mercoledì 24 giugno 2020

VENERE D'ACQUA DOLCE

Ancora io t'odo su la riva, o Nara,

tra le selve de' giunchi e de' canneti

chiamar con le canzoni agile a gara

le cicale de' pioppi, ne' quieti

mezzogiorni di giugno! La Pescara

gorgogliava freschissima pe' i greti:

cantando, il piede breve e la rotonda

gamba tenevi tu, Nara, ne l'onda.

 

O selvativo bosco di Fusilli

pieno d'erbe aromatiche e di more,

ove di quella voce alta a li squilli

si destavan le capre da 'l sopore

e guatavan co' lunghi occhi tranquilli

in atto di pigrizia e di stupore,

o bosco, ed or tu dammi ne le ottave

l'aura de la tua verde ombra soave!

 

 

In questa siccità di mezzogiorno

un disío de la dolce acqua nativa

mi prende. Ora verdeggia ampia d'in torno

Villa Borghese; ed io su l'erba estiva

mi distendo supino, ed un ritorno

naturale di versi mi ravviva

le memorie; e non mai cosí da prima

larga, sonante mi fluí la rima.

 

 

Tu, Nara, dove sei, florida bionda

da la pelle bronzina di mulatta,

che avevi grigia l'iride profonda

e una stupenda agilità di gatta?

Tu non piú ritta in piedi su la sponda

vedi a l'alba passar me su la chiatta

in mezzo a 'l fiume, tra 'l rabbrividire

de le canne tendenti a rifiorire!

 

 

Te non piú camminante, tra un fogliame

di cocomeri e zucche aspro ed enorme,

io vedo, con un'anfora di rame

su 'l capo, ne 'l terreno imprimer l'orme

de 'l nudo pié! Tra i fumi de 'l letame

piú non vedo venire le tue forme,

o te diritta emerger fra le piante

de i girasoli, come un fior gigante!

 

 

Tale prima io la scorsi. Era un'oscura

conca d'acque in un braccio solitario

de 'l fiume ove traverso la frescura

filtrava il sole a tratti agile e vario;

di sotto a una spalliera di verdura

tenera qualche tronco centenario

di salcio da le radiche scontorte

pareva un gruppo di vipere morte.

 

 

Io disteso ne 'l fieno, poi che a l'esca

non un sol pesce accorse, udivo il lento

mareggiare de 'l fieno a l'aria fresca

e de li alberi il gran frascheggiamento.

Trasalii; ché tra l'erba gigantesca

parve d'un tratto mi recasse il vento

un sentore di carne: il corpo eretto

di Nara, seminudo, a mezzo il petto,

 

 

sorgea fuori de l'erba. Ella con mite

fruscío tendea, strisciando, a la riviera:

le mazze sorde intorno le fiorite

spighe ergevano a lei. Come levriera

ella fiutava il vento, alta: ferite

da la provocatrice primavera

le sue nari vibravano; su 'l dorso

i suoi capelli ribellati a 'l morso

 

 

de 'l pettine cadevano. Un antico

di menade frammento era il suo busto

eretto, in quell'inconscio atto impudico.

Giunse a 'l limite: l'acqua ne l'angusto

cerchio stagnava, e fino a l'ombelico

la bagnò frescamente. A l'acre gusto

di quel fresco increspavasi la pelle

e dure si drizzavan le mammelle.

 

 

Io spiava tra l'erba. Ella, le braccia

protesa a un ramo, tutta sopra il saldo

fianco ondeggiò, levando alto la faccia

e la gola carnosa ove oro caldo

le si accendea. Poi, come serpe in caccia,

da 'l ramo si lanciò ne lo smeraldo

de l'acqua che in tempesta ampia si mosse

rifiorendo di schiume a le percosse.

 

 

Le nudità pieghevoli guizzanti,

ne 'l mister de la conca fluviale,

tra una greggia di foglie galleggianti

metteano un solco; e dietro il solco l'ale

il desiderio mio tratto a li incanti

de la carne battea rapido, quale

a 'l bosco richiamato da l'odore

de la preda selvaggia un avoltore.

 

 

Ma quando il corpo ella adagiò deterso

a fior de l'acqua e simili a scarlatte

bacche le cime de 'l suo sen riverso

galleggiarono, e il ventre suo di latte

palpitò di stanchezza, e de l'emerso

monte tra la peluria fina attratte

scintillaron le gocce, e ne la grigia

iride scintillò la cupidigia

 

 

de 'l piacere, io che in quel riarso letto

d'erbe in silenzio mi torcea, ferito

da un intenso desío, tale da 'l petto

per non piú soffocar misi un bramito,

che con rapido moto ella in sospetto

si volse. Poi, qual cerva che a l'invito

de l'amore fiutando erge la testa

se oda il maschio passar ne la foresta,

 

 

la giovine guatò, senza paura,

in attesa di pugna... Oh come, oh come

a l'agguato de 'l sol la sua figura

tutta ne la ricchezza de le chiome

si porse e in van pugnante a la congiura

dei virgulti e di me rese le dome

braccia!... - Cantavan alto biancheggiando

consapevoli i pioppi in linea, quando

 

 

a 'l ritorno vogai. Su la Pescara

lontanava de' pioppi il colonnato,

e fra li intercolunnii, ne la chiara

serenità, moriva il sol tuffato

in caldi fiumi. Una fragranza amara

di succhi co 'l sentor de 'l fien falciato

da quell'ammasso vegetale, a 'l lento

naufragare de 'l sole, urgea ne 'l vento.

 

 

E cosí tante volte io sovra il letto

de l'erbe amai quella superba e rude

Venere fluvïale, ne 'l conspetto

de' pioppi. Ed entro il cerchio de le ignude

braccia, a 'l profumo de l'ignudo petto

il mio vigore lentamente in crude

lascivie illanguidiva. Era una morte

oblïosa, un incanto ove la forte

 

 

adolescenza si perdeva; in quella

primavera de 'l fiume, in quel felice

risveglio de la patria. Una novella

onda di umore su da la radice

prendea le cime, qual da una mammella

di femmina gigante, irrigatrice

di vite, il latte; ed una sonnolenza

quasi di parto ad ora ad or l'ardenza

 

 

addolciva de l'aria; e da 'l lavoro

augusto de le vite rinnovate,

ne 'l silenzio de l'aria, come un coro

naturale saliva; e de l'estate

l'alito già saliva; e a messidoro

i canti, ne le vigne soleggiate,

tra i solchi de 'l fromento, pe' i lontani

culmini già salíano, i canti umani!

 

 

Noi portammo una viva ecloga in fiore

a traverso i tumulti. In ogni nervo

io sentiva fuggirsene il vigore;

ma tenuto a quel corpo io, come un servo

a 'l suo ferro, non grido altro d'amore

avea per Nara che il bramir de 'l cervo

in disío. Quando muta ella tra i fusti

appariva de' pioppi, su i robusti

 

 

fianchi ondeggiante, ne 'l novilunare

auspicio, e le sue chiome ardue di rame

si tingeano e la voglia entro le chiare

iridi ardeva in folgori di lame,

io mi sentiva i muscoli tremare

di febbre. Ella venía, bella ed infame,

a sazïarsi. Ed io non la tenea

per conquista: ella a me, come una dea

 

 

a la gente mortale, il godimento

de le membra concesse. Alta, su 'l fieno,

senza pietà, me ne l'abbattimento

lasciava; con quel grande occhio sereno

riguardandomi, lungi a passo lento

perdevasi ne l'ombre. Ma il veleno

de le lussurie sue ne le mie carni

s'insinuava a rodermi li scarni

 

 

fianchi; ma de la sua pelle i tenaci

effluvi una prurigine lasciva

dàvanmi a 'l sangue; ma de' lunghi baci

mi restava il sapor ne la saliva,

quando a provar carezze meglio audaci

con la sua lingua su la mia gengiva

ella scorreva e tra la molle bava

le labbra con i denti mi segnava.

 

 

fianchi; ma de la sua pelle i tenaci

effluvi una prurigine lasciva

dàvanmi a 'l sangue; ma de' lunghi baci

mi restava il sapor ne la saliva,

quando a provar carezze meglio audaci

con la sua lingua su la mia gengiva

ella scorreva e tra la molle bava

le labbra con i denti mi segnava.

 

 

Poi disparve; qual dea. Sotto i discreti

pioppi io l'attesi, vigilando in vano

se tra i fochi de 'l vespro pe' i canneti,

come un giorno, scendesse di lontano.

Ebbero altri amatori, altri poeti

il profumo d'amor di quell'umano

fiore? O il fior de le membra ne le spume

misteriose de 'l nativo fiume

 

 

si disciolse? - Io non so. Ma la verdura

dove io primo l'amai, dove sommessa

ella si diede a me tutta, la pura

forma de i lombi e de le reni impressa

ritenne, come se per avventura

una statua di bronzo tra la spessa

erba abbattuta già da tempo antico

fosse rimasta. Ed in quell'impudico

 

 

segno d'amore e di piacere io steso,

quale un corpo di morto in una bara,

sentii crescere ancor sotto il mio peso

i fili d'erba, udii ne la Pescara

correre l'acqua; e da 'l mio sangue acceso

rifiorivano i baci acri di Nara,

come oggi, in molli versi che per l'aria

si perdevan ne l'ora solitaria.