giovedì 25 giugno 2020
Il Piacere
Le vergini delle rocce
Richiamando il celebre dipinto di Leonardo Da Vinci, fin dal titolo “Le Vergini delle Rocce” preannuncia una tematica dal carattere fortemente raffinato ed elegante, tratteggiando un paesaggio mentale duro e morbido al tempo stesso.
Le vergini delle rocce è un romanzo scritto nel 1895 da Gabriele D'Annunzio.
Dopo aver pubblicato Il piacere, Il trionfo della morte, Giovanni Episcopo e L'innocente, D'Annunzio entra in contatto con l'opera diNietzsche, da cui rimane profondamente segnato. Ne Il trionfo della morte si avvertono già alcuni significativi riferimenti al pensiero del grande filosofo tedesco, ma sarà solo con Le vergini delle rocce che l'acquisizione di Nietzsche, come suggestione e stimolo letterari, si farà più lucida e consapevole.
Il Mito attraverso d'Annunzio
Alessandro ed Ercole! Ecco i due purpurei fiori succisi che due divini artefici, Leonardo e Ludovico, raccolsero e commutarono in indistruttibili essenze.
Ma questi due, affacciatisi alla vita con le mani colme di tutti i semi della speranza, avevano dinnanzi a loro ogni più vasta possibilità. Le loro teste giovenili parevano fatte per portar la corona regale, l'antica corona già portata dai padri. In un d'essi il Vinci divinava il futuro fondatore di un nuovo principato, il Tiranno trionfante che doveva imporre alle moltitudini il giogo di quella Scienza e di quella Bellezza a cui il grande maestro aveva iniziato il discepolo prediletto.
Ma la sorte volle differire il compimento della profezia. Entrambi gittarono la loro vita nel primo impeto, poichè un troppo veemente ardore li divorava: Ercole nelle arene del Po contro gli Schiavoni; Alessandro su le rive del Taro alla battaglia di Fornovo.
Non imagino, anzi, ma vedo. Qual prodigiosa e terribile tempesta di giovinezza dovette esser quella che provocò il colpo di sprone, onde il cavallo fu lanciato a furia contro il riparo del nemico!
Certo, Ercole in quell'attimo si sentiva degno di stringere fra i suoi ginocchi la fiera alata che nacque dal sangue di Medusa.
Alessandro restò, uno contro mille.
Ma la morte di Alessandro somiglia quella di un semidio. A Fornovo, nel più forte della battaglia, scoppia un uragano e il Taro straripa con terribile violenza. Alessandro scompare d'improvviso, come uno di quelli antichissimi eroi ellenici che un turbine sollevava dalla terra assumendoli trasfigurati nel Cielo. Il suo corpo non si ritrova nè sul campo nè in altro luogo. Ma egli vive, vive nei secoli, d'una vita più intensa della nostra. Di lui non l'effigie soltanto ha tramandato sino a me il Vinci, ma la vita, la vera vita.
Egli rappresenta per me la potenza misteriosamente significativa dello Stile, non violabile da alcuno e neppur da me medesimo nella mia persona mai. Tutta la mia vita si svolge sotto il suo sguardo seguace.
«O tu, sii quale devi essere!» ecco il suo quotidiano ammonimento.
la nobilta' della stirpe
Ogni eccellenza del tipo umano sia l'effetto di una virtù iniziale che per innumerevoli gradi, d'elezione in elezione, giunge alla sua intensità massima e si manifesta ultimamente nella progenie col favore delle congiunture temporanee. Il valor del Sangue non è soltanto vantato dal nostro orgoglio patrizio, ma è pur anche riconosciuto dalla più severa dottrina. Il più alto esemplare di coscienza non potrà apparire se non alla cima di una stirpe che si sia elevata nel tempo per un'accumulazione continua di forze e di opere: alla cima di una stirpe in cui sieno nati e si sieno conservati per un lungo ordine di secoli i sogni più belli, i sentimenti più gagliardi,i pensieri più nobili, i voleri più imperiosi. Considerate ora una gente di remotissima origine regale, fiorita al sole latino in una terra felice rigata dai ruscelli di una nova poesia. Traspiantatasi in Italia, ella vigoreggia con tal rigoglio che in breve tempo nessun'altra può sostenerne il paragone. «Tristo è quel discepolo che non avanza il suo maestro» ha sentenziato il Vinci. E quella gente sembra aver posto a principio della sua grandezza una sentenza anche più ardua: «Tristo è quel figliuolo che non avanza il padre suo». Per uno sforzo concorde e ininterrotto, di genitura in genitura ella va elevandosi verso le superiori apparizioni della vita. In tempi di cieca ira, in cui la ragione non s'affida se non all'arme, ella già sembra comprendere «che quegli uomini, che sopra gli altri hanno vigore di intelletto, sono degli altri per natura signori».
E fin dall'inizio la sua disciplina ha un carattere intellettivo e par dettata da Dante, consistendo nel ridurre in atto sempre tutta la potenza dell'intelletto possibil e, in prima a speculare e quindi per questo ad operare. Tanto negli offici più gravi, quanto su i campi più sanguinosi, quanto nelle feste più liberali, ovunque ella primeggia: ottima egualmente nel capitanare gli eserciti, nel governare gli stati, nel condurre le ambascerie, nel proteggere gli artefici e i saggi, nell'erigere i palazzi e le chiese. A tutta la vita italiana nelle sue più diverse forme ella si mescola; in ogni più fresca fonte di cultura ella s'immerge. Vivere è per lei affermarsi e accrescersi di continuo, è lottare e vincere di continuo: vivere è per lei predominare. Un formidabile istinto di dominio la scaglia innanzi senza tregua, mentre un lucido e sicuro pensiero dirige l'impeto durevole. E sempre - come quelli arcieri prudenti che il Machiavelli dà in esempio - ella pone la mira assai più alto che il luogo destinato. Tanto i suoi fatti sono insigni che i maggiori poeti ne perpetuano la fama, e gli scrittori d'istorie li paragonano a quelli dei capitani antichi e li arrecano ad esempio dei venturi.
Tuttavia sembra che la sua virtù non siasi ancor manifestata intera, non abbia ancora attinto l'altezza insuperabile; sembra che le sue energie accumulate debbano, domani o fra un secolo o nel tempo indefinito, espandersi in una suprema apparizione...
"Allora dalle radici stesse della mia sostanza - là dove dorme la virtù indistruttibile degli avi - sorse e andò verso l'eletta la volontà di crear quell'Uno in cui dovevano trasmettersi tutte le ricchezze ideali della mia gente e le mie proprie conquiste e le perfezioni materne. Profondissimo mi divenne allora il sentimento di dipendenza originaria che legava il mio essere attuale agli antenati più lontani; e, come la cima dell'albero compendia in sè tutta la vita del tronco ramoso fino alle estreme radici, io sentii vivere in me tutta la stirpe, che la morte non aveva distrutta se non nelle specie corporee, nelle forme transitorie delle generazioni. E la pienezza e la veemenza di quella vita parevano abolire i limiti del mio natural potere.
<<Omai tu potresti fecondare il sale,mi diceva il demonico.>>
Là dove il tuo spirito s'inclina, l'ubertà si dilata subitamente. Ma pur tu hai teco il favore della Fortuna: tu sei entrato nell'ignoto e nell'impreveduto non come colui che tenta ed esplora incerto, ma come colui che è atteso ed eletto alla ricolta in un campo ove s'adunano tutte le maturità più superbe"
la purezza del sangue
Siate convinti che ogni eccellenza del tipo umano sia l'effetto di una virtù iniziale che per innumerevoli gradi, d'elezione in elezione, giunge alla sua intensità massima e si manifesta ultimamente nella progenie col favore delle congiunture temporanee. Il valor del Sangue non è soltanto vantato dal nostro orgoglio patrizio, ma è pur anche riconosciuto dalla più severa dottrina. Il più alto esemplare di coscienza non potrà apparire se non alla cima di una stirpe che si sia elevata nel tempo per un'accumulazione continua di forze e di opere: alla cima di una stirpe in cui sieno nati e si sieno conservati per un lungo ordine di secoli i sogni più belli, i sentimenti più gagliardi,i pensieri più nobili, i voleri più imperiosi. Considerate ora una gente di remotissima origine regale, fiorita al sole latino in una terra felice rigata dai ruscelli di una nova poesia. Traspiantatasi in Italia, ella vigoreggia con tal rigoglio che in breve tempo nessun'altra può sostenerne il paragone.
Cosi' sentenzio' il Vinci.
Per uno sforzo concorde e ininterrotto, di genitura in genitura ella va elevandosi verso le superiori apparizioni della vita.
In tempi di cieca ira, in cui la ragione non s'affida se non all'arme, ella già sembra comprendere «che quegli uomini, che sopra gli altri hanno vigore di intelletto, sono degli altri per natura signori». E fin dall'inizio la sua disciplina ha un carattere intellettivo e par dettata da Dante, consistendo nel ridurre in atto sempre tutta la potenza dell'intelletto possibil e, in prima a speculare e quindi per questo ad operare. Tanto negli offici più gravi, quanto su i campi più sanguinosi, quanto nelle feste più liberali, ovunque ella primeggia: ottima egualmente nel capitanare gli eserciti, nel governare gli stati, nel condurre le ambascerie, nel proteggere gli artefici e i saggi, nell'erigere i palazzi e le chiese. A tutta la vita italiana nelle sue più diverse forme ella si mescola; in ogni più fresca fonte di cultura ella s'immerge. Vivere è per lei affermarsi e accrescersi di continuo, è lottare e vincere di continuo: vivere è per lei predominare.
Un formidabile istinto di dominio la scaglia innanzi senza tregua, mentre un lucido e sicuro pensiero dirige l'impeto durevole. E sempre - come quelli arcieri prudenti che il Machiavelli dà in esempio - ella pone la mira assai più alto che il luogo destinato. Tanto i suoi fatti sono insigni che i maggiori poeti ne perpetuano la fama, e gli scrittori d'istorie li paragonano a quelli dei capitani antichi e li arrecano ad esempio dei venturi.
VIVERE ARDENDO E NON BRUCIARSI MAI
SEMPER ADAMAS (Sempre adamantino, forte come il diamante)
Motto coniato per la Prima Squadriglia navale.Adolfo De Carolis ebbe l'incarico di eseguire la xilografia raffigurante un braccio «potente» con l'indice teso, che si leva tra le fiamme.
Quando si arruolò, d'Annunzio aveva già 52 anni: fu nominato tenente dei Lancieri di Novara. Ma il suo sogno ardito era quello di volare.Dopo la guerra questo rimase uno dei motti più cari a d'Annunzio che lo fece incidere in caratteri d'oratii su portafogli,talismani,amuleti da donare agli amici piu' cari.
Virgilio nell'Eneide descrive Tartaro come il posto infernale dove gli dei avevano imprigionati i Titani. L'ingresso era sorvegliato dall'Idra e protetto da colonne adamantine. Per adamantino si intendeva un materiale talmente duro che niente poteva tagliarlo.Il diamante E’ il minerale più duro (10 sulla Scala Mohs), il che significa che non può essere graffiato da nulla, se non da un altro diamante.