Su, Elegia t'eleva! La notte è propizia ai dolenti.
Piangi la donna nostra, canta le lodi sue.
Giova, ne l'alta notte, con lacrime lei richiamare?
Tutta nel verso vano l'anima mia si sface.
Ben, forse, lei ne l'intimo petto l'angoscia martira;
lei riguardante cieli strani il desio pur tiene.
Lei, forse, tiene il grato ricordo, se vago la luna
brivido le suscita ne la solitudine;
piú vivo ardor per me le comprende il pensiero, se a
torno languidi favellano gli alberi in colloquii.
Ahi, non indarno un tempo le cose parlavano amore!
Ma di gioire urgeva brama piú forte noi
ebri di tal dolcezza cui gli astri effondean pe 'l raggiato
etere, cui limpida piacqueci di bevere.
Vino immateriale in coppa invisibile, oh mira
ebrietà che tutto l'essere penetrando
fece rigati a noi di nuova delizia gli amplessi,
rese infiniti i brevi nostri mortali amori!
Forte il mio spirto ardendo occupò il suo cuore
profondo come la fiamma alàcre abita l'urna cava.
Di quell'amante vita nudrivasi ardendo il mio spirto,
come la fiamma a notte beve la pura oliva.
I pensier suoi pensai; la gioja e il dolor suo nel pieno
essere mio raccolsi; vidi per gli occhi suoi.
L'anima, le segrete de l'anima voci, il divino
ritmo del suo respiro, l'intimo di sue vene
fremito, e le latenti sue cure, e gli inganni de' sogni,
e l’improvvise angosce, tutto io conobbi in lei.
Io, su lei chino, io tutti conobbi i concenti che solo
odonsi nel silenzio dolce del sangue suo,
quando gli innumerevoli palpiti in uno concordi
fingono la tremante calma d'estivo mare.
Io gli splendori ascosi de l'anima sua rivelai,
come con aurea chiave i penetrali aprendo;
e li diffusi in cerchi piú vasti ove tutto m'immersi
avidamente, i fianchi cinto di forza nuova.
Tale, fra l'ignee chiome che spiega l'Aurora su'l mondo,
aquila uscente a volo da la nativa rupe:
invermigliati i fiumi salutan con tuoni il prodigio,
ridono le attonite fronti de l'alpe in giro:
unica quella al sommo rossor batte l'ali possenti;