lunedì 3 maggio 2021

La Carta del Carnaro (Testo di Gabriele d’Annunzio)

 perpetua volontà popolare

Fiume, libero comune italico da secoli, pel voto unanime dei cittadini e per la voce legittima del Consiglio nazionale, dichiarò liberamente la sua dedizione piena e intiera alla madre patria, il 30 ottobre 1918.
Il suo diritto è triplice, come l’armatura impenetrabile del mito romano.
Fiume è l’estrema custode italica delle Giulie, è l’estrema rocca della cultura latina, è l’ultima portatrice del segno dantesco. Per lei, di secolo in secolo, di vicenda in vicenda, di lotta in lotta, di passione in passione, si serbò italiano il Carnaro di Dante. Da lei s’irraggiarono e s’irraggiano gli spiriti dell’italianità per le coste e per le isole, da Volosca a Laurana, da Moschiena ad Albona, da Veglia a Lussino, da Cherso ad Arbe.
E questo è il suo diritto storico.
Fiume, come già l’originaria Tarsàtica posta contro la testata austra Dellale del Vallo liburnico, sorge e si stende di qua dalle Giulie. È pienamente compresa entro quel cerchio che la tradizione la storia e la scienza confermano confine sacro d’Italia.

E questo è il suo diritto terrestre.
Fiume con tenacissimo volere, eroica nel superare patimenti insidie violenze d’ogni sorta, rivendica da due anni la libertà di scegliersi il suo destino e il suo compito, in forza di quel giusto principio dichiarato ai popoli da taluno dei suoi stessi avversari ingiusti.
E questo è il suo diritto umano.
Le contrastano il triplice diritto l’iniquità la cupidigia e la prepotenza straniere; a cui non si oppone la trista Italia, che lascia disconoscere e annientare la sua propria vittoria.
Per ciò i1 popolo della libera città di Fiume, sempre fiso al suo fato latino e sempre inteso al compimento del suo voto legittimo, delibera di rinnovellare i suoi ordinamenti secondo lo spirito della sua vita nuova, non limitandoli al territorio che sotto il titolo di «Corpus separatum» era assegnato alla Corona ungarica, ma offrendoli alla fraterna elezione di quelle comunità adriatiche le quali desiderassero di rompere gli indugi, di scuotere l’opprimente tristezza e d’insorgere e di risorgere nel nome della nuova Italia.
Così, nel nome della nuova Italia, il popolo di Fiume costituito in giustizia e in libertà fa giuramento di combattere con tutte le sue forze, fino all’estremo, per mantenere contro chiunque la contiguità della sua terra alla madre patria, assertore e difensore perpetuo dei termini alpini segnati da Dio e da Roma.

Dei fondamenti

I – Il popolo sovrano di Fiume, valendosi della sua sovranità non oppugnabile né violabile, fa centro del suo libero stato il suo «Corpus separatum», con tutte le sue strade ferrate e con l’intiero suo porto.

Ma, come è fermo nel voler mantenere contigua la sua terra alla madre patria dalla parte di ponente, non rinunzia a un più giusto e più sicuro confine orientale che sia per essere determinato da prossime vicende politiche e da concordati conclusi coi comuni rurali e marittimi attratti dal regime del porto franco e dalla larghezza dei nuovi statuti.

II – La Reggenza italiana del Carnaro è costituita dalla terra di Fiume, dalle isole di antica tradizione veneta che per voto dichiarano di aderire alle sue fortune; e da tutte quelle comunità affini che per atto sincero di adesione possano esservi accolte secondo lo spirito di un’apposita legge prudenziale.

III – La Reggenza italiana del Carnaro è un governo schietto di popolo – «res populi» – che ha per fondamento la potenza del lavoro produttivo e per ordinamento le più larghe e le più varie forme dell’autonomia quale fu intesa ed esercitata nei quattro secoli gloriosi del nostro periodo comunale.

IV – La Reggenza riconosce e conferma la sovranità di tutti i cittadini senza divario di sesso, di stirpe, di lingua, di classe, di religione.
Ma amplia ed inalza e sostiene sopra ogni altro diritto i diritti dei produttori; abolisce o riduce la centralità soverchiante dei poteri costituiti; scompartisce le forze e gli officii,
cosicché dal gioco armonico delle diversità sia fatta sempre vigorosa e più ricca la vita comune.

V – La Reggenza protegge difende preserva tutte le libertà e tutti i diritti popolari; assicura l’ordine interno con la disciplina e con la giustizia;
si studia di ricondurre i giorni e le opere verso quel senso di virtuosa gioia che deve rinnovare dal profondo il popolo finalmente affrancato da un regime uniforme di soggezioni e di menzogne;
costantemente si sforza di elevare la dignità e di accrescere la prosperità di tutti i cittadini,
cosicché il ricevere la cittadinanza possa dal forestiero esser considerato nobile titolo e altissimo onore, come era un tempo il vivere con legge romana.

VI – Tutti i cittadini dello Stato, d’ambedue i sessi, sono e si sentono eguali davanti alla nuova legge.
L’esercizio dei diritti riconosciuti dalla costituzione non può essere menomato né soppresso in alcuno se non per conseguenza di giudizio pubblico e di condanna solenne.

VII – Le libertà fondamentali di pensiero, di stampa, di riunione e di associazione sono dagli statuti guarentite a tutti i cittadini.
Ogni culto religioso è ammesso, è rispettato, e può edificare il suo tempio;
ma nessun cittadino invochi la sua credenza e i suoi riti per sottrarsi all’adempimento dei doveri prescritti dalla legge viva.
L’abuso delle libertà statutarie, quando tenda a un fine illecito e turbi l’equilibrio della convivenza civile, può essere punito da apposite leggi;
ma queste non devono in alcun modo ledere il principio perfetto di esse libertà.

VIII – Gli statuti guarentiscono a tutti i cittadini d’ambedue i sessi:

l’istruzione primaria in scuole chiare e salubri; l’educazione corporea in palestre aperte e fornite;
il lavoro remunerato con un minimo di salario bastevole a ben vivere; l’assistenza nelle infermità, nella invalitudine, nella disoccupazione involontaria; la pensione di riposo per la vecchiaia;
l’uso dei beni legittimamente acquistati; l’inviolabilità del domicilio;
l’habeas corpus;
il risarcimento dei danni in caso di errore giudiziario o di abusato potere.

IX – Lo Stato non riconosce la proprietà come il dominio assoluto della persona sopra la cosa, ma la considera come la più utile delle funzioni sociali.
Nessuna proprietà può essere riservata alla persona quasi fosse una sua parte; né può esser lecito che tal proprietario infingardo la lasci inerte o ne disponga malamente, ad esclusione di ogni altro.
Unico titolo legittimo di dominio su qualsiasi mezzo di produzione e di scambio è il lavoro.
Solo il lavoro è padrone della sostanza resa massimamente fruttuosa e massimamente profittevole all’economia generale.

X – Il porto, la stazione, le strade ferrate comprese nel territorio fiumano sono proprietà perpetua incontestabile ed inalienabile dello Stato.
È concesso – con un Breve del Porto franco – ampio e libero esercizio di commercio, di industria, di navigazione a tutti gli stranieri come agli indigeni, in perfetta parità di buon trattamento e immunità da gabelle ingorde e incolumità di persone e di cose.

XI – Una Banca nazionale del Carnaro, vigilata dalla Reggenza, ha l’incarico di emettere la carta moneta e di eseguire ogni altra operazione di credito.
Una legge apposita ne determinerà i modi e le regole, distinguendo nel tempo medesimo i diritti gli obblighi e gli oneri delle Banche già nel territorio operanti e di quelle che fossero per esservi fondate.

XII – Tutti i cittadini d’ambedue i sessi hanno facoltà piena di scegliere e di esercitare industrie professioni arti e mestieri.
Le industrie iniziate e alimentate dal denaro estraneo e ogni esercizio consentito a estranei troveranno le loro norme in una legge liberale.

XIII – Tre specie di spiriti e di forze concorrono all’ordinamento al movimento e all’incremento dell’università:
i Cittadini
le Corporazioni i Comuni.

XIV – Tre sono le credenze religiose collocate sopra tutte le altre nella università dei Comuni giurati:
la vita è bella, e degna che severamente e magnificamente la viva l’uomo rifatto intiero dalla libertà;

l’uomo intiero è colui che sa ogni giorno inventare la sua propria virtù per ogni giorno offrire ai suoi fratelli un nuovo dono;
il lavoro, anche il più umile, anche il più oscuro, se sia bene eseguito, tende alla bellezza e orna il mondo.

Dei cittadini

XV – Hanno grado e titolo di cittadini nella Reggenza
tutti i cittadini presentemente noverati nella libera città di Fiume;
tutti i cittadini appartenenti alle altre comunità che chiedano di far parte del nuovo Stato e vi sieno accolte;
tutti coloro che per pubblico decreto del popolo sieno di cittadinanza privilegiati; tutti coloro che, avendo chiesta la cittadinanza legale, l’abbiano per decreto
ottenuta.

XVI – I cittadini della Reggenza sono investiti di tutti i diritti civili e politici nel punto in cui compiono il ventesimo anno di età.
Senza distinzione di sesso diventano legittimamente elettori ed eleggibili per tutte le cariche.

XVII – Saranno privi dei diritti politici, con regolare sentenza, i cittadini condannati in pena d’infamia;
ribelli al servizio militare per la difesa del territorio; morosi al pagamento delle tasse;
parassiti incorreggibili a carico della comunità, se non sieno corporalmente incapaci di lavorare per malattia o per vecchiezza.

XVIII – Lo stato è la volontà comune e lo sforzo comune del popolo verso un sempre più alto grado di materiale e spirituale vigore.
Soltanto i produttori assidui della ricchezza comune e i creatori assidui della potenza comune sono nella Reggenza i compiuti cittadini e costituiscono con essa una sola sostanza operante, una sola pienezza ascendente.
Qualunque sia la specie del lavoro fornito di mano o d’ingegno, d’industria o d’arte, di ordinamento o di eseguimento, tutti sono per obbligo inscritti in una delle dieci Corporazioni costituite che prendono dal comune l’imagine della lor figura, ma svolgono liberamente la loro energia e liberamente determinano gli obblighi mutui e le mutue provvidenze.

XIX – Alla prima Corporazione sono inscritti gli operai salariati dell’industria, dell’agricoltura, del commercio, dei trasporti; e gli artigiani minuti e i piccoli proprietarii di terre che compiano essi medesimi la fatica rurale o che abbiano aiutatori pochi e avventizii.
La corporazione seconda raccoglie tutti gli addetti ai corpi tecnici e amministrativi di ogni privata azienda industriale e rurale, esclusi i comproprietarii di essa azienda.
Nella terza si radunano tutti gli addetti alle aziende commerciali, che non sieno veri operai; e anche da questa sono esclusi i comproprietarii.

La quarta corporazione associa i datori d’opra in imprese d’industria, d’agricoltura, di commercio, di trasporti, quando essi non sieno soltanto proprietarii ma
– secondo lo spirito dei nuovi statuti – conduttori sagaci e accrescitori assidui dell’azienda.
Sono compresi nella quinta tutti i pubblici impiegati comunali e statuali di qualsiasi ordine.
La sesta comprende il fiore intellettuale del popolo: la gioventù studiosa e i suoi maestri: gli insegnanti delle scuole pubbliche e gli studenti degli istituti superiori; gli scultori, i pittori, i decoratori, gli architetti, i musici, tutti quelli che esercitano le arti belle, le arti sceniche, le arti ornative.
Della settima fanno parte tutti quelli che esercitano professioni libere non considerate nelle precedenti rassegne.
L’ottava è costituita dalle Società cooperatrici di produzione, di lavoro e di consumo, industriali e agrarie; e non può essere rappresentata se non dagli amministratori alle società stesse preposti.
La nona assomma tutta la gente di mare.
La decima non ha arte né novero né vocabolo. La sua pienezza è attesa come quella della decima Musa. È riservata alle forze misteriose del popolo in travaglio e in ascendimento. È quasi una figura votiva consacrata al genio ignoto, all’apparizione dell’uomo novissimo, alle trasfigurazioni ideali delle opere e dei giorni, alla compiuta liberazione dello spirito sopra l’ànsito penoso e il sudore di sangue.
È rappresentata, nel santuario civico, da una lampada ardente che porta inscritta un’antica parola toscana dell’epoca dei Comuni, stupenda allusione a una forma spiritualizzata del lavoro umano:
«Fatica senza fatica».

XX – Ogni corporazione svolge il diritto di una compiuta persona giuridica compiutamente riconosciuta dallo stato.
Sceglie i suoi consoli;
manifesta nelle sue adunanze la sua volontà;
detta i suoi patti, i suoi capitoli, le sue convenzioni;
regola secondo la sua saggezza e secondo le sue esperienze la propria autonomia; provvede ai suoi bisogni e accresce il suo patrimonio riscotendo dai consociati una
imposta pecuniaria in misura della mercede, dello stipendio, del profitto d’azienda, del lucro professionale;
difende in ogni campo la sua propria classe e si sforza di accrescerne la dignità; si studia di condurre a perfezione la tecnica delle arti e dei mestieri;
cerca di disciplinare il lavoro volgendolo verso modelli di moderna bellezza; incorpora lavoratori minuti per animarli e avviarli a miglior prova;
consacra gli obblighi del mutuo soccorso;
determina le provvidenze in favore dei compagni infermi o indeboliti;
inventa le sue insegne, i suoi emblemi, le sue musiche, i suoi canti, le sue preghiere;
instituisce le sue cerimonie e i suoi riti;
concorre, quanto più magnificamente possa, all’apparato delle comuni allegrezze, delle feste anniversarie, dei giochi terrestri e marini;
venera i suoi morti, onora i suoi decani, celebra i suoi eroi.

XXI – Le attinenze fra tra Reggenza e le Corporazioni, e fra l’una e l’altra Corporazione, sono regolate nei modi medesimi che gli statuti definiscono nel regolare le dipendenze fra i poteri centrali della Reggenza e i Comuni giurati, e fra l’uno e l’altro Comune.
I socii di ciascuna Corporazione costituiscono un libero corpo elettorale per eleggere i rappresentanti al Consiglio dei Provvisori.
Ai consoli delle Corporazioni e alle loro insegne è dovuto nelle cerimonie pubbliche il primo luogo.

Dei Comuni

XXII – Si ristabilisce per tutti i Comuni l’antico «potere normativo», che è il diritto d’autonomia pieno: il diritto particolare di darsi proprie leggi, entro il cerchio del diritto universo.
Essi esercitano in sé e per sé tutti i poteri che la Costituzione non attribuisce agli officii legislativi esecutivi e giudiziarii della Reggenza.

XXII – A ogni comune è data amplissima facoltà di formarsi un corpo unitario di leggi municipali, variamente derivate dalla consuetudine propria, dalla propria indole, dall’energia trasmessa e dalla nuova coscienza.
Ma deve ogni comune chiedere per i suoi statuti la mallevadoria della Reggenza, che la concede.
quando essi statuti non contengano nulla di palesemente o copertamente contrario allo spirito della Costituzione;
quando essi statuti sieno approvati accettati votati dal popolo e possano essere riformati o emendati dalla volontà della schietta maggioranza cittadina.

XXIV – Ai Comuni è riconosciuto il diritto di condurre accordi, di praticare componimenti, di concludere trattati fra loro, in materia di legislazione e di amministrazione.
Ma è fatto a essi obbligo di sottoporli all’esame del Potere esecutivo centrale.
Se il potere stima che tali accordi componimenti trattati sieno in contrasto con lo spirito della Costituzione, li raccomanda per il giudizio inappellabile alla Corte della Ragione.
Se la Corte li dichiara illegittimi e invalidi, il Potere esecutivo della Reggenza provvede a romperli e disfarli.

XXV – Quando l’ordine interno di un comune sia turbato da fazioni, da soprafrazioni, da macchinazioni, o da una qualunque altra forma di violenza e d’insidia,
quando l’integrità e la dignità di un Comune sieno minacciate o lese da un altro Comune prevaricante,
il Potere esecutivo della Reggenza interviene mediatore e pacificatore, se richiedano l’intervento le autorità comunali concordi,
se lo richieda il terzo dei cittadini esercitanti i diritti politici nel luogo stesso.

XXVI – Ai Comuni segnatamente si appartiene fondare l’istruzione primaria secondo le norme stabilite dal Consiglio scolastico dello Stato;

nominare i giudici comunali;
instituire e mantenere la polizia comunale; mettere imposte;
contrarre prestiti nel territorio della Reggenza, o anche fuori del territorio ma con la mallevadoria del Governo che dimandato non la concede se non nei casi di manifesta necessità.

Del potere legislativo

XXVII – Esercitano il potere legislativo due corpi formati per elezione: il Consiglio degli Ottimi
il Consiglio dei Provvisori.

XXVIII – Eleggono il Consiglio degli Ottimi, nei modi del suffragio universale diretto e segreto, tutti i cittadini della Reggenza che abbiano compiuto il ventesimo anno di età e che sieno investiti dei diritti politici.
Ogni cittadino votante della Reggenza può essere assunto al Consiglio degli Ottimi.

XXIX – Gli Ottimi durano nell’oficio tre anni.
Sono eletti in ragione di uno per ogni migliaio di elettori; ma in ogni caso non può il loro numero essere di sotto al trenta.
Tutti gli elettori formano un corpo elettorale unico.
L’elezione si compie nei modi del suffragio universale e della rappresentanza proporzionale.

XXX – Il Consiglio degli Ottimi ha potestà ordinatrice e legislatrice nel trattare del Codice penale e civile,
della Polizia,
della Difesa nazionale,
della Istruzione pubblica e secondaria, delle Arti belle,
dei Rapporti fra lo Stato e i Comuni.
Il Consiglio degli Ottimi per ordinario non si aduna se non una volta l’anno, nel mese di ottobre, con brevità spiccatamente concisa.

XXXI – Il Consiglio dei Provvisori si compone di sessanta eletti, per elezione compiuta nel modo del suffragio universale segreto e con la regola della rappresentanza proporzionale:
Dieci Provvisori sono eletti dagli operai d’industria e dai lavoratori della terra; dieci dalla gente di mare;
dieci dai datori d’opra;
cinque dai tecnici agrarii e industriali;
cinque dagli addetti alle amministrazioni delle aziende private;
cinque dagli insegnanti delle scuole pubbliche, dagli studenti delle scuole superiori, e dagli altri consociati della sesta corporazione;
cinque dalle professioni libere;

cinque dai pubblici impiegati;
cinque dalle Società cooperatrici di produzione, di lavoro e di consumo.

XXXII – I Provvisori durano nell’officio due anni.
Non sono eleggibili se non appartengano alla corporazione rappresentata.

XXXIII – Per ordinario il consiglio dei Provvisori si aduna due volte l’anno, nei mesi di maggio e di novembre, usando nel dibattito il modo laconico.
Ha potestà ordinatrice e legislatrice nel trattare del Codice commerciale e marittimo;
delle Discipline che conducono il lavoro continuato; dei Trasporti;
delle Opere pubbliche;
dei Trattati di commercio, delle dogane, delle tariffe, e d’altra materie affini; della Istruzione tecnica e professionale;
delle Industrie e delle Banche; delle Arti e dei Mestieri.

XXXIV – Il Consiglio degli Ottimi e il Consiglio dei Provvisori si riuniscono una volta l’anno in un sol corpo, sul principio del mese di dicembre, costituendo un grande Consiglio nazionale sotto il titolo di Arengo del Carnaro.
L’Arengo tratta e delibera
delle Relazioni con gli altri Stati; della Finanza e de1 Tesoro; degli Alti Studii;
della riformabile Costituzione; dell’ampliata libertà.

Del potere esecutivo

XXXV – Esercitano il potere esecutivo della Reggenza sette Rettori partitamente eletti dall’Assemblea nazionale, dal Consiglio degli Ottimi, dal Consiglio dei Provvisori.
Il Rettore degli Affari Esteri, il Rettore delle Finanze e del Tesoro, il Rettore dell’Istruzione pubblica sono eletti dall’Assemblea nazionale.
Il Rettore dell’Interno e della Giustizia, il Rettore della Difesa nazionale sono eletti dal Consiglio degli Ottimi.
Il Consiglio dei Provvisori elegge il Rettore dell’Economia pubblica e il Rettore del Lavoro.
Il Rettore degli Affari esteri assume titolo di Primo Rettore, e rappresenta la Reggenza al cospetto degli altri Stati «primus inter pares».

XXXVI – L’officio dei sette Rettori è stabile e continuo. Delibera di ogni cosa che non competa all’amministrazione corrente.
il Primo Rettore regola il dibattito, e ha voto decisivo in caso di parità.
I Rettori sono eletti per un anno, e non sono rieleggibili se non per una volta sola. Ma, dopo l’intervallo di un anno, possono essere nuovamente nominati.

Del potere giudiziario

XXXVII – Partecipano del potere giudiziario i Buoni uomini
i Giudici del Lavoro i Giudici togati
i Giudici del Maleficio la corte della Ragione.

XXXVIII – I Buoni uomini, eletti per fiducia popolare da tutti gli elettori dei varii comuni in misura del numero, giudicano delle controversie civili e commerciali sino al valore di cinquemila lire e sentenziano delle colpe che cadano sotto pene di durata non superiore a un anno.

XXIX – I Giudici del Lavoro giudicano delle controversie singolari fra i salariati e i datori d’opra.
Essi costituiscono collegi di giudici nominati dalle Corporazioni che eleggono il Consiglio dei Provvisori.
In questa misura:
due dagli operai d’industrie e dai lavoratori della terra; due dalla gente di mare;
due dai datori d’opra; dai lavoratori della terra;
uno dai tecnici industriali ed agrarii; uno dalle libere professioni;
uno dagli addetti alle amministrazioni delle private aziende; uno dagli impiegati pubblici;
uno dagli Insegnanti, dagli studenti degli Istituti superiori e dagli altri socii della sesta Corporazione;
uno dalle Società cooperatrici di produzione, di lavoro e di consumo.
I Giudici del Lavoro hanno facoltà di dividere in sezioni i loro collegi per sollecitare i giudizii, servitori pronti d’una giustizia leggera ed espeditissima.
Alle sezioni ricongiunte compete il giudizio d’appello.

XL – I Giudici togati giudicano di tutte quelle questioni civili commerciali e penali in cui i Buoni uomini e i Giudici del Lavoro non abbiano competenza, eccettuate quelle spettanti ai Giudici del Maleficio.
Costituiscono il Tribunale d’appello per le sentenze dei Buoni uomini.
Sono dalla Corte della Ragione scelti per concorsi fra i cittadini addottorati in legge.

XLI – Sette cittadini giurati, assistiti da due supplenti e presieduti da un giudice togato, compongono il Tribunale del Maleficio,
che giudica tutti i delitti di colore politico e tutti quei misfatti che sieno da unire con la privazione della libertà corporale per un tempo superiore al triennio.

XXXII – Eletta dal Consiglio nazionale, la Corte della Ragione si compone di cinque membri effettivi e di due supplenti.
Dei membri effettivi almeno tre, dei supplenti almeno uno saranno scelti fra i dottori di legge.
La corte della Ragione giudica
degli atti e decreti emanati dal Potere legislativo e dal Potere esecutivo, per accertarli conformi alla Costituzione;
di ogni conflitto statutario fra il Potere legislativo e il Potere esecutivo, fra la Reggenza e i Comuni, fra Comune e Comune, fra la Reggenza e le Corporazioni, fra la Reggenza e i privati, fra i Comuni e le Corporazioni, fra i Comuni e i privati;
dei casi di alto tradimento contro la Reggenza per opera di cittadini partecipi del Potere legislativo e dell’esecutivo;
degli attentati al diritto delle genti;
delle contestazioni civili fra la Reggenza e i Comuni, fra Comune e Comune; delle trasgressioni commesse da partecipi dei poteri;
delle questioni di competenza fra i varii magistrati giudiciali.
La Corte della Ragione rivede in ultima istanza le sentenze, e nomina per concorso i Giudici togati.
Ai cittadini costituiti in Corte della Ragione è fatto divieto di tenere alcun altro officio, sia nella sede in altro Comune.
Né possono esercitare professione o industria o mestiere per tutta la durata della carica.

Del Comandante

XLIII – Quando la Reggenza venga in pericolo estremo e veda la sua salute nella devota volontà d’un solo, che sappia raccogliere eccitare e condurre tutte le forze del popolo alla lotta e alla vittoria, il Consiglio nazionale solennemente adunato nell’Arengo può nominare a viva voce per voto il Comandane e a lui rimettere la potestà suprema senza appellazione.
Il Consiglio determina il più o men breve tempo dell’imperio non dimenticando che nella Repubblica romana la dittatura durava sei mesi.

XLIV – Il Comandante, per la durata dell’imperio, assomma tutti i poteri politici e militari, legislativi ed esecutivi.
I partecipi del Potere esecutivo assumono presso di lui officio di segretarii e commissarii.

XLV – Spirato il termine dell’imperio, il Consiglio nazionale si raduna e delibera di riconfermare il Comandante nella carica,
oppure sostituire in suo luogo un altro cittadino, oppure di deporlo,
o anche di bandirlo.

XLVI – Ogni cittadino investito dei diritti politici, sia o non sia partecipe dei poteri nella Reggenza, può essere eletto al supremo officio.

Della difesa nazionale

XLVII – Nella reggenza italiana del Carnaro tutti i cittadini, d’ambedue i sessi, dall’età di diciassette anni all’età di cinquantacinque, sono obbligati al servizio militare per la difesa della terra.
Fatta la cerna, gli uomini validi servono nelle forze di terra e di mare, gli uomini meno atti e le donne salde servono nelle ambulanze, negli ospedali, nelle amministrazioni, nelle fabbriche d’armi, e in ogni altra opera ausiliaria, secondo l’attitudine e secondo la perizia di ognuno.

XLVIII – A tutti i cittadini che durante il servizio militare abbiano contratto una infermità insanabile, e alle loro famiglie in bisogno, è dovuto il largo soccorso dello Stato.
Lo Stato adotta i figli dei cittadini gloriosamente caduti in difesa della terra, soccorre i consanguinei se sieno in distretta, raccomanda i nomi dei morti alla memoria delle generazioni.

XLIX – In tempo di pace e di sicurezza, la Reggenza non mantiene l’esercito armato; ma tutta la nazione resta armata, nei modi prescritti dall’apposita legge, e allena con sagace sobrietà le sue forze di terra e di mare.
Lo stretto servizio è limitato ai periodi d’istruzione e ai casi di guerra guerreggiata o di pericolo prossimo.
In periodo d’istruzione e in caso di guerra, il cittadino non perde alcun dei suoi diritti civili e politici; e può esercitarli quando sieno conciliabili con la necessità della disciplina attiva.

Dell’istruzione pubblica

L – Per ogni gente di nobile origine la coltura è la più luminosa delle armi lunghe.
Per la gente adriatica, di secolo in secolo costretta a una lotta senza tregua contro l’usurpatore incolto, essa è più che un’arme; è una potenza indomabile come il diritto e come la fede.
Per il popolo di Fiume, nell’atto medesimo della sua rinascita a libertà, diviene il più efficace strumento di salute e di fortuna sopra l’insidia estranea che da secoli la stringe.
La coltura è l’aroma contro le corruzioni. La coltura è la saldezza contro le deformazioni.
Sul Carnaro di Dante il culto della lingua di Dante è appunto il rispetto e la custodia di ciò che in tutti i tempi fu considerato come il più prezioso dei popoli, come la più alta testimonianza della loro nobiltà originaria, come l’indice supremo del loro sentimento di dominazione morale.
La dominazione morale è la necessità guerriera del nuovo Stato. L’esaltazione delle belle idee umane sorge dalla sua volontà di vittoria.
Mentre compisce la sua unità, mentre conquista la sua libertà, mentre instaura la sua giustizia, il nuovo Stato deve sopra tutti i suoi propositi proporsi di difendere

conservare propugnare la sua unità la sua libertà la sua giustizia nella regione dello spirito.
Roma deve qui essere presente nella sua coltura. L’Italia deve qui essere presente nella sua coltura.
Il ritmo romano, il ritmo fatale del compimento, deve ricondurre su le vie consolari l’altra stirpe inquieta che s’illude di poter cancellare le grandi vestigia e di poter falsare la grande storia.
Nella terra di specie latina, nella terra smossa dal vomere latino, l’altra stirpe sarà foggiata o prima o poi dallo spirito creatore della latinità: il quale non è se non una disciplinata armonia di tutte quelle forze che concorrono alla formazione dell’uomo libero.
Qui si forma l’uomo libero.
E qui si prepara il regno dello spirito, pur nello sforzo del lavoro e nell’acredine del traffico.
Per ciò la Reggenza italiana del Carnaro pone alla sommità delle sue leggi la coltura del popolo; fonda sul patrimonio della grande coltura latina il suo patrimonio.

LI – È instituita nella città di Fiume una Università libera, collocata in un vasto edificio capace di contenere ogni maggiore aumento di studii e di studiosi, retta da suoi proprii statuti come la Corporazione.
Sono nella città di Fiume instituite una scuola di Arti belle, una Scuola di Arti decorative, una scuola di Musica, poste sopra l’abolizione di ogni vizio e pregiudizio magistrali, condotte dal più sincero e ardito spirito di ricerca nella novità, rette da un acume atto a purificarle dall’ingombro dei mal dotati e a sceverare i buoni dai migliori e a secondare i migliori nella scoperta di sé e dei nuovi rapporti fra la materia difficile e il sentimento umano.

LII – Provvede a ordinare le Scuole medie il Consiglio degli Ottimi; provvede a ordinare le Scuole tecniche e professionali il Consiglio dei Provvisori; provvede a ordinare gli Alti Studi il Consiglio nazionale.
In tutte le scuole di tutti i Comuni l’insegnamento della lingua italiana ha privilegio insigne.
Nelle Scuole medie è obbligatorio l’insegnamento dei diversi idiomi parlati in tutta la Reggenza italiana del Carnaro.
L’insegnamento primario è dato nella lingua parlata dalla maggioranza degli abitanti di ciascun Comune e nella lingua parlata dalla minoranza in corsi paralleli.
Se alcun Comune tenti di sottrarsi all’obbligo d’instituire tali corsi, la Reggenza esercita il suo diritto di provvedervi, aggravando della spesa il Comune.

LIII – Un Consiglio scolastico determina l’ordine e il modo dell’insegnamento primario, che è d’obbligo nelle scuole di tutti i Comuni.
L’insegnamento del canto corale fondato su i motivi della più ingenua poesia paesana e l’insegnamento dell’ornato su gli esempi della più fresca arte rustica hanno il primo luogo.
Compongono il Consiglio
un rappresentante di ciascun Comune due rappresentanti delle Scuole medie due delle Scuole tecniche e professionali

due degli Istituti superiori, eletti dagli insegnanti e dagli studenti due della Scuola di Musica
due della Scuola di Arti decorative

LIV – Alle chiare pareti delle scuole aerate non convengono emblemi di religione né figure di parte politica.
Le scuole pubbliche accolgono i seguaci di tutte le confessioni religiose, i credenti di tutte le fedi, e quelli che possono vivere senza altare e senza dio.
Perfettamente rispettata è la libertà di coscienza. E ciascuno può fare la sua preghiera tacita.
Ma ricorrono su le pareti quelle iscrizioni sobrie che eccitano l’anima e, come i temi d’una sinfonia eroica, ripetute non perdono mai il loro potere di rapimento.
Ma ricorrono sulle pareti le imagini grandiose di quei capolavori che con la massima potenza lirica interpretano la perpetua aspirazione e la perpetua implorazione degli uomini.

Della riforma statutaria

LV – Ogni sette anni il grande Consiglio nazionale si aduna in assemblea straordinaria per la riforma della Costituzione.
Ma la Costituzione può essere riformata in ogni tempo quando sia chiesta dal terzo dei cittadini in diritto di voto.
Hanno facoltà di proporre emendamenti al testo della Costituzione i membri del Consiglio nazionale
le rappresentanze dei Comuni la Corte della Ragione
le Corporazioni.

Del diritto d’iniziativa

LVI – Tutti i cittadini appartenenti ai corpi elettorali hanno il diritto d’iniziare proposte di leggi che riguardino le materie riservate all’opera dell’uno o dell’altro Consiglio, rispettivamente.
Ma l’iniziativa non è valida se almeno il quarto degli elettori, per l’uno o per l’altro Consiglio, non la promuova e non la sostenga.

Della riprova popolare

LVII – Tutte le leggi sancite dai due corpi del Potere legislativo possono essere sottoposte alla riprova del consenso o del dissenso pubblico quando la riprova sia domandata da un numero di elettori eguale per lo meno al quarto dei cittadini in diritto di voto.

Del diritto di petizione

LVIII – Tutti i cittadini hanno diritto di petizione verso i corpi legislativi che da essi furono per buon diritto eletti.

Della incompatibilità

LIX – Nessun cittadino può esercitare più di un potere né partecipare di due corpi legislativi nel tempo medesimo.

Della rivocazione

LX – Ogni cittadino può essere rivocato dall’officio che occupa,
quando egli perda i diritti politici per sentenza confermata dalla Corte della Ragione,
quando la rivocazione sia imposta per voto schietto dalla metà più uno degli inscritti al corpo elettorale.

Della responsabilità

LXI – Tutti i partecipi dei poteri e tutti i pubblici ufficiali della Reggenza sono penalmente e civilmente responsabili del danno che allo Stato al Comune alla Corporazione al semplice cittadino rechino le loro trasgressioni, per abuso, per incuria, per codardia, per inettezza.

Della retribuzione

LXII – A tutti gli ufficiali pubblici, nominati negli statuti e collocati nel nuovo ordinamento, è fatta una retribuzione giusta; che una legge votata dal Consiglio nazionale determina di anno in anno.

Della edilità

LXIII – È instituito nella Reggenza un collegio di Edili, eletto con discernimento fra gli uomini di gusto puro, di squisita perizia e di educazione novissima.
Più che l’edilità romana il collegio rinnovella quegli «ufficiali dell’ornato della città» che nel nostro Quattrocento componevano una via o una piazza con quel medesimo senso musicale che li guidava nell’apparato di una pompa repubblicana o in una rappresentazione carnascialesca.
Esso presiede al decoro del vivere cittadino;
cura la sicurezza, la decenza, la sanità degli edifizii pubblici e delle case particolari;
impedisce il deturpamento delle vie con fabbriche sconce o mal collocate;

allestisce le feste civiche di terra e di mare con sobria eleganza, ricordandosi di quei padri nostri a cui per fare miracoli di gioia bastava la dolce luce, qualche leggera ghirlanda, l’arte del movimento e dell’aggruppamento umano;
persuade ai lavoratori che l’ornare con qualche segno di arte popolesca la più umile abitazione è un atto pio, e che v’è un sentimento religioso del mistero umano e della natura profonda nel più semplice segno che di generazione in generazione si trasmette inciso o dipinto nella madia, nella culla, nel telaio, nella conocchia, nel forziere, nel giogo;
si studia di ridare al popolo l’amore della linea bella e del bel colore nelle cose che servono alla vita d’ogni giorno, mostrandogli quel che la nostra gente vecchia sapesse fare con un leggero motivo geometrico con una stella, con un fiore, con un cuore, con un serpe, con una colomba sopra un boccale, sopra un orcio, sopra una mezzina, sopra una panca, sopra un cofano, sopra un vassoio;
si studia di dimostrare al popolo perché e come lo spirito delle antiche libertà comunali si manifestasse non soltanto nelle linee, nei rilievi, nelle commettiture delle pietre, ma perfino nell’impronta dell’uomo posta su l’utensile fatto vivente e potente;
infine, convinto che un popolo non può avere se non l’architettura che meritano la robustezza delle sue ossa e la nobiltà della sua fronte, si studia di incitare e di avviare intraprenditori e costruttori a comprendere come le nuove materie – il ferro, il vetro, i cementi – non domandino se non di essere inalzate alla vita armoniosa nelle invenzioni della nuova architettura.

Della musica

LXIV – Nella reggenza italiana del Carnaro la Musica è una istituzione religiosa e sociale.
Ogni mille anni, ogni duemila anni sorge dalla profondità del popolo un inno e si perpetua.
Un grande popolo non è soltanto quello che crea il suo dio a sua simiglianza ma quello che anche crea il suo inno per il suo dio.
Se ogni rinascita d’una gente nobile è uno sforzo lirico, se ogni sentimento unanime e creatore è una potenza lirica, se ogni ordine nuovo è un ordine lirico nel senso vigoroso e impetuoso della parola, la Musica considerata come linguaggio rituale è l’esaltatrice dell’atto di vita, dell’opera di vita.
Non sembra che la grande Musica annunzi ogni volta alla moltitudine intenta e ansiosa il regno dello spirito?
Il regno dello spirito umano non è cominciato ancora.
«Quando la materia operante su la materia potrà tener vece delle braccia dell’uomo, allora lo spirito comincerà a intravedere l’aurora della sua libertà» disse un uomo adriatico, un uomo dalmatico: il cieco veggente di Sebenico.
Come il grido del gallo eccita l’alba, la musica eccita l’aurora, quell’aurora:
«excitat auroram».
Intanto negli strumenti del lavoro e del lucro e del gioco, nelle macchine fragorose che anch’esse obbediscono al ritmo esatto come la poesia, la Musica trova i suoi movimenti e le sue pienezze.
Delle sue pause è formato il silenzio della decima Corporazione.

LXV – Sono istituiti in tutti i Comuni della Reggenza corpi corali e corpi strumentali con sovvenzione dello Stato.
Nella città di Fiume al collegio degli Edili è commessa l’edificazione di una Rotonda capace di almeno diecimila uditori, fornita di gradinate comode per il popolo e d’una vasta fossa per l’orchestra e per il coro.
Le grandi celebrazioni corali e orchestrali sono «totalmente gratuite» come dai padri della Chiesa è detto delle grazie di Dio.


Statutum et ordinatum est. Iuro ego.

FONTE : R. De Felice (cur.), La Carta del Carnaro nei testi di Alceste De Ambris e di Gabriele D’Annunzio, il Mulino, Bologna, 1973, pp. 35 ss.

LA CARTA DEL CARNARO

 1920

Testo predisposto da Alceste De Ambris

Premessa

Il Popolo della Libera Città di Fiume, in nome delle sue secolari franchigie e dell’inalienabile diritto di autodecisione, riconferma di voler far parte integrante dello Stato Italiano mediante un esplicito atto d’annessione; ma poiché l’altrui prepotenza gli vieta per ora il compimento di questa legittima volontà, delibera di darsi una Costituzione per l’ordinamento politico ed amministrativo del Territorio (Città, Porto e Distretto) già formante il “corpus separatum” annesso alla corona ungarica, e degli altri territori adriatici che intendono seguirne le sorti.

Parte generale

Art. 1 – La Libera Città di Fiume, col suo porto e distretto, nel pieno possesso della propria sovranità, costituisce unitamente ai territori che dichiarano e dichiareranno di volerle essere uniti, la Repubblica del Carnaro.

Art. 2 – La Repubblica del Carnaro è una democrazia diretta che ha per base il lavoro produttivo e come criterio organico le più larghe autonomie funzionali e locali.

Essa conferma perciò la sovranità collettiva di tutti i cittadini senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di classe e di religione; ma riconosce maggiori diritti ai produttori e decentra per quanto è possibile i poteri dello Stato, onde assicurare l’armonica convivenza degli elementi che la compongono.

Art. 3 – La Repubblica si propone inoltre di provvedere alla difesa dell’indipendenza, della libertà e dei diritti comuni, di promuovere una più alta dignità morale ed una maggiore prosperità materiale di tutti i cittadini; di assicurare l’ordine interno con la giustizia.

Art. 4 – Tutti i cittadini della Repubblica senza distinzione di sesso sono uguali davanti alla legge. Nessuno può essere menomato o privato dell’esercizio dei diritti riconosciuti dalla Costituzione se non dietro regolare giudizio e sentenza di condanna.

La Costituzione garantisce a tutti i cittadini l’esercizio delle fondamentali libertà di pensiero, di parola, di stampa, di riunione e di associazione. Tutti i culti religiosi sono ammessi; ma le opinioni religiose non possono essere invocate per sottrarsi all’adempimento dei doveri prescritti dalla legge.

L’abuso delle libertà costituzionali per scopi illeciti e contrari alla convivenza civile può essere punito in base a leggi apposite, le quali però non potranno mai ledere il principio essenziale delle libertà stesse.

Art. 5 – La Costituzione garantisce inoltre a tutti i cittadini senza distinzione di sesso, l’istruzione primaria, il lavoro compensato con un minimo di salario sufficiente alla vita, l’assistenza in caso di malattia o d’involontaria disoccupazione, la pensione per la vecchiaia, l’uso dei beni legittimamente acquistati, l’inviolabilità del domicilio, l’habeas corpus, il risarcimento dei danni in caso di errore giudiziario o di abuso di potere.

Art. 6 – La Repubblica considera la proprietà come una funzione sociale, non come un assoluto diritto o privilegio individuale. Perciò il solo titolo legittimo di proprietà su qualsiasi mezzo di produzione e di scambio è il lavoro che rende la proprietà stessa fruttifera a beneficio dell’economia generale.

Art. 7 – Il porto e le ferrovie comprese nel territorio della Repubblica sono proprietà perpetua ed inalienabile dello Stato con un ordinamento autonomo tale da consentire a tutti i popoli amici che ne hanno bisogno di servirsene con garanzia di assoluta parità di diritti commerciali con i cittadini fiumani.

Art. 8 – Una Banca della Repubblica controllata dallo Stato avrà l’incarico dell’emissione della carta-moneta e di tutte le altre operazioni bancarie. Un’apposita legge ne regolerà il funzionamento e stabilirà i diritti e gli oneri delle banche esistenti o che intendessero stabilirsi nel territorio della Repubblica.

Art. 9 – L’esercizio delle industrie, delle professioni e dei mestieri è libero per tutti i cittadini della Repubblica. Le industrie stabilite o da stabilirsi con capitale straniero saranno soggette alle norme di una legge speciale che regolerà pure l’esercizio professionale degli stranieri.

Art. 10 – Tre elementi concorrono a formare le basi costituzionali della Repubblica:

a) i Cittadini;

b) le Corporazioni;

c) i Comuni.

Dei cittadini

Art. 11 – Sono cittadini della Repubblica tutti gli attuali cittadini della Libera Città di Fiume e degli altri territori che ad essa dichiarano di volersi unire; tutti coloro cui venga conferita la cittadinanza per meriti speciali; tutti coloro che ne faranno domanda, quando questa sia accettata dagli organi competenti, in base alla apposita legge.

Art. 12 – I cittadini della Repubblica entrano nel pieno possesso di tutti i diritti civili e politici non appena compiuto il ventesimo anno di età, diventando perciò elettori ed eleggibili per tutte le cariche pubbliche senza distinzione di sesso. Saranno tuttavia privati dei diritti politici, con regolare sentenza, tutti quei cittadini:

a) che risultano condannati a pene infamanti;

b) che rifiutano di prestare il servizio militare per la difesa del paese o di pagare le tasse;

c) che vivono parassitariamente a carico della collettività, salvo casi d’incapacità fisica al lavoro dovuta a malattia od a vecchiaia.

Delle corporazioni

Art. 13 – I cittadini che concorrono alla prosperità materiale ed allo sviluppo civile della Repubblica con un continuativo lavoro manuale ed intellettuale sono considerati cittadini produttivi e sono obbligatoriamente inscritti in una delle seguenti categorie, che costituiscono altrettante corporazioni, e cioè:

la. Operai salariati dell’industria, dell’agricoltura, del commercio e dei trasporti. A questa categoria appartengono pure i piccoli artigiani ed i piccoli proprietari di terre che non hanno dipendenti se non in limitatissimo numero o come aiuto saltuario e temporaneo.

2a. Personale tecnico ed amministrativo di aziende private industriali ed agricole, purché non si tratti di comproprietarii delle aziende stesse.

3a. Addetti alle aziende commerciali non operai propriamente detti, purché non si tratti di comproprietarii delle aziende stesse.

4a. Datori di lavoro dell’industria, dell’agricoltura, del commercio e dei trasporti. S’intendono datori di lavoro coloro che, essendo proprietarii o comproprietarii di aziende, si occupano personalmente direttamente e continuativamente della gestione delle aziende stesse.

5a. Impiegati pubblici statali e comunali di qualsiasi ordine.

6a. Insegnanti delle scuole pubbliche e studenti degli istituti superiori.

7a. Esercenti professioni libere non comprese nelle 5 categorie precedenti.

Le cooperative di produzione, lavoro e consumo tanto agricole che industriali costituiscono esse pure una corporazione che può essere rappresentata esclusivamente dagli amministratori delle cooperative stesse.

Art. 14 – Le corporazioni godono di piena autonomia per quanto riguarda la loro organizzazione e funzionamento interno. Esse hanno il diritto d’imporre una tassa commisurata sul salario, stipendio profitto d’azienda, o lucro professionale degli inscritti, per provvedere ai propri bisogni finanziari. Le corporazioni hanno pure il diritto di possedere in nome collettivo beni di qualsiasi specie.

I rapporti della Repubblica con le corporazioni e delle corporazioni fra loro sono regolati dalle norme contemplate agli art. 16, 17 e 18 della presente Costituzione per i rapporti fra i poteri centrali della Repubblica e i Comuni, e dei Comuni fra loro.

Gli inscritti a ciascuna corporazione costituiscono un corpo elettorale per l’elezione dei propri rappresentanti al Consiglio Economico secondo le norme fissate dall’art. 23 della Costituzione.

Dei Comuni

Art. 15 – I Comuni sono autonomi fin dove l’autonomia non è limitata dalla Costituzione ed esercitano tutti i poteri che non sono da questa attribuiti agli organi legislativi esecutivi e giudiziari della Repubblica.

Art. 16 – I Comuni sono in diritto di darsi quella Costituzione interna che ritengono migliore; ma devono chiedere per le loro costituzioni la garanzia della Repubblica che l’assume quando:

a) esse nulla contengono di contrario alle prescrizioni della Costituzione della Repubblica;

b) risultino accettate dal popolo e possano essere riformate quando la maggioranza assoluta dei cittadini lo richieda.

Art. 17 – I Comuni hanno diritto di stipulare fra loro accordi, convenzioni e trattati sopra oggetti di legislazione e di amministrazione; però devono presentarli all’esame del potere esecutivo della Repubblica, il quale, se ritiene che tali accordi, convenzioni o trattati siano in contrasto con la Costituzione della Repubblica o con i diritti di altri Comuni, li rimanda al giudizio della Corte Suprema che può dichiararne l’incostituzionalità. In tal caso il potere esecutivo della Repubblica è autorizzato ad impedirne l’esecuzione.

Art. 18 – Allorché l’ordine interno di un Comune è turbato o quando è minacciato da un altro Comune, il potere esecutivo della Repubblica è autorizzato ad intervenire:

a) se l’intervento è richiesto dalle autorità del Comune interessato;

b) se l’intervento è richiesto da un terzo dei cittadini in possesso dei diritti politici del Comune stesso.

Art. 19 – I Comuni hanno segnatamente il diritto:

a) di organizzare l’istruzione primaria in base alle norme stabilite dall’art. 38 della Costituzione;

b) di nominare i giudici comunali;

c) di organizzare e mantenere la polizia comunale;

d) d’imporre tasse;

e) di contrarre prestiti nel territorio della Repubblica. Quando invece tali prestiti devono essere contratti all’estero occorre la garanzia del governo che la concede soltanto in caso di riconosciuta necessità.

Del potere legislativo

Art. 20 – Il potere legislativo è esercitato da due corpi elettivi:

a) La Camera dei Rappresentanti;

b) Il Consiglio Economico.

Art. 21 – La Camera dei Rappresentanti viene eletta a suffragio universale diretto e segreto da tutti i cittadini della Repubblica che hanno compiuto il 20° anno di età e che sono in possesso dei diritti politici. Ogni cittadino della Repubblica avente diritto a voto è eleggibile a membro della Camera dei Rappresentanti.

I rappresentanti vengono eletti per un periodo di tre anni, in ragione di uno ogni mille elettori ed in ogni caso in numero non inferiore a 30. Tutti gli elettori formano un unico corpo elettorale e l’elezione si compie a suffragio universale segreto e diretto col sistema della rappresentanza proporzionale.

Art. 22 – La Camera dei Rappresentanti tratta e legifera sui seguenti oggetti che sono di sua competenza:

a) Codice Penale e Civile;

b) Polizia;

c) Difesa Nazionale;

d) Istruzione pubblica secondaria;

e) Belle Arti;

f) Rapporti dello Stato con i Comuni.

La Camera dei Rappresentanti si riunisce ordinariamente una volta all’anno nel mese di ottobre.

Art. 23 – Il Consiglio Economico si compone di 60 membri eletti nelle seguenti proporzioni a suffragio universale segreto e diretto, col sistema della rappresentanza proporzionale:

– 15 dagli operai e lavoratori della terra;

– 15 dai datori di lavoro;

– 5 dai tecnici industriali ed agricoli;

– 5 dagli impiegati amministrativi delle aziende private;

– 5 dagli insegnanti delle scuole pubbliche e dagli studenti degli istituti superiori;

– 5 dai professionisti liberi;

– 5 da impiegati pubblici;

– 5 dalle cooperative di lavoro e di consumo.

Art. 24 – I membri del Consiglio Economico vengono eletti per un periodo di due anni. Per essere eleggibili occorre appartenere alla categoria rappresentata.

Art. 25 – Il Consiglio Economico si aduna ordinariamente due volte all’anno, nei mesi di maggio e di novembre, per trattare e legiferare sui seguenti oggetti, che sono di sua competenza:

a) Codice Commerciale e Marittimo;

b) Disciplina del lavoro;

c) Trasporti;

d) Lavori pubblici;

e) Trattati di commercio, dogane, ecc.;

f) Istruzione tecnica e professionale;

g) Legislazione sulle Banche, sulle Industrie e sull’esercizio delle professioni e mestieri.

Art. 26 – La Camera dei Rappresentanti ed il Consiglio Economico si riuniscono insieme una volta all’anno nella prima quindicina di dicembre formando l’Assemblea Nazionale, che tratta e legifera sui seguenti oggetti di sua competenza:

a) rapporti internazionali;

b) finanza e tesoro della Repubblica;

c) istruzione superiore;

d) revisione della Costituzione.

Del potere esecutivo

Art. 27 – Il potere esecutivo della Repubblica si compone di sette Commissari eletti nel modo che segue:

– Presidenza e Affari Esteri, Finanza e Tesoro, Istruzione pubblica: dall’Assemblea Nazionale;

– Interni e Giustizia, Difesa Nazionale: dalla Camera dei Rappresentanti;

– Lavoro, Economia pubblica: dal Consiglio Economico.

Art. 28 – Il potere esecutivo siede in permanenza e delibera collettivamente su tutti gli oggetti che non siano d’ordinaria amministrazione. Il Presidente rappresenta la Repubblica di fronte agli altri paesi, dirige le discussioni ed ha voto decisivo in caso di parità. I Commissari sono eletti per un anno e sono rieleggibili per una volta soltanto. Dopo l’interruzione di un anno possono però essere nuovamente eletti.

Del potere giudiziario

Art. 29 – Il potere giudiziario si compone:

a) dei giudici municipali;

b) dei giudici del lavoro;

c) dei giudici di secondo grado;

d) della giuria;

e) della Corte Suprema.

Art. 30 – I giudici municipali giudicano sulle controversie civili e commerciali fino al valore di cinquemila lire e sui crimini che importano pene non superiori ad un anno. I giudici di primo grado sono eletti in proporzione della popolazione da tutti gli elettori dei vari comuni.

Art. 31 – I giudici del lavoro giudicano sulle controversie individuali fra salariati o stipendiati e datori di lavoro. Essi costituiscono uno o più collegi di giudici eletti dalle Corporazioni che eleggono il Consiglio Economico, nelle seguenti proporzioni: due dagli operai industriali e dai lavoratori della terra, due dai datori di lavoro, uno dai tecnici industriali ed agricoli, uno dai professionisti liberi, uno dagli impiegati amministrativi delle aziende private, uno dagli impiegati pubblici, uno dagli insegnanti pubblici e dagli studenti degli istituti superiori, uno dalle cooperative di lavoro e di consumo. Ogni collegio di giudici del lavoro si divide in sezioni, per il più sollecito disbrigo dei giudizi. Le sezioni riunite costituiscono il giudizio di appello.

Art. 32 – I giudici di secondo grado giudicano su tutte le questioni civili, commerciali e penali che non sono di competenza dei giudici municipali e dei giudici del lavoro – (salve quelle di spettanza della giuria) – e funzionano da Tribunale d’Appello per le sentenze dei giudici municipali. I giudici di secondo grado sono scelti in base a concorso dalla Corte Suprema, fra i cittadini muniti della laurea di dottore in legge.

Art. 33 – Tutti i delitti politici e tutti i crimini e delitti che comportano la privazione della libertà personale per un tempo superiore ai tre anni sono giudicati da una giuria composta di sette cittadini assistiti da due supplenti e presieduti da un giudice di secondo grado.

Art. 34 – La Corte Suprema viene eletta dall’Assemblea Nazionale e si compone di 5 membri effettivi e due supplenti. Almeno due dei membri effettivi ed un supplente dovranno essere muniti della laurea di dottore in legge.

La Corte Suprema è competente a giudicare:

a) sulla costituzionalità degli atti dei poteri legislativo ed esecutivo;

b) su tutti i conflitti di carattere costituzionale fra i poteri legislativo ed esecutivo, fra la Repubblica ed i Comuni, fra i Comuni fra loro, fra la Repubblica e Corporazioni o privati, fra i Comuni e Corporazioni o privati;

c) sui casi di alto tradimento contro la Repubblica ad opera di membri del potere legislativo o esecutivo;

d) sui crimini e delitti contro il diritto delle genti;

e) nelle contestazioni civili fra la Repubblica ed i Comuni; fra i Comuni tra loro;

f) sui casi di responsabilità dei membri dei poteri della Repubblica e di funzionari;

g) nelle questioni circa i diritti di cittadinanza e circa i privi di patria.

La Corte Suprema giudica inoltre le questioni di competenza fra i vari organi giudiziari, rivede in ultima istanza le sentenze pronunziate da questi, e nomina i giudici di secondo grado in base a concorso.

I membri della Corte Suprema non possono coprire alcuna altra carica, neppure nei rispettivi comuni, né esercitare qualsiasi altra professione, industria o mestiere per tutta la durata della carica.

Del Comandante

Art. 34 – [sic] – In caso di grave pericolo per la Repubblica l’Assemblea Nazionale può nominare un Comandante per un periodo non superiore ai sei mesi. Il Comandante durante il periodo in cui rimane in carica esercita tutti i poteri politici e militari, sia legislativi che esecutivi. I membri del potere esecutivo funzionano come suoi segretari. Può essere eletto Comandante qualunque cittadino, nel possesso dei diritti politici, facente parte o no dei poteri della Repubblica.

Allo spirare del termine fissato per la durata della carica del Comandante, l’Assemblea Nazionale si riunisce nuovamente e delibera sulla conferma in carica del Comandante stesso, sulla sua eventuale sostituzione o sulla cessazione della carica.

Della difesa nazionale

Art. 35 – Tutti i cittadini della Repubblica, senza distinzione di sesso, sono obbligati al servizio militare nell’età dai 17 ai 52 anni per la difesa della Repubblica.

Gli uomini dichiarati validi presteranno questo servizio nelle varie armi dell’esercito. Le donne e gli uomini non validi saranno adibiti, secondo le loro attitudini, ai servizi ausiliari, amministrativi e di sanità.

Tutti coloro che a causa del servizio militare perdono la vita o soggiacciono ad un’imperfezione fisica permanente, hanno diritto per sé e per le loro famiglie in caso di bisogno, al soccorso della Repubblica.

Art. 36 – La Repubblica non può mantenere truppe permanenti. L’esercito e la flotta della Repubblica saranno organizzati sulla base della Nazione Armata con apposita legge. I cittadini prestano il servizio militare soltanto per i periodi d’istruzione od in caso di guerra per la difesa del paese.

Il cittadino non perde nessuno dei suoi diritti civili e politici durante i periodi d’istruzione o quando venga chiamato in servizio per la difesa della Repubblica, salve le necessità del servizio militare.

Dell’istruzione pubblica

Art. 37 – La Repubblica considera come il più alto dei suoi doveri l’istruzione e l’educazione del popolo, non soltanto per quel che riguarda la scuola primaria o professionale, ma anche per le manifestazioni superiori della scienza e dell’arte, che devono essere rese accessibili a tutti coloro che dimostrano capacità d’intenderle.

Le scuole superiori esistenti verranno perciò riunite in un’Università libera e completate con nuovi corsi e facoltà, in base ad una apposita legge la quale dovrà contemplare puranche la istituzione di una scuola di Belle Arti e di un Conservatorio Musicale.

Art. 38 – L’organizzazione delle Scuole medie e affidata alla Camera dei Rappresentanti e quella delle Scuole tecniche e professionali al Consiglio Economico. Nelle Scuole medie sarà obbligatorio l’insegnamento delle diverse lingue parlate nel territorio della Repubblica.

L’istruzione primaria è gratuita ed obbligatoria. Essa resta affidata ai Comuni che la organizzano in base a programmi stabiliti da un Comitato di Istruzione primaria composto di un rappresentante per ciascun comune, di due rappresentanti delle scuole medie, di due rappresentanti delle scuole tecniche professionali, e di due rappresentanti degli istituti superiori, eletti dagli insegnanti e dagli studenti.

L’insegnamento primario verrà impartito nella lingua parlata dalla maggioranza degli abitanti di ciascun comune accertata, ove occorra, per mezzo di referendum; ma fra le materie d’insegnamento dovrà in ogni caso essere compresa la lingua parlata dalla minoranza. Inoltre quando lo richieda un numero di alunni sufficiente, a giudizio del Comitato per l’istruzione primaria, il Comune sarà obbligato ad istituire corsi paralleli nella lingua parlata dalla minoranza.

In caso di rifiuto da parte del Comune, il Governo della Repubblica ha diritto d’istituire esso stesso i corsi paralleli caricandone la spesa al Comune.

Art. 39 – Le scuole pubbliche devono poter essere frequentate dai seguaci di tutte le confessioni religiose e da chi non professa nessuna religione, senza pregiudizio della libertà di coscienza di chicchessia.

Della revisione costituzionale

Art. 40 – Ogni dieci anni l’Assemblea Generale si riunisce in sessione straordinaria per la riforma della Costituzione.

La Costituzione può però esser riformata in ogni tempo:

a) quando lo chieda uno dei due rami del potere legislativo;

b) quando lo chieda almeno un terzo dei cittadini aventi diritto al voto di cui all’art. 12.

Sono in diritto di proporre modificazioni alla Costituzione:

a) i membri dell’Assemblea Nazionale;

b) le rappresentanze dei Comuni;

c) la Suprema Corte;

d) le Corporazioni.

Del diritto d’iniziativa

Art. 41 – I componenti dei corpi elettorali hanno diritto di proporre leggi di loro iniziativa sulle materie spettanti ai rispettivi corpi legislativi, purché l’iniziativa sia proposta da almeno un quarto dei componenti il corpo elettorale competente.

Del referendum

Art. 42 – Tutte le leggi approvate dai due rami del potere legislativo possono essere sottoposte a referendum quando questo sia chiesto da un numero di elettori non inferiore ad un quarto dei cittadini aventi diritto al voto.

Del diritto di petizione

Art. 43 – Tutti i cittadini hanno diritto di petizione in confronto dei corpi legislativi che hanno diritto di eleggere.

Incompatibilità

Art. 44 – Nessuno può esercitare più di un potere o far parte contemporaneamente di due corpi legislativi.

Revocabilità

Art. 45 – Tutte le cariche sono revocabili:

a) quando gli eletti perdano i diritti politici mediante sentenza confermata dalla Corte Suprema;

b) quando la metà più uno dei componenti il corpo elettorale voti regolarmente la revoca.

Responsabilità

Art. 46 – Tutti i membri dei poteri e tutti i funzionari della Repubblica sono penalmente e civilmente responsabili dei danni che possono derivare alla Repubblica, ai Comuni, alle Corporazioni od ai privati in caso di abuso o di trascuranza nell’adempimento dei propri doveri. La Corte Suprema giudica su questi casi. I membri della Corte Suprema sono giudicati in questi casi dall’Assemblea Nazionale.

Indennità

Art. 47 – Tutte le cariche contemplate dalla Costituzione sono retribuite mediante indennità da fissarsi per legge votata annualmente dall’Assemblea Nazionale.

FONTE: G. Negri e S. Simoni, Le Costituzioni inattuate, Editore Colombo, Roma 1990.92



D’Annunzio e la Massoneria

 Il 3 marzo 1901 inaugurò invece con Ettore Ferrari, Gran Maestro della massoneria del Grande Oriente d’Italia, l’Università Popolare di Milano, nella sede di via Ugo Foscolo, dove pronunciò il discorso inaugurale e dove, successivamente, svolse un’attività straordinaria di docenze e lezioni culturali. L’amicizia con Ferrari aveva avvicinato il Vate alla “libera muratoria”: D’Annunzio era infatti massone e 33º grado della Gran Loggia d’Italia degli Alam detta “di Piazza del Gesù”, fuoriuscita nel 1908 dal GOI. Più tardi fu iniziato al martinismo. Molti dei volontari fiumani erano esoteristi o massoni e tra di essi figuravano in particolare Alceste de Ambris, Sante Ceccherini, Marco Egidio Allegri. La bandiera della Reggenza del Carnaro avrebbe contenuto svariati simboli massonici e gnostici, come l’uroboro e le sette stelle dell’Orsa Maggiore.



e.

M.A.S.

 Il Motoscafo armato silurante più conosciuto con la sigla MAS era una piccola imbarcazione militare usata come mezzo d’assalto veloce dalla Regia Marina durante la prima e la seconda guerra mondiale.

Fondamentalmente si trattava di un motoscafo da 20 – 30 tonnellate di dislocamento (a seconda della classe), con una decina di uomini di equipaggio e armamento costituito generalmente da due siluri e alcune bombe di profondità antisommergibile, oltre a una mitragliatrice o a un cannoncino.
I MAS, derivati dalla tecnologia dei motoscafi civili con 2 motori a benzina a combustione interna da 500 cavalli l’uno, compatti e affidabili, ebbero un’ampia diffusione nella Regia Marina durante la guerra del 1915-18. Montavano motori entro-fuoribordo di concezione automobilistica, di grande potenza ed efficienza, ad iniezione diretta, ovviando in tal modo ai problemi di carburazione del motore dovuti alla scarsa raffinazione del benzene usato come carburante. I primi modelli furono prodotti dalle officine Fraschini e furono successivamente modificati e prodotti dal Cantiere Orlando, di Livorno, da dove uscirono i MAS impiegati da D’Annunzio.
Alcuni esemplari (ad esempio quello usato da D’Annunzio e da Luigi Rizzo nella beffa di Buccari, azione di disturbo alla flotta austro-ungarica ancorata nella baia di Buccari), montavano due motori ridondanti, uno a servizio dell’altro, nell’ottica d’incremento puro d’efficienza e affidabilità del mezzo navale. Lo stesso D’Annunzio coniò dalla sigla MAS la locuzione latina Memento audere semper.
I MAS potevano essere utilizzati sia come pattugliatori antisommergibile, che come mezzi da attacco insidioso alle navi della flotta austro-ungarica, a seconda degli equipaggiamenti.
Un grande successo, conseguito dai MAS durante la prima guerra mondiale, fu l’affondamento presso Premuda, sulla costa dalmata, della corazzata Szent István, all’alba del 10 giugno 1918, durante un agguato condotto da Rizzo, che colpì a sorpresa la nave.
Mentre l’imbarcazione italiana si allontanava nella confusione, la Szent István accusò un colpo mortale. Nonostante fosse molto moderna e potente, non aveva una sufficiente protezione subacquea: le valvole di bilanciamento erano poco praticabili e posizionate sotto il ponte caldaie, praticamente inaccessibili, e dopo poco tempo si rovesciò, affondando.
L’azione della flotta austro-ungarica, indirizzata alla distruzione della barriera che nel basso Adriatico, nel Canale d’Otranto, imbottigliava i suoi sommergibili con una rete metallica lunga 60 km e una serie di schermi di pattuglia, venne annullata e, dopo di allora, non vi furono più tentativi degni di nota.
Dopo la guerra, i MAS continuarono ad essere sviluppati e migliorati, grazie ai motori della Isotta Fraschini.
Dopo alcuni decenni in cui la marina italiana, potente ma anche legata a mari assai chiusi e indicati per mezzi navali costieri, aveva impiegato mezzi veloci siluranti, ma con problemi dovuti all’indisponibilità di potenti motori a benzina, il problema della propulsione venne risolto con nuovi prodotti della Isotta-Fraschini, che consentirono la realizzazione di unità veloci e più efficienti. Nacquero così i MAS 500: nel 1940 ne erano in servizio 48 e ne furono prodotte 75 unità tra il 1937 e il 1941. Efficienti in acque assai calme, la loro carena tonda, però, non li rendeva adatti a mari più agitati.
All’entrata in guerra dell’Italia, la Regia Marina disponeva di tre flottiglie MAS: la Iª (nel 1941 ribattezzata Xª), la IIª e la IIIª. Tra gli eventi degni di nota, vi furono: il siluramento dell’incrociatore leggero Capetown sudafricano (sia il siluratore che il silurato erano residuati della guerra precedente); il fallito attacco al porto di Malta nel gennaio 1941, con la perdita di due motosiluranti di supporto alla missione; l’impiego nel Mar Nero contro la flotta sovietica, con alcuni sommergibili russi affondati quando sorpresi in superficie vicino alle basi; la battaglia di mezzo agosto, in cui i MAS contribuirono ad infliggere perdite di mercantili agli inglesi.
Tuttavia in quel periodo i MAS, unità veloci a scafo poco marino con chiglia assai piatta, simili a grossi motoscafi, erano ormai in declino. Essendo adatti a mari chiusi e poco mossi, come l’Adriatico, nel Mediterraneo entravano in gioco pesantemente la loro modesta tenuta al mare (e quindi la velocità effettivamente sostenibile), la loro limitata autonomia, i siluri e l’insufficiente armamento antiaereo (solo una mitragliera).
Attualmente sono conservati in Italia quattro MAS:
– MAS 15, risalente al primo conflitto mondiale, conservato al Vittoriano (Roma), è sicuramente l’unità storicamente più importante in quanto fu il MAS che, al comando del Tenente di Vascello Luigi Rizzo, fu protagonista dell’impresa di Premuda;
– MAS 96, risalente al primo conflitto mondiale: fu il MAS su cui era imbarcato D’Annunzio durante la missione rinominata “beffa di Buccari”; è sistemato al Vittoriale degli italiani (Gardone Riviera);
– MAS 472, risalente al secondo conflitto mondiale e ora situato a Marina di Ravenna;
– MAS 473, gemello del precedente, conservato al Museo storico navale di Venezia, insieme con la motozattera MZ 737 e il sottomarino Dandolo.
– Due MAS (uno sigla 104) sono in stato di abbandono, nel porto di Schengjin in Albania.

sabato 1 maggio 2021

IL VITTORIALE | PRIORIA Prioria

 La casa, espropriata nel 1920 al critico d’arte tedesco Henry Thode assieme alla sua collezione, è denominata dal poeta “prioria” ovvero casa del priore, secondo una simbologia conventuale che si ritrova in molte parti del Vittoriale. L’antica facciata settecentesca della casa colonica viene trasformata e arricchita dal Maroni, tra 1923 e il 1927, con l’inserimento di antichi stemmi e lapidi che richiamano alla memoria la facciata del palazzo Pretorio di Arezzo. Al centro della facciata un araldico levriere illustra il motto dannunziano “Né più fermo né più fedele”. Il pronao d’ingresso, in stile Novecento, è decorato con due Vittorie attribuite a Jacopo Sansovino, mentre sul battente della porta, sopra una bronzea Vittoria crocifissa di Guido Marussig, si legge il motto Clausura, fin che s’apra – Silentium, fin che parli.



IL VITTORIALE | PRIORIA Ingresso

 Comincia qui un percorso iniziatico fra presenze simboliche che rammentano il valore sacrale della casa: il cancello dorato, i sette scalini, gli stalli di un coro seicentesco alle pareti, un pastorale e un’acquasantiera, la colonnina francescana in pietra di Assisi sormontata da un canestro in cemento con melograni, frutto che d’Annunzio ha eletto a emblema di sé, in quanto simbolo di abbondanza e fertilità. Due porte, sormontate da due lunette del pittore salodiano Angelo Landi e raffiguranti santa Chiara e san Francesco d’Assisi conducono a due differenti anticamere, una riservata alle visite ufficiali, ma anche agli ospiti sgraditi, a destra e una per gli amici del poeta, a sinistra.