È la stanza dove d’Annunzio raccoglie immagini e simboli delle diverse fedi: una piramide di divinità e idoli orientali sormontata da una teoria di santi e martiri della religione cristiana in una sorta di sincretismo religioso affermato anche a lettere d’oro sulla trabeazione che corre lungo le pareti: “Tutti gli idoli adombrano il Dio vivo / Tutte le fedi attestan l’uomo eterno”. Ma reliquia, intesa come simbolo sacro, è anche il volante spezzato — significativamente collocato dinnanzi ad un tabernacolo — del motoscafo di sir Henry Segrave, morto nel 1930 durante un tentativo di superare un record di velocità nelle acque del lago Windermere in Inghilterra. Per d’Annunzio quel volante rappresenta quella che lui definisce la “religione del rischio”, il tentativo cioè dell’uomo di superare i vincoli impostigli dalla natura. Sul soffitto il rosso gonfalone con le sette stelle dell’Orsa Maggiore della Reggenza del Carnaro, lo stato rivoluzionario che il poeta aveva fondato a Fiume. Alle pareti troviamo il bassorilievo del leone di san Marco donato a d’Annunzio dalla città di Genova in occasione del discorso interventista del 5 maggio 1915 e quello dipinto da Marussig che era collocato nello studio di d’Annunzio a Fiume e che venne colpito da una granata durante il cosiddetto “Natale di sangue”. Le pareti sono rivestite da cortinaggi con disegni a melagrana di Mariano Fortuny e da un grande arazzo di soggetto biblico appeso alla travatura che reca il motto “Cinque le dita, cinque le peccata”: dai sette peccati capitali d’Annunzio escludeva lussuria e avarizia.