mercoledì 5 agosto 2020

Le dannunzianate del D'annunzio

E’ ormai noto che D’Annunzio adorava adottare ogni artifizio per salire nuovamente alla ribalta attraverso azioni autopropagandistiche, discorsi pubblici, scandali mondani e imprese ardite e singolari, dalla caduta a cavallo del d’Annunzio quindicenne, agli scandali mondani con Elvira Leoni, la denuncia per adulterio, la relazione con Eleonora Duse, il calendario nudo, le appassionate arringhe interventiste, il volo su Vienna, la beffa di Buccari, il volo dell’arcangelo, per non nominare tutte le leggende predisposte con tale maestria da far tuttora nel bene o nel male parlare di lui.

Di seguito sono invece riportate alcune fra le dannunzianate meno note e plateali ma comunque necessarie per descrivere la psicologia di un personaggio estrememente complesso.





i profumi del Carnaro



Nella notte del 10 febbraio 1918, mentre l’Italia era in guerra con l’Austria, tre M.A.S. (Motobarche Armate S.V.A.N.), motoscafi siluranti della marina militare italiana destinati alla caccia antisommergibile, entravano nella stretta insenatura di Buccari, in terra istriana, beffando la sorveglianza e la sicurezza dell’esercito nemico, con un’azione che verrà ricordata nei libri di storia. Su una di quelle motobarche, orbo dell’occhio destro perso due anni prima in un incidente aereo, era imbarcato Gabriele D’Annunzio, eroe, aviatore, uomo d’azione, ricco dissipatore, amante sofisticato, fine letterato, forse il massimo poeta del ‘900, “Vate”, come amava definirsi. D’Annunzio non era nuovo a queste imprese: individuando con lungimiranza quanto un simile episodio avrebbe inciso nella Leggenda, aveva pianificato questa avventura per ribadire la sua straordinaria personalità e perma-nere da protagonista, con un sipario che teneva costantemente alzato, sul palcoscenico della Storia. Di lì a pochi mesi avrebbe concluso le sue eroiche azioni guerresche con un pericoloso volo su Vienna e un cavallere-sco lancio di manifestini. Gli italiani lo invidiavano, lo odiavano e lo adoravano. Sempre in prima linea, pronto a rischiare di persona, si poneva come l’incontrastato esponente della più raffinata cultura europea. Era stato lui a esaltare il cuore degli italiani nel maggio del 1915 pronunciando l’orazione che segnò la fine della neutralità e l’entrata in guerra contro l’Austria, aderendo poi, come volontario, al conflitto mondiale.

Le trattative di pace che seguirono la fine delle ostilità gli sembrarono aver mutilato la vittoria italiana (“[…] quel tradimento chiamato armistizio per frodare la storia […]”, come scrisse più tardi) e lo allontanarono dal governo, dal parlamento, dalla democrazia.
Si avvicinò a Mussolini, e la marcia su Ronchi e l’occupazione di Fiume, da lui organizzata e capeggiata, eser-citarono un’azione determinante sull’ideologia del fascismo.
Dopo l’impresa di Fiume si ritirò in una villa a Gardone Riviera, il suo “Palladio” o “il Vittoriale degli Italiani” come lo chiamò più tardi, sempre corteggiato e ammirato da donne e uomini, in un ombroso isolamento, dal quale partivano sovente invettive e critiche che facevano sussultare il Regime.
Il dannunzianesimo, con i suoi miti eroici, superumani, imperialistici influì enormemente sulla cultura e sull’arte della prima metà del secolo e al suo creatore si rivolgevano, oltre a letterati, attrici in cerca di voluttuose notti amorose, impresari teatrali e il solito esercito di creditori, anche ditte e società per la creazione di slogan pubbli-citari, nomi da assegnare ai propri prodotti, lettere di adesione e di appoggio.

Amico di Giuseppe Visconti di Modrone, fondatore della Casa di Profumo Giviemme, dette il nome a un’Acqua di Colonia battezzandola “Acqua di Fiume” -in onore alla sua impresa- e più tardi suggerì all’amico il nome forse più improbabile della storia del Profumo: “Giacinto innamorato”.

Anche la Società Anonima Stabilimenti L.E.P.I.T. di Bologna (Casa di Profumo attiva fino agli anni 40 del secolo scorso che ebbe notevole successo nella metà degli anni 30 con la lozione Pro Capillis Lepit, contenuta in un elegante flacone) si rivolse nel 1921 a Gabriele D’Annunzio per creare i nomi di una linea di profumazioni che il Vate chiamò, a ricordo delle sue imprese istriane, “I Profumi del Carnaro” (era ancora fresco l’episodio della reggenza italiana del Carnaro che venne proclamata l’8 settembre 1920, a Fiume, da D’Annunzio) e ai quali assegnò appellativi che ribadivano l’italianità dei prodotti. Formulò, come d’abitudine, anche un motto: “Cum lenitate asperitas” di cui si fregiò la Casa.

Tutta la parte artistica, disegni di flaconi, etichette, scatole, e illustrazioni dell’opuscolo esplicativo dei prodotti sono opera del pittore Adolfo De Carolis. I flaconi vennero realizzati a Murano nella vetreria dei fratelli Barovier e i cofanetti a Milano dalle Grafiche Baroni. “Così in Italia, con materia e mano d’opera italiane, sono stati plasmati tutti gli elementi che costituiscono I Profumi del Carnaro, meravigliosi e olezzanti frutti della nostra industria”, recitava la pubblicità del tempo.
Quella che presentiamo è la linea completa dei flaconi “I Profumi del Carnaro”, purtroppo oggi introvabi-li.

Le didascalie che accompagnano le immagini sono le stesse della pubblicità del tempo e sono indicative del contesto storico-sociale in cui sono state formulate.
Sono riprodotti anche i fogli scritti di pugno da D’Annunzio con i nomi assegnati ai profumi. Non manca il grido creato dal Vate per infiammare il cuore degli italiani: “Alalà” (in contrapposizione all'”Hurrà” lanciato dai fanti americani alleati quando si scagliavano all’assalto), con il quale battezza una profumazione. Purtroppo la nemesi storica che non ha voluto distinguere tra funeste vicende e altri incolpevoli eventi, accomunati dal torto di esistere sotto lo stesso cupo cielo, ha cancellato importanti brani degli avvenimenti italiani che ben poco aveva-no di iniquo, e “I Profumi del Carnaro” hanno seguito lo stesso percorso distruttivo, condannati da Nomi che volevano identificarsi con la Storia.

Giorgio Dalla Villa – Profumeria da Collezione.