sabato 29 agosto 2020

ENRICO ALBERTELLI, Recensione [V. GIANNANTONIO, L’universo dei sensi. Letteratura e artificio in D’Annunzio, Bulzoni, Roma, 2001], «Testo», XXIII (gennaio - giugno 2002), 43.

 La ricerca di Valeria Giannantonio nasce nel contesto del laboratorio dannunziano di Chieti, come XVI volume della collana Athenaeum, Letteratura italiana diretta da Gianni Oliva, perlopiù dedicata alla letteratura abruzzese. Il volume è in parte rielaborazione della miscellanea Per una grammatica dei sensi, a cura di G. OLIVA, Chieti, Solfanelli, 1992, a sua volta frutto di un seminario di studio nell’anno accademico 1988-89. L’universo dei sensi intende riscattare d’Annunzio dall’appellativo crociano di ‘dilettante delle sensazioni’ che ne inaugurò il discredito presso la critica coeva. Al contrario, nella sensualità dell’opera dannunziana, l’autrice scopre lo strumento per la ricezione e la reinterpretazione del mondo e quindi una strada efficace per penetrare in profondità la poetica dello scrittore. Ripercorrendo le pagine critiche del primo Novecento, la studiosa giustamente rileva come i vari Nencioni, Croce, Borghese, Gargiulo, Flora, Chiarini, Lodi, Panzacchi, Capuana, ecc., fondassero l’accusa di ‘sensualismo dilettantesco’ su una concezione pedagogica dell’arte poco idonea alla piena comprensione dell’opera dannunziana. Infatti, come già spiegava Luigi Bianconi nel suo D’Annunzio critico, Sansoni, Firenze, 1940, il rapporto del Poeta con la bellezza era in gran parte riconducibile al desiderio di nutrirsi degli oggetti circostanti per il proprio godimento intellettuale. Più recentemente, gli studi di Susanna Scotoni (D’Annunzio e l’arte contemporanea, Firenze, SPES, 1981; La prima critica d’arte di G. D’Annunzio, «Quaderni del Vittoriale», 31, gen. - feb. 1982, pp. 83-90; D’Annunzio critico d’arte, «Quaderni del Vittoriale», 34-35, lug. – ott. 1982, pp. 234-246), hanno dimostrato che lo stesso d’Annunzio, negli scritti giornalistici coevi, proponeva un’estetica di matrice parnassiana identificante bellezza ad eccitazione. In questo senso va letta anche l’adesione dello scrittore alla poetica analogica che il simbolismo francese andava diffondendo, poi teorizzata nel Piacere e nel Fuoco. Inoltre, il collocamento del poeta abruzzese nel contesto teorico e artistico di quegli anni consente alla Giannantonio di illustrarne l’operato all’interno del dibattito.

linguistico, giacché, sulla scorta di Carducci e delle suggestioni preraffaellite, d’Annunzio si specializzò nel conio di neologismi di derivazione classica e nel restauro della genuinità semantica lessicale attraverso lo studio dei testi medievali. Anziché soffermarsi sull’adesione del Poeta a una estetica ‘sensuale’ già investigata dalla critica, la studiosa svolge un puntuale esame dell’universo sensoriale dannunziano direttamente sul testo, scoprendo le valenze che l’autore attribuiva a colori, suoni, sapori e odori nella produzione giovanile fino al 1894. L’analisi rivela l’evoluzione della poetica del pescarese attraverso le suggestioni teoriche e artistiche del tempo, dal naturismo paganeggiante di Primo Vere e Canto novo al preziosismo parnassiano dell’Isottèo, al ripiegamento etico e alla regressione familiare significata, nel Poema Paradisiaco, da un trattamento simbolico del colore, che oppone i toni chiari all’ardore vermiglio. Dato il parallelismo fra la prosa e la poesia di d’Annunzio, l’analogo esame della sensualità nella produzione novellistica evidenzia il debito di Terra Vergine con la prosa di Zola e Verga. In particolare, l’accurata osservazione di alcuni racconti come Lazzaro, Toto, Frà Lucerta e Bestiame, rivela l’individualismo con cui l’autore andava rielaborando il modello verghiano. Infatti, il dato fenomenico perseguito con semplicità dallo scrittore siciliano, veniva caricato di impressioni decorative, sostituendo al mimetismo verista dei modi popolari una ferinità sensuale spinta fino alla regressione bestiale dell’umano e all’esasperazione dell’orrido nel paesaggio. Tale trasfigurazione dell’Abruzzo in una cornice mitica e selvaggia, assimilabile alla pittura del compaesano Michetti e culminante nella La Figlia di Iorio, implicava quel coinvolgimento emotivo del narratore che il canone verista dell’impersonalità aveva radicalmente bandito. Prima della Figlia di Iorio, tuttavia, lo speciosus ex horrido di Terra vergine troverà sviluppo nelle Novelle della Pescara, con lo studio della brutalità e della degradazione umana. Infine, accanto alla disamina dei sensi nel Piacere, Innocente, Giovanni Episcopo e Trionfo della morte, l’autrice svolge un’interessante analisi delle architetture narrative nel romanzo dannunziano, evidenziandone l’innovazione tecnica. La Giannantonio, infatti, illustra il superamento del canone naturalista, rilevando una struttura narrativa che non rispetta l’andamento storico degli eventi, ma trova il proprio ordine nei processi di riunificazione memoriale del protagonista.

 Suggestionato dalla letteratura d’Oltralpe (i romanzi di Bourget e Barrés e le riflessioni di Wyzewa), d’Annunzio andava sostituendo al naturalismo della verosimiglianza realistica quello della verosimiglianza psicologica. Tale superamento legittimava, peraltro, l’intensificazione della complementarità fra prosa, poesia e dramma, già perseguita dal Poeta secondo la formula della Gesamkunstwerk wagneriana. Enrico Albertelli