiorno napoletano Gabriele D’Annunzio conobbe molte donne, tra le quali primeggiava la principessa siciliana Maria Gravina Cruyllas. La descrivono i biografi come alta, slanciata, di rara eleganza e sposata con il conte Anguissola, con il quale aveva avuto due figli.  Vistosissima, anche a causa di una ciocca di capelli rossi tra la sua chioma nera, era corteggiatissima, anche dal futuro Vittorio Emanuele III.

Bellissima e slanciata aveva preso nel cuore del poeta il posto di Barbarella:  quest’ultima non fu consolata neppure dal fatto che il Vate le avrebbe promesso di portare con sé un feticcio pruriginoso, una ciocca di pelo pubico da custodire in una specie di reliquario e da ammirare come un talismano nei momenti  di abbandono e di accoramento.

Ebbe il più grave smacco non solo scoprendo la relazione con la nuova arrivata,ma per il fatto che il 10 aprile 1892, a cinque dalla sua relazione iniziata, il 2 aprile 1887( era scesa a Napoli per festeggiare) usci la prima copia dell’Innocente in volume con dedica  del D’Annunzio: ”alla contessa Maria Anguissola-Gravina Cruyllas di Rammacca-questo libro è dedicato”.

Con la Gravina Gabriele D’Annunzio andò a vivere in un paese limitrofo a Napoli Ottaviano, in un castello messo a sua disposizione dalla famiglia Cola. Dalla relazione ebbe anche un figlio; il marito della contessa, il conte Anguissola sporse querela per adulterio.

Drammatiche furono le ultime lettere con Barbara Leoni: si ricorda soprattutto quella nella quale il Poeta le reclamava tutte, intese come le sue reliquie sante :”non indugiare ti prego! Io sono risoluto a tutto, per riavere le reliquie sante: -anche a farmi uccidere (Napoli 10 dicembre 1891).

La Leoni non restituì le lettere del suo grande amore: furono vendute. Visse gli ultimi anni ospite di suore del Preziosissimo sangue, annesse al Conservatorio di Sant’Eufemia. Mori il 7 aprile 1949 ad ottantasei anni.

Oggi, dopo che fu evitato che i suoi resti andassero nell’ossario comune, riposa al numero 89, seconda fila, campo 69 nel cimitero del Verano, ricordata da una piccola lapide.