FIUME
La città di Fiume, oggi, Rijeka (Croazia) appartenne all’Italia dal 1924 al 1945, ma la città ha sempre avuto la maggioranza della popolazione di etnia e coltura italiana.
Con il Trattato di Pace di Parigi, firmato il 10 febbraio 1947, quindi conseguente al secondo conflitto mondiale, fu ceduta alla Repubblica Federativa Socialista di Jugoslavia, che aveva occupato militarmente Fiume fin dal 3 maggio 1945, assieme al resto della regione giuliana.
La città trova le proprie origini nell’antica Tarsatica romana, che si presume sia stata fondata nel 35 a.C. sotto Ottaviano Augusto e che fu distrutta nel corso delle invasioni barbariche tra il VII e il VIII secolo d.C. Fiume rinasce nello stesso sito agli inizi del secondo millennio con il nome latino di Flumen, tradotto dai croati in Reka, Rika o Rijeka, distinguendosi dalla vicina Tersatto, che dall'ottavo secolo in poi fu popolata dai croati.
La città era conosciuta nel Medioevo anche come Terra Sancti Viti. Nel 1465 passando dalla signoria dei Frangipani pervenne a quella dei Walsee e quindi alla Casa d’Asburgo.
Nel 1905 si costituì la «Giovine Fiume» movimento studentesco d’ispirazione irredentista e mazziniana favorevole all’Italia. Scoppiata la prima guerra mondiale alcuni fiumani insieme ad altri irredentisti istriani e dalmati si arruolarono nel regio esercito italiano, rischiando la forca.
Alla fine della prima guerra mondiale, avvicinandosi lo sgretolamento dell'Impero Austro-Ungarico, il deputato fiumano Andrea Ossoinack al Parlamento ungherese reclamò per la sua città il diritto all’autodecisione. Successivamente, nella nella latitanza d’ogni potere e per evitare una nuova occupazione croata, si costituì il 30 ottobre 1918 un Consiglio Nazionale Italiano presieduto da Antonio Grossich, per reclamare l’annessione di Fiume all’Italia contrapponendosi così ad un Consiglio Nazionale Croato che chiedeva l’annessione alla Croazia, che faceva parte del neo costituito Regno dei Serbi, Croati e Sloveni (S.H.S.), uno stato voluto dai francesi e dagli inglesi per limitare l'influenza politica italiana in Adriatico orientale.
Per più di un anno il poeta abruzzese ed eroe di guerra capeggiò una sedizione nata in ambito militare, ma che seppe raccogliere sulle rive del Carnaro significative adesioni anche da parte di intellettuali, artisti, politici e sindacalisti non solo italiani. Partito sventolando la bandiera della “vittoria mutilata”, che privava l’Italia soprattutto in Dalmazia di quanto le spettava, il Vate si pose nettamente in contrasto con quanto si andava deliberando a Parigi in seno alla Conferenza della Pace, mettendo in serio imbarazzo pure il Governo italiano.
Fu D'Annunzio a dimostrare la possibilità, grazie alla connivenza dell'esercito, di marciare senza colpo ferire su Fiume: Mussolini trasformerà questa marcia fiumana in marcia su Roma; fu sempre D'Annunzio ad iniziare il rituale dei discorsi dal balconecon saluto romano ed il grido di "eia, eia, alalà": Mussolini trasferì questi metodi giore di peso nella nuova gestione del potere e nella manipolazione delle masse; fu sempre D'Annunzio ad evocare i martiri coi simboli e rituali quasi religiosi; per D'Annunzio era la bandiera del Randaccio, per i fascisti sarà l'evocazione mistico-religiosa dei loro "martiri". Ed anche il dialogo con la folla, già iniziato da Orlando, fu perfezionato sino a diventare coro drammatico, quasi rappresentazione da tragedia greca, con conseguenti emozioni e forme di isterismo collettivi. Infine fu sempre D'Annunzio ad inaugurare la prassi dei plebisciti (probabilmente addomesticati), prassi ripresa dal fascismo e poi dal nazismo. In sostanza l'impresa fiumana fece scuola, ed insegnò, a chi volle imparare, come potesse essere semplice impadronirsi del potere, abbattendo uno stato debole e smidollato, senza alcuna capacità di reagire adeguatamente alla minaccia portata alla sua Costituzione. Ovviamente la prima reazione da parte degli Alleati fu quella di ritenere che il governo di Roma fosse d'accordo con D'Annunzio, e che di conseguenza la marcia su Fiume fosse stata tutta una messa in scena. Tuttavia man mano che giunsero precise informazioni da parte degli organi diplomatici accreditati in Italia, tutti si resero conto che, per quanto potesse sembrare poco credibile, il governo italiano era del tutto estraneo al pronunciamento dannunziano.