mercoledì 5 agosto 2020

Il D’Annunzio ardito e la morte

D’Annunzio partecipa alla guerra mondiale in maniera eclatante con Il volo su Vienna, la beffa di Buccali e tante altre imprese che lo resero popolare e che diedero sfogo al suo grande desiderio patologico di platea. Negli anni 20 incendia l’animo degli italiani parlando di “vittoria mutilata” e in seguito marciando su fiume con una schiera di legionari pronti a tutto spinti da amore di patria.

Il pensiero di D’Annunzio in merito è che il vero ardito è colui che è disposto anche a donare la vita per perseguire quello in cui crede : MEMENTO AUDERE SEMPER ( Ricordati di osare sempre ) soltanto chi osa ed è disposto a perdere ciò che possiede è in grado di assaporare appieno l’esistenza.

Questo pensiero si riflette non solo nelle imprese di guerra ma soprattutto nella sua vita, nei suo amori complessi ma impetuosi, profondi, passionali, veementi per i quali D’Annunzio era disposto a donare la vita con amore. Nota che al Vittoriale c’è un tabernacolo con il volante d’un ardito morto in una gara di motoscafo simbolo che per il poeta chi donava la propria vita in un impresa ardua era degno di venerazione.



Amore e Morte

D’Annunzio diceva che il fallimento più grande della vita dell’uomo stava nel non mettere a frutto gli ARDORI GIOVANILI ovvero quel desiderio che ognuno di noi serba nel petto di condurre un’esistenza attiva, viva, operosa, ricca di stimoli intensi, profondi ideali, attività fiorenti.

D’Annunzio affermava che solo abbandonandosi appieno alla vita come una foglia sospinta dalle placide o impetuose acque di un fiume l’uomo poteva essere davvero felice. Il vitalismo, l’incoerenza e la passionalità questo contraddistingue l’esistenza di D’Annunzio nei confronti di tutta la massa di poeti che compiange ciò che avrebbe potuto vivere o avrebbe voluto vivere.

In mezzo a questo scenario di vita e passione comunque D’Annunzio nasconde un rapporto molto profondo e complesso con la morte e principalmente scomporrei la visione della morte in più argomenti legati dal medesimo filo conduttore :

Amore e Morte

L’antico tema trattato dai poeti latini, da Leopardi, da Gozzano e a modo del tutto suo da D’Annunzio. Amore e Morte per D’Annunzio sono uno effetto dell’altro, l’amore è un sentimento talmente intenso viscerale, profondo, impetuoso e lancinante che solo chi non ha paura della morte può vivere nella maniera più profonda. Quanti di noi, di fronte a un vero amore perduto si sentono vittima di un qualcosa di talmente grande, doloroso ed irrimediabile da avvertirlo simile alla morte. Significa che il vero amore esiste soltanto quando siamo disposti a donare noi stessi per il sentimento




Il Vittoriale degli Italiani

“Ardisco offrire al popolo italiano tutto quel che mi rimane – e tutto quel che da oggi io sia per acquistare e per aumentare col mio rinnovato lavoro – non pingue retaggio di ricchezza inerte ma nudo retaggio di immortale spirito. Già vano celebratore di palagi insigni e di ville sontuose, io son venuto a chiudere la mia tristezza e il mio silenzio in questa vecchia casa colonica, non tanto per umiliarmi quanto per porre a più difficile prova la mia virtù di creazione e trasfigurazione. Tutto, infatti, è qui da me creato o trasfigurato. Tutto qui mostra le impronte del mio stile, nel senso che io voglio dare allo stile. Il mio amore d’Italia, il mio culto delle memorie, la mia aspirazione all’eroismo, il mio presentimento della Patria futura si manifestano qui in ogni ricerca di linea, in ogni accordo o disaccordo di colori. Non qui risanguinano le reliquie della nostra guerra? E non qui parlano o cantano le pietre superstiti delle città gloriose? Ogni rottame rude è qui incastonato come una gemma rara. La grande prova tragica della nave “Puglia” è posta in onore e in luce sul poggio, come nell’oratorio il brandello insanguinato del compagno eroico ucciso. E qui non a impolverarsi ma a vivere sono collocati i miei libri di studio, in così gran numero e di tanto pregio che superano forse ogni altra biblioteca di solitario studioso. Tutto qui è dunque una forma della mia mente, un aspetto della mia anima, una prova del mio fervore. Come la morte darà la mia salma all’Italia amata, così mi sia concesso preservare il meglio della mia vita in questa offerta all’Italia amata.”

– Gabriele d’Annunzio 

Il Vittoriale degli Italiani, così definì il poeta la Casa – Museo che l’avrebbe ospitato negli ultimi anni della sua esistenza. Il Vittoriale non è semplicemente una dimora come può essere la Capponcina ma un vero e proprio museo in cui sono contenute reliquie, ricordi, cimeli e tracce del suo vivere inimitabile.
D’Annunzio che fino al ’20 era perseguitato dai creditori riesce a costruire attorno a se una città museo dove poter esaltare le proprie imprese valorose ed ardite e vivere nell’agiatezza del lusso più sfrenato senza alcun ritegno a nessuna prodigalità ne economica ( ne tanto meno della carne ).
Per capire come il Vate sia arrivato fino a questo bisogna fare una piccola digressione ed analizzare il contesto storico dell’Italia negli anni ’20
Il 4 Settembre 1917 il poeta ardito vola sul Garda stillando brevi versi dedicati al lago ” Tutto è azzurro, come un’ebbrezza improvvisa, come un capo che si rovescia per ricevere un bacio profondo. Il lago è di una bellezza indicibile “.
Nello stesso 1917, prima del raid su Pola, nasce l’esclamazione di sfida D’Annunziana ” Eia, eia, eia. Alalalà ” destinata a risuonare per più di un ventennio.

Successivamente all’impresa fiumana ” O Italia o morte ! ” lo stesso Mussolini “seguace” del suo ispiratore D’Annunzio pronucia questa frase :
<< Gabriele D’Annunzio è come un dente marcio o lo si estirpa o lo s ricopre d’oro…io preferisco ricoprirlo d’oro >>

Questa frase rappresentò la fortuna del Vate, il quale avendo dimostrato in parte adesione al pensiero Fascista si ritrovò a poter costruire il Vittoriale a spese del regine, in cambio però di dover donare allo stato tutto il Vittoriale dopo la propria morte. Da qui il nome ” Vittoriale degli Italiani ” poiché più che di D’Annunzio era di tutti gli Italiani e da qui la massima che si trova alle soglie del Vittoriale

” IO HO QUEL CHE HO DONATO ”

Gran parte dei disegni e progetti relativi all’architettura e ristrutturazione del futuro Vittoriale è assegnata all’architetto locale Gian Carlo Maroni che aveva combattuto con valore ed al quale D’Annunzio aveva già commissionato il Mausoleo dei Maritiri di Fiume ( anche se il progetto va a monte all’indomani della disfatta ).
Henrich Thode, il precedente proprietario tedesco, espropriato della propria dimora in base al decreto del 1918 abbandona nella sua villa circa 6000 volumi, fra i quali ( ironia della sorte ) il dannunziano Fuoco, in un’edizione apocrifa del 1913.
D’Annunzio ancora non è consapevole di essere “condannato all’acqua dolce del lago” poiché fino a quel momento il Vate era un’anima itinerante, avvezza ai traslochi, che non aveva mai posseduto una casa propria dove poter ” riporvi i resti dei miei naufragi ”

D’Annunzio depone le vestigia dell’eclettico, ardito, esteta dal vivere inimitabile in quell’area delimitata da vaste mura del paese di Gardone sulle rive Bresciane costruendo attorno al suo mito una piccola città museo.
Trascorre le sue giornate in compagnia dell’ultima amante ” ufficiale ” Luisa Baccara, rinomata pianista alla quale dedica un’intera stanza al Vittoriale. Secondo fonti non del tutto certe Luisa dovrebbe essere responsabile del famoso ” volo dell’arcangelo ” che impedì a D’Anunzio di incontrare Mussolini e Nitti nel 1922. Si narrà che la causa sia stata una spinta di Luisa gelosa per le troppe attenzioni che il Vate rivolgeva alla sorella Jolanda Baccara.
Il Vittoriale è la cittadella di un poeta – soldato, entro queste mura D’Annunzio visse gli ultimi 16 anni della propria esistenza, scrisse, meditò, si interrogò sulla propria vita, pianse il vigore dei propri ventanni e la discesa inesorabile del tempo. Visse rinchiuso nella penombra della sua villa, poiché a causa di una ferita all’occhio era divenuto foto fobico o semplicemente da buon esteta non voleva accettare l’onta della decadenza sul suo volto.
Sperava di ingannare con l’oscurità i sensi e vivere nuovamente quel vigore che ancora lo accompagnava.
Di tutte le questioni relative a medicinali, ipocondria, polveri e suicidio non voglio pronunciar parola poiché il Vate fu per anni una guida spirituale per il paese, con i suoi mistici sogni, con i suoi ideali raffinati, il suo buon gusto in opere d’inchiostro e la sua eccessiva mondanità. La vecchiezza mise di fronte il piccolo nume alla irrimediabilità della morte, e lo costrinse a ricercare disperatamente ciò che non poteva essere più.
In una lettera alla sorella del 1938 D’Annunzio scrive : ” IO RESTO CON IL NULLA CHE MI SONO CREATO “, segno che forse era il momento della riconciliazione fra superuomo e uomo di mondo, fra peccato e redenzione, fra mito e realtà.

Questo il sogno d’un uomo mosso dalla passione, corroso dalla tabe letteraria e malato di poesia.
<< La passione in tutto. Desidero le più lievi cose perdutamente, come le più grandi. Non ho mai tregua…>> Così scriveva negli ultimi giorni della sua vita, rinchiuso nella sua prigione dorata e nella penombra sepolcrale della sua Villa incantata.

Cosa rimane della vita d’un artista mosso dalla passione, travolto dalla fiumana della voluttà, sospinto dalla scintilla di genio battagliero ?
Qualche pagina in un’antologia scolastica, dei siti internet sparsi per la rete, un film dal titolo D’Annunzio e tanta poesia, tanta veemenza, fervore, entusiasmo, trasporto, tripudio per l’inclinazione smisurata di quel genio che :

FECE DELLA SUA VITA CIO’ CHE SI FA D’UN OPERA D’ARTE




Lettere d’Amore

Per Gabriele D’Annunzio la stesura di una lettera d’amore indirizzata ad un unica persona rappresenta un artifizio letterario non di meno di quello utilizzato nelle sue opere più alte e di somma beltà.

La sensualità, la continua ricerca di donare musicalità al verso, la seduzione delle parole, l’enfatica descrizione degli stati d’animo così languidi e ricercati, così intimi ma eleganti mostrano la profonda dedizione del poeta ad un amore intenso, lancinante e forte nei confronti delle donne amate.

 

Per D’Annunzio l’amore non era sentimento da antologia, era passione smodata, consacrazione all’arte, devozione completa all’amata, adorazione che talvolta giungeva all’eccesso e portava la donna a sentirsi innalzata alla gloria, unica, la prescelta.

Dalle lettere d’amore sembra che il poeta nutra per l’amata un sentimento così ossessivo e assillante da portarlo all’annullamento di se in funzione della passione, ma in realtà era proprio questo a sorreggere la sua ispirazione e quindi alimentare la sua creatività; bisogna anche puntualizzare che ogni relazione volgeva al termine quando l’amata veniva a conoscenza del tradimento con la successiva prescelta e che ad ognuna di loro D’Annunzio aveva dato l’illusione di una vita più alta, più viva e più intensa.

E’ impossibile affermare con certezza se D’Annunzio giocava con la sua virtù per sedurre e abbandonare le belle prede che affollavano i suoi sogni o se effettivamente le passioni così intense descritte nelle sue lettere derivano veramente e interamente dal suo animo corrotto dalla passione. Sicuramente non era per beffa o per puro sollazzo poiché anche il più disattento lettore nota che D’Annunzio aveva un animo ricco di sentimenti e ricercate emozioni.
D’Annunzio amava la novità, ogni cosa imminente rappresentava per lui uno stimolo che poi si affievoliva, mutava o veniva assorbito da un nuovo bisogno.
Le lettere d’amore perciò rappresentano una forma d’arte, scritta non per celia ma per manifestare all’amata una devozione piena, nuova, impetuosa. Talvolta questi sentimenti vengono conditi con del lirismo tipico del Vate con esagerazioni, affermazioni spropositate e allusioni carnali per magnificare il sentimento e far sentire viva in lui l’amata.

D’Annunzio riesce ad andare oltre ad ogni retorica romantica rendendo l’amore un sentimento arcano fatto di passione, entusiasmo, esultanza fisica e spirituale, desiderio viscerale ed intenso di possesso, ebbro di fiumane di desideri e orde di voluttà. D’Annunzio nell’arte d’amare ricorre al verso, alla fantasia, alla spiritualizzazione del sentimento “ ambedue non avevano alcun ritegno alle mutue prodigalità della carne ” elevando l’amata in uno stato di felicità intensa, viva, piena. Molte amanti sedotte e abbandonate dal vate diedero in seguito segni di squilibrio, chi scelse l’esilio, alcune ricorsero alla monacazione, altre optarono per l’omosessualità. Ma non si deve trascurare il fatto che esse per un giorno vissero un sentimento colmo d’ardore e che le rese diverse, elette, magnifiche, eccelse, un sentimento forte, veemente e impetuoso che ogni donna meriterebbe d’avere, per la vita.



Le donne del Vate

Le donne rappresentano un elemento chiave di tutto l’universo d’Annunziano. Gran parte della vita e delle opere di d’Annunzio sono caratterizzate dalla presenza mi molteplici amanti che divengono fonte di ispirazione e tormento. Donne amate, tradite, umiliate ma prima di tutto incantate da un dilettante di emozioni capace di elevarle al di sopra delle loro vite.

Donne che si sono sentite uniche, elette, inarrivabili, possedute come non mai da un insaziabile amante che le chiamava con un nome nuovo, donne disposte a rinunciare alla loro dignità e poi catapultate nuovamente in una vita sterile e comune, costrette a fare i conti con l’incoerenza d’un anima mutevole attratta da nuove passioni.
 

Di seguito proponiamo alcuni percorsi tematici relativi ad alcune fra le più famose amanti di Gabriele d’Annunzio. Si ringrazia chiunque volesse dare un contributo nell’approfondimento e nella ricerca.




mercoledì 1 luglio 2020

Aforismando


“La passione in tutto. Desidero le più lievi cose perdutamente, come le più grandi. Non ho mai tregua.”




giovedì 25 giugno 2020

la teoria del Superuomo

IL VATE esplica continuamente la sua volontà di superarsi, tendendo a fare della sua vita un’opera d’arte.La sua brama di eccezionalità la manifesta sia in campo privato (le numerose e tempestose storie d’amore) sia in ambito letterario, aderendo a tutte le mode culturali (spiritualismo preraffaellita, classicismo parnassiano, simbolismo, superomismo nietzschiano).La teoria del Superuomo di Nietzsche influenzera' il poeta in modo totale e profondo.Poco piu' tardi anche Benito Mussolini e Adolf Hitler verranno affascinati dal filosofo tedesco.

Cos'e' il SUPERUOMO?

 

I tre passi che l'essere umano deve seguire per divenire superuomo (cioè uomo del superamento) sono:

- possedere una volontà costruttiva, in grado di mettere in discussione gli ideali prestabiliti;

- superare il nichilismo passivo, attraverso la gioia tragica e il recupero della volontà di potenza;

- attuare e promuovere eternamente il processo di creazione e rigenerazione dei valori sposando la nuova e disumana dimensione morale dell'amor fati, che delinea un amore gioioso e salubre per l'eternità in ogni suo aspetto terribile, caotico e problematico.

Il diritto del Superuomo di essere diverso gli si presenta tuttavia anche come dovere di contrapporsi all'ipocrisia della massa.Nel concetto di oltreuomo è essenziale la volontà di potenza, vista come movente della storia dell'uomo.Il superuomo è quell'uomo che viene a superare le limitatezze che gli sono state imposte dal sistema di valori tradizionale, ma esterno ad esso; ora, il Superuomo deve agire cercando di aspettare quei valori che trova, non più fuori da sé, ma dentro se stesso e questi valori sono la salute, la volontà forte, l'amore, l'ebbrezza dionisiaca e un nuovo orgoglio. 

Il Superuomo viene, infatti, concepito come il frutto più alto dell’evoluzione, formatosi attraverso la lotta per l’esistenza: lotta che porta necessariamente alla vittoria del più forte contro gli inetti.

Tale teoria fu di profonda ispirazione,in un recentissimo passato,delle azioni intraprese dai movimenti nazionalisti nati in Europa.

L’ uomo è una corda tesa tra l’ animale e il superuomo, una corda al di sopra di un precipizio.

 

Nel primo discorso, Delle tre metamorfosi, Nietzsche descrive le tre metamorfosi dello spirito. Il cammello è l’uomo che porta i pesi della tradizione e che si piega di fronte a Dio all’insegna del Tu devi. Il leone è l’uomo che si libera dai fardelli metafisici ed etici, all’insegna dell’io voglio e nell’ambito di una libertà ancora negativa: libertà da e non di. Il fanciullo è lo spirito libero.

Nietzsche sottolinea il carattere elitario del superuomo, un’elite che non si limita a erigersi al di sopra delle masse ma che, nella sua qualità di razza dominatrice, ha bisogno della schiavitù delle masse come sua base e condizione.