“Ardisco offrire al popolo italiano tutto quel che mi rimane – e tutto quel che da oggi io sia per acquistare e per aumentare col mio rinnovato lavoro – non pingue retaggio di ricchezza inerte ma nudo retaggio di immortale spirito. Già vano celebratore di palagi insigni e di ville sontuose, io son venuto a chiudere la mia tristezza e il mio silenzio in questa vecchia casa colonica, non tanto per umiliarmi quanto per porre a più difficile prova la mia virtù di creazione e trasfigurazione. Tutto, infatti, è qui da me creato o trasfigurato. Tutto qui mostra le impronte del mio stile, nel senso che io voglio dare allo stile. Il mio amore d’Italia, il mio culto delle memorie, la mia aspirazione all’eroismo, il mio presentimento della Patria futura si manifestano qui in ogni ricerca di linea, in ogni accordo o disaccordo di colori. Non qui risanguinano le reliquie della nostra guerra? E non qui parlano o cantano le pietre superstiti delle città gloriose? Ogni rottame rude è qui incastonato come una gemma rara. La grande prova tragica della nave “Puglia” è posta in onore e in luce sul poggio, come nell’oratorio il brandello insanguinato del compagno eroico ucciso. E qui non a impolverarsi ma a vivere sono collocati i miei libri di studio, in così gran numero e di tanto pregio che superano forse ogni altra biblioteca di solitario studioso. Tutto qui è dunque una forma della mia mente, un aspetto della mia anima, una prova del mio fervore. Come la morte darà la mia salma all’Italia amata, così mi sia concesso preservare il meglio della mia vita in questa offerta all’Italia amata.”
– Gabriele d’Annunzio
Il Vittoriale degli Italiani, così definì il poeta la Casa – Museo che l’avrebbe ospitato negli ultimi anni della sua esistenza. Il Vittoriale non è semplicemente una dimora come può essere la Capponcina ma un vero e proprio museo in cui sono contenute reliquie, ricordi, cimeli e tracce del suo vivere inimitabile.
D’Annunzio che fino al ’20 era perseguitato dai creditori riesce a costruire attorno a se una città museo dove poter esaltare le proprie imprese valorose ed ardite e vivere nell’agiatezza del lusso più sfrenato senza alcun ritegno a nessuna prodigalità ne economica ( ne tanto meno della carne ).
Per capire come il Vate sia arrivato fino a questo bisogna fare una piccola digressione ed analizzare il contesto storico dell’Italia negli anni ’20
Il 4 Settembre 1917 il poeta ardito vola sul Garda stillando brevi versi dedicati al lago ” Tutto è azzurro, come un’ebbrezza improvvisa, come un capo che si rovescia per ricevere un bacio profondo. Il lago è di una bellezza indicibile “.
Nello stesso 1917, prima del raid su Pola, nasce l’esclamazione di sfida D’Annunziana ” Eia, eia, eia. Alalalà ” destinata a risuonare per più di un ventennio.
Successivamente all’impresa fiumana ” O Italia o morte ! ” lo stesso Mussolini “seguace” del suo ispiratore D’Annunzio pronucia questa frase :
<< Gabriele D’Annunzio è come un dente marcio o lo si estirpa o lo s ricopre d’oro…io preferisco ricoprirlo d’oro >>
Questa frase rappresentò la fortuna del Vate, il quale avendo dimostrato in parte adesione al pensiero Fascista si ritrovò a poter costruire il Vittoriale a spese del regine, in cambio però di dover donare allo stato tutto il Vittoriale dopo la propria morte. Da qui il nome ” Vittoriale degli Italiani ” poiché più che di D’Annunzio era di tutti gli Italiani e da qui la massima che si trova alle soglie del Vittoriale
” IO HO QUEL CHE HO DONATO ”
Gran parte dei disegni e progetti relativi all’architettura e ristrutturazione del futuro Vittoriale è assegnata all’architetto locale Gian Carlo Maroni che aveva combattuto con valore ed al quale D’Annunzio aveva già commissionato il Mausoleo dei Maritiri di Fiume ( anche se il progetto va a monte all’indomani della disfatta ).
Henrich Thode, il precedente proprietario tedesco, espropriato della propria dimora in base al decreto del 1918 abbandona nella sua villa circa 6000 volumi, fra i quali ( ironia della sorte ) il dannunziano Fuoco, in un’edizione apocrifa del 1913.
D’Annunzio ancora non è consapevole di essere “condannato all’acqua dolce del lago” poiché fino a quel momento il Vate era un’anima itinerante, avvezza ai traslochi, che non aveva mai posseduto una casa propria dove poter ” riporvi i resti dei miei naufragi ”
D’Annunzio depone le vestigia dell’eclettico, ardito, esteta dal vivere inimitabile in quell’area delimitata da vaste mura del paese di Gardone sulle rive Bresciane costruendo attorno al suo mito una piccola città museo.
Trascorre le sue giornate in compagnia dell’ultima amante ” ufficiale ” Luisa Baccara, rinomata pianista alla quale dedica un’intera stanza al Vittoriale. Secondo fonti non del tutto certe Luisa dovrebbe essere responsabile del famoso ” volo dell’arcangelo ” che impedì a D’Anunzio di incontrare Mussolini e Nitti nel 1922. Si narrà che la causa sia stata una spinta di Luisa gelosa per le troppe attenzioni che il Vate rivolgeva alla sorella Jolanda Baccara.
Il Vittoriale è la cittadella di un poeta – soldato, entro queste mura D’Annunzio visse gli ultimi 16 anni della propria esistenza, scrisse, meditò, si interrogò sulla propria vita, pianse il vigore dei propri ventanni e la discesa inesorabile del tempo. Visse rinchiuso nella penombra della sua villa, poiché a causa di una ferita all’occhio era divenuto foto fobico o semplicemente da buon esteta non voleva accettare l’onta della decadenza sul suo volto.
Sperava di ingannare con l’oscurità i sensi e vivere nuovamente quel vigore che ancora lo accompagnava.
Di tutte le questioni relative a medicinali, ipocondria, polveri e suicidio non voglio pronunciar parola poiché il Vate fu per anni una guida spirituale per il paese, con i suoi mistici sogni, con i suoi ideali raffinati, il suo buon gusto in opere d’inchiostro e la sua eccessiva mondanità. La vecchiezza mise di fronte il piccolo nume alla irrimediabilità della morte, e lo costrinse a ricercare disperatamente ciò che non poteva essere più.
In una lettera alla sorella del 1938 D’Annunzio scrive : ” IO RESTO CON IL NULLA CHE MI SONO CREATO “, segno che forse era il momento della riconciliazione fra superuomo e uomo di mondo, fra peccato e redenzione, fra mito e realtà.
Questo il sogno d’un uomo mosso dalla passione, corroso dalla tabe letteraria e malato di poesia.
<< La passione in tutto. Desidero le più lievi cose perdutamente, come le più grandi. Non ho mai tregua…>> Così scriveva negli ultimi giorni della sua vita, rinchiuso nella sua prigione dorata e nella penombra sepolcrale della sua Villa incantata.
Cosa rimane della vita d’un artista mosso dalla passione, travolto dalla fiumana della voluttà, sospinto dalla scintilla di genio battagliero ?
Qualche pagina in un’antologia scolastica, dei siti internet sparsi per la rete, un film dal titolo D’Annunzio e tanta poesia, tanta veemenza, fervore, entusiasmo, trasporto, tripudio per l’inclinazione smisurata di quel genio che :
FECE DELLA SUA VITA CIO’ CHE SI FA D’UN OPERA D’ARTE