Il nome deriva dall’emblema del labirinto, che si ripete sulle porte e le rilegature dei libri, ricavato da quello del palazzo Ducale di Mantova; dal motto dello stesso labirinto, d’Annunzio aveva tratto nel 1910 il titolo del romanzo Forse che sì forse che no.
martedì 20 ottobre 2020
IL VITTORIALE | PRIORIA Sala della Cheli
Ultimata nel 1929, “l’unica sala non triste della casa” come d’Annunzio ebbe modo di dire al Maroni, la stanza deriva il suo nome da una grande tartaruga in bronzo opera di Renato Brozzi, ricavata dal carapace di una vera tartaruga donata a d’Annunzio dalla marchesa Luisa Casati e morta nei giardini del Vittoriale per indigestione di tuberose: la sua presenza vale un monito contro l’ingordigia. Era la sala da pranzo per gli ospiti: negli ultimi anni della sua vita d’Annunzio preferiva pranzare solo nella zambracca. I vividi colori azzurro e oro, la lacca rosso fuoco o nera, le vetrate a imitazione dell’alabastro ne fanno l’ambiente più compiutamente déco della casa e lo avvicinano a certe soluzioni dei saloni dei contemporanei transatlantici da crociera. Fra gli oggetti il gruppo bronzeo del fauno e della ninfa di Le Faguays, i piatti in argento incisi da Renato Brozzi con motti dannunziani, i pavoni segnaposto in argento e pietre dure e, nella nicchia sulla destra, entrando, il calco dell’Antinoo Farnese, il giovinetto amato dall’imperatore Adriano.
Gabriele D'Annunzio e le donne" a Villa Bertelli
L'amante più meraviglioso del nostro tempo è Gabriele D'Annunzio... Così scriveva Isadora Duncan ai primi del Novecento e la fama del grande amatore, conquistata sul campo da D'Annunzio sarà il tema dell'incontro Gabriele d'Annunzio e le donne, a cura del giornalista e scrittore Mario Bernardi Guardi, in programma sabato 24 ottobre alle 17.30 nel Giardino di Villa Bertelli a Forte dei Marmi nell'ambito della rassegna Autunno in Villa. "D'Annunzio - scrive Bernardi Guardi nella presentazione- incominciò ad amare le donne sin da ragazzino. Brillante allievo del Convitto Cicognini di Prato, non tardò a farsi conoscere per la sua esuberanza erotica. Un matrimonio a vent'anni, avventure su avventure, di ogni donna amata fece una regina e le tante regine spodestate continuarono a venerarlo. Inesauribile e inimitabile, l'Imaginifico (con una emme sola!) contrassegna il Novecento con la sua dismisura non solo artistica, ma sentimentale e passionale".
martedì 22 settembre 2020
D'ANNUNZIO ESOTERICO
D'Annunzio nasce nel 1863, all'indomani della nascita dell'Italia unita, nell'anno in cui Carducci, il poeta-vate dell'Unità, compone e diffonde il suo "Inno a Satana", ricostruendo la storia del ritorno del principio pagano e libertario.
La sua "prima morte" (di molte che lo ossessioneranno) ce la descrive nell’incipit de Il libro segreto, cento e cento pagine del poeta tentato di morire: «nel nascere io fui come imbavagliato dalla morte; sicché non diedi grido, né avrei potuto trarre il primo respiro a vivere, se mani esperte e pronte non avessero rotto i nodi e lacerata quella specie di tonaca spegnitrice. Dipoi, nei primi anni dell’infanzia portai al collo, chiusa entro un breve, quella ligatura insolita che l’antichissima superstizione della mia gente reputava propizia». La «prima morte» di D’Annunzio, in effetto, venne evitata attraverso una pratica di magia tradizionale che consisteva nel «corazzare», come disse il Poeta stesso, con ben quattrocento monete di argento il suo corpicino e di appendergli al collo un «abitino» (sorta di contenitore fatto di pelle animale: il breve, di cui parla D’Annunzio) che conteneva pezzi del legamento del suo cordone ombelicale.
Figlio del ricco commerciante Rapagnetta, assume fin da giovane il cognome di un ricco zio, D'Annunzio, che rende il suo nome un'evocazione dell'Arcangelo che ha annunciato a Maria la nascita di Cristo. Fin da questo primo atto si mostra la sua volontà di "fare della propria vita un'opera d'arte", rifiutando superomisticamente la distinzione arte e vita.
tenendo il capo tra le ceree mani,
la Luna in arco da’ boschi lontani
salir vermiglia il ciel di Palestina.
Da l’alto de la torre saracina,
ella sogna il destin de’ Lusignani;
e innanzi a ’l tristo rosseggiar de’ piani,
sente de ’l suo finir l’ora vicina.
Già già, viscida e lunga, ella le braccia
vede coprirsi di pallida squama,
le braccia che fiorían sì dolcemente.
Scintilla inrigidita la sua faccia
e bilingue la sua bocca in van chiama
poi che a ’l cuor giunge il freddo de ’l serpente.
Già allora c'è un interesse ermetico, come nella raccolta di liriche Isaotta Gottadauro (1886), di cui realizza una preziosa Edictio Picta, con la collaborazione dei principali autori dell'epoca sotto la guida del Cellini. Venne satireggiata come "Risaotta al Pomidauro" con conseguente duello (dei molti che combatterà).
Dal 1887 però avvia già un'altra relazione parallela con l'amata Barbara Leoni, e da questa dicotomia nasce "Il piacere" (1889), l'opera che gli dona la grande fama nazionale, il romanzo decadente, il "Romanzo della Rosa" più celebre in una trilogia che si compone anche de "L'Innocente" e de "Il trionfo della morte", il più "oscuro" dei tre. Il Romanzo della Rosa è, in effetti, un fondamentale romanzo allegorico ed esoterico mediovale, del '200, su un cavaliere che anela raggiungere la Rosa, che per molti è ispiratore della Commedia di Dante Alighieri.
Il 3 marzo 1901 inaugurò invece con Ettore Ferrari, Gran Maestro della massoneria del Grande Oriente d'Italia (e scultore del monumento a Giordano Bruno dinnanzi al Vaticano), l'Università Popolare di Milano, nella sede di via Ugo Foscolo (anch'egli massone), dove pronunciò il discorso inaugurale e dove, successivamente, svolse un'attività straordinaria di docenze e lezioni culturali. La massoneria, che aveva spinto Carducci, che avrebbe di lì a poco spinto Pascoli, rese anche D'Annunzio un suo 33 grado, ovvero massone del massimo livello, ma D'Annunzio poi si staccherà da essa con l'affermarsi del movimento fascista, che rischierà di capitanare.
Nel 1902 pubblica "Le novelle della Pescara", le sue novelle di ispirazione manieristicamente verista, composte dal 1884 - negli anni di affermazione del verismo - in cui esaspera il gusto per la violenza e la sensualità (non del tutto assente in Verga) per poi mettere tra parentesi questo esperimento.
Nel 1904 pubblica così Il fuoco, il "Romanzo del Melograno" nella sua trilogia pseudodantesca, che presenta la focosa relazione con la Duse, cosa che porta alla rottura di un legame ormai allentato. Il poeta si reca a Parigi, dove la sua figura affascina e seduce, erede dello scandaloso Huysmans di “A Rebours”, primo alfiere dell’estetismo francese. Amico/nemico del futurista Marinetti, che definirà “Un cretino fosforescente”: se questi rappresenta la tensione ipertecnologica verso il futuro, D’Annunzio imbelletta di classicità la novità tecnologica. La loro posizione è inconciliabile.
Nel 1908 D'Annunzio avvia il suo piano simbolico di nuovo vate di una nazione guerriera: La Nave è tragedia dal superomismo già venato dell'imperialismo che sarà sempre più dominante nella sua produzione.
La tragedia è l’ultima famosa del poeta, incentrata sul tema chiave dell’imperialismo europeo in Africa e in India. L’ammiraglio Marco di Venezia è una sorta di superuomo particolarmente malvagio che viene sedotto per vendetta da Basiliola, che vuole vendicarsi dei suoi torti alla di lei famiglia. Egli è condotto quasi alla follia, ma alla fine decide di darsi alla missione di conquista di un impero italico e Basiliola, vinta, si suicida. Tale opera postrema della fase più letteraria preannuncia già il D'Annunzio superuomo "operativo" nella prima guerra mondiale.
Lo stesso anno 1908 la Francesca da Rimini dannunziana, d'ispirazione dantesca, è portata al cinema dall'inglese Blackton: primo film di molti tratti dalle opere dannunziane.
Nel 1910 D'annunzio si iscrive al Partito Nazionalista, dove inizia a propiziare la Guerra in Libia (1911). Curiosamente, però, lo stesso anno 1911 compone "La crociata degli innocenti", dedicato alla crociata dei fanciulli, che esalta lo spirito della guerra santa come redenzione, ma narrando di un fatto storico del 1211-1212 conclusosi con lo sterminio dei puri fanciulli inviati alla crociata.
Lo stesso anno La figlia di Iorio (1911), di Arrigo Frusta, è un primo film italiano tratto dalle opere d'annunziane.
Nel 1913 viene iniziato alla massoneria esoterica, il martinismo, tramite Debussy. Il più celebre Martinista italiano di tutti i tempi fu, senza dubbio , il Fratello Gabriele D'Annunzio,S:::I::: il Cui nome Iniziatico, "Ariel" Egli utilizzò per firmare molti Suoi componimenti poetici. D'Annunzio fu iniziato al Martinismo nel gennaio del 1913 da Papus a Parigi; il Suo Presentatore fu il celebre musicista Claude Debussy, membro del S.C. dell'Ordre Martiniste e fraterno amico di D'Annunzio (Debussy è ritenuto gran maestro, nel periodo 1885-1918, dell'ipotetico Priorato di Sion in virtù di tali interessi ermetici).
Il grande poeta abruzzese aveva conosciuto Papus molti anni prima entrando con Lui in stretta corrispondenza; su suggerimento di Papus e sfruttando la propria perfetta conoscenza della lingua francese D'Annunzio approfondì, con molta passione, lo studio dell'Opera di Louis Claude de Saint-Martin, divenendone un perfetto conoscitore ma solo nel 1913 si persuase a chiedere l'Iniziazione.Tale fu la Sua fedeltà al Proprio Iniziatore che, quando nel 1923 l'Ordine Martinista Italiano si distaccò da Quello Francese, il Fr:::Ariel, che pure era noto per i Suoi sentimenti patriottici ed ultranazionalistici, si rifiutò di sottoscrivere il documento di secessione dalla Francia rimanendo perciò, con il Suo Gruppo di Milano,all'Obbedienza dell'Ordre Martiniste di Bricaud, Successore di Papus alla carica di Gran Maestro. Il Gruppo di Milano, che comprendeva peraltro anche la celebre artista Maria Tibaldi Chiesa, si sarebbe riunito al Martinismo italiano solo nel 1965 in occasione della "pacificazione" con la Francia sancita dal Trattato di Amicizia, stipulato a Venezia tra Zasio e P.Encausse,Figlio di Papus.Nel Vittoriale di Gardone Egli ha lasciato traccia visibile del Proprio Cammino Martinista attraverso la disposizione di tre camere comunicanti in sequenza: la camera nera,la camera bianca,la camera rossa, il colore, cioè, dei tre gradi Martinisti,
Da questo punto, con il culmine della creazione del Kolossal cinematografico, D'Annunzio avvia una seconda fase, più "attiva", con le imprese belliche e il susseguente appoggio al fascismo.
Nel 1920 Fiume riconoscerà per prima l'URSS, ospiterà un grandioso concerto di Arturo Toscanini, e - pur portando a Fiume città libera, e poi nel 1924 italiana - verrà infine repressa nel Natale di Sangue.
Nel 1921 il figlio Gabriellino D'Annunzio girerà La Nave, ultimo film - vivente il Vate - realizzato dalle sue opere. Esce anche, spurio, un film erotico dedicato alle imprese dannunziane.
Qui nel 1922 riceverà una delegazione dei sovietici, che continuano ad apprezzarlo.
Poco dopo però le velleità di D'Annunzio di porsi quale ago della bilancia della Nuova Italia, conciliando le fazioni in lotta, viene stroncato dal Volo dell’Arcangelo. Nel 1922, il 13 di agosto, D’Annunzio cadde da una finestra della sua Stanza della musica al Vittoriale, battendo il capo su una pietra sottostante e rimanendo in coma, tra la vita e la morte, per dodici giorni. La dinamica della caduta è piuttosto oscura, essendo legata ad un corteggiamento «ardito» che il Poeta pare ponesse in atto nei confronti di Jole, violinista stimata, ma soprattutto sorella di Luisa Baccara, sua amante del momento: sembra ad un certo punto che Jole, nella foga di svincolarsi dall’abbraccio del Vate, lo abbia inavvertitamente spinto di sotto. In seguito, nel 1935, nel Libro Segreto, lo definirà un suicidio.
Risvegliatosi dal coma scrive immediatamente e di getto questi versi visionari: «io sono Gabriele che mi presento agli dei, fra alati fratelli il più veggente alunno di Postvorta, sacerdote dell’arcano e del divino, interprete dell’umana demenza, volatore caduto dall’alto, principe ed indovino». Il «volatore caduto» si confessa alunno di Postvorta, la divinità romana del passato. Naturalmente, si ipotizza un'azione di spie fasciste per eliminare, o almeno avvertire il Vate, che in seguito si ridimensionò.
Il concordato con la Chiesa nel 1929 consolida il regime fascista ma contribuisce a far mettere sempre più fra parentesi il superomismo dannunziano; comunque nel 1931 la collana L'Oleandro favorisce una stampa popolare delle opere dell'autore, compiuta nel 1937; egli intanto nel 1933 pubblica le tarde liriche di Anterope, dedicate alle sue imprese belliche. Il fascismo si avvicina intanto a Hitler, che egli nel 1934 dichiara essere un "pagliaccio feroce". Una presa di distanza però irrilevante, non rilanciata dai media saldamente nelle mani del regime.
Nel 1937 D'Annunzio dichiara: "disprezzando di morire tra due lenzuola, tento la mia ultima invenzione": niente meno di questo annuncia egli stesso in un sibillino messaggio del 1937, pochi mesi prima della sua «morte eterna», avvenuta il 1 marzo del 1938. Curiosamente la stampa dell’epoca, abituata agli annunci iperbolici del Poeta, interpreta la frase con queste parole: «Il Poeta ha deciso, quando sentirà l’ora del trapasso, di immergersi in un bagno che provocherà immediatamente la morte e contemporaneamente distruggerà i tessuti del suo corpo. È il Poeta stesso che ha scoperto la formula del liquido».
Il Vate muore proprio nel marzo previsto, col capo chino sul suo scrittoio nella stanza che usava al Vittoriale per comporre i suoi poemi, e con il dito ad indicare la data esatta, cerchiata di rosso, del lunario Barbanera che vaticinava per quel giorno «la morte di un italiano illustre».
Il miglior epitaffio su D'Annunzio, comunque uno dei nostri massimi letterati del Novecento, l'ha scritto forse il vignettista d'origine monregalese Golia:
Desiderio
Voglio che tornando tu trovi una paroletta del tuo amico stasera.
Ho un desiderio desolato di te stasera. Ahimè stasera e sempre.
Ma stasera il desiderio è di qualità nuova.
È come un tremito infinitamente lungo e tenue.
Sono come un mare in cui tremino tutte le gocciole,
tremano tutte le ali dell'anima,
tremano tutte le fibre dei nervi,
tremano tutti i fiori della primavera
e anche le nuvole del cielo
e anche le stelle della notte
e anche la piccola luna trema.
Trema sui tuoi capelli che sono una schiuma bionda.
Ho la bocca piena delle tue spalle,
che sono ora come un fuoco di neve tiepida disciolta in me.
Godo e soffro.
Ti ho dentro di me e vorrei tuttavia sentirti sopra di me.
Non mi hai lasciato tanta musica partendo.
Stanotte tienimi sul tuo cuore,
avvolgimi nel tuo sogno,
incantami col tuo fiato,
sii sola con me solo.
Oh melodia melodia...
Tremano tutte le gocciole del mare.
A vucchella
Si comm'a nu sciurillo...
tu tiene na vucchella,
nu poco pucurillo,
appassuliatella.
Méh, dammillo, dammillo,
è comm'a na rusella...
dammillo nu vasillo,
dammillo, Cannetella!
Dammillo e pigliatillo
nu vaso... piccerillo
comm'a chesta vucchella
che pare na rusella...
nu poco pucurillo
appassuliatella..
.
L'Onda
Nella cala tranquilla
scintilla,
intesto di scaglia
come l'antica
lorica
del catafratto,
il Mare.
Sembra trascolorare.
S'argenta? S'oscura?
A un tratto
come colpo dismaglia
l'arme, la forza
del vento l'intacca.
Non dura.
Nasce l'onda fiacca,
sùbito s'ammorza.
Il vento rinforza.
Altra onda nasce,
si perde,
come agnello che pasce
pel verde:
un fiocco di spuma
che balza!
Ma il vento riviene,
rincalza, ridonda.
Altra onda s'alza,
nel suo nascimento
più lene
che ventre virginale!
Palpita, sale,
si gonfia, s'incurva,
s'alluma, propende.
Il dorso ampio splende
come cristallo;
la cima leggiera
s'arruffa
come criniera
nivea di cavallo.
Il vento la scavezza.
L'onda si spezza,
precipita nel cavo
del solco sonora;
spumeggia, biancheggia,
s'infiora, odora,
travolge la cuora,
trae l'alga e l'ulva;
s'allunga,
rotola, galoppa;
intoppa
in altra cui 'l vento
diè tempra diversa;
l'avversa,
l'assalta, la sormonta,
vi si mesce, s'accresce.
Di spruzzi, di sprazzi,
di fiocchi, d'iridi
ferve nella risacca;
par che di crisopazzi
scintilli
e di berilli
viridi a sacca.
O sua favella!
Sciacqua, sciaborda,
scroscia, schiocca, schianta,
romba, ride, canta,
accorda, discorda,
tutte accoglie e fonde
le dissonanze acute
nelle sue volute
profonde,
libera e bella,
numerosa e folle,
possente e molle,
creatura viva
che gode
del suo mistero
fugace.
E per la riva l'ode
la sua sorella scalza
dal passo leggero
e dalle gambe lisce,
Aretusa rapace
che rapisce la frutta
ond'ha colmo suo grembo.
Sùbito le balza
il cor, le raggia
il viso d'oro.
Lascia ella il lembo,
s'inclina
al richiamo canoro;
e la selvaggia
rapina,
l'acerbo suo tesoro
oblìa nella melode.
E anch'ella si gode
come l'onda, l'asciutta
fura, quasi che tutta
la freschezza marina
a nembo
entro le giunga!
Musa, cantai la lode
della mia Strofe Lunga