mercoledì 24 giugno 2020

Ave Roma

Esule anch'io, pensoso di te, di te sempre pensoso,

Roma, non fra gli intonsi barbari Ovidio sono

 

né mi colpí lo sdegno di Cesare, ma la funesta

dea che la tua campagna orrida e sacra tiene

 

Mi visitò nel sonno la livida Febbre; e il mortale

tossico, me misero! tutto il mio sangue tiene.

 

Lugubre è il mio perire, se ben non sia questo il feroce

Ponto e non la scitica freccia nel cuore io tema.

 

Sotto sereni cieli piú duro è l'esilio a tal cuore

cui piú nessuna cosa che amò rimane.

 

Stanca è la carne e spira già l'anima, in questa incompresa pace.

Oh lasciate un'Ombra verso la morte andare!

 

Tutto è sereno. Il flutto è docile. Incurvasi il lido

come una lira, dove sorgono emerocàli

 

simili agli asfodeli che illustrano i clivi de l'Ade,

candidi. Ma non questa pace il morente chiede.

 

Chiede il silenzio immenso, eterno, che sta su l'immoto

fascino del deserto onde tu sorgi, o Roma.

 

Quale alto monte, quale oceano infinito, qual somma

tenebra vince tanta solitudine?

 

Quivi la morte sia. Ti vegga da lungi piú grande

d'ogni più grande cosa il morituro e - Ave -

 

dica - o tu, Roma, tu dolce e tremenda! Ave, o Roma

unica, o dell'anima nostra unica patria!