Così dunque, aspettando, Andrea ricedeva nella memoria quel giorno lontano; rivedeva tutti i gesti, riudiva tutte le parole…
…nell’arte d’amare egli non aveva ripugnanza ad alcuna finzione, ad alcuna falsità, ad alcuna menzongna. Gran parte della sua forza era nell’ipocrisia.
Andò alla finestra, di nuovo, e guardòverso le scale, della Trinità. Elena, un tempo, saliva per quelle scale ai convegni…
Certo, ella sarebbe stata vinta da quella dolcezza così; piena di memorie; avrebbe d’un tratto perduta ogni nozione della realtà;, del tempo; avrebbe creduto di trovarsi ad uno de’ convegni abituali, di non aver mai interrotta quella pratica di voluttà, d’esser pur sempre la Elena d’una volta. Se il teatro dell’amore era immutato, perchè; sarebbe mutato l’amore? Certo, ella avrebbe sentita la profonda seduzione delle cose una volta dilette…
Quale amante non ha mai provato questo inesprimibile gaudio, in cui par quasi che la potenza sensitiva del tatto si affini così da avere la sensazione senza la immediata materialità del contatto ?
Elena gli pareva una donna nuova, non mai goduta, non mai stretta…
La fuga del tempo gli era un supplizio insopportabile. Non tanto egli rimpiangeva i giorni felici quanto si doleva de’ giorni che ora passavano inutilmente per la felicità. Quelli almeno gli avevan lasciato un ricordo: questi gli lasciavano un rammarico profondo, quasi un rimorso… La sua vita si consumava in sè stessa, portando in sè; la fiamma inestinguibile d’un sol desiderio, l’incurabile disgusto d’ogni altro godimento. Talvolta lo assalivano impeti di cupidigia quasi rabbiosi, disperati ardori verso il piacere; ed era come una ribellion violenta del cuore non saziato, come un sussulto della speranza che non si rassegnava a morire.
Ella gli toccò i capelli, col gesto un tempo familiare…
La parola è una cosa profonda…
<> pansava, con una specie d’ebrietà poichè la musica patetica gli aumentava l’eccitamento. <>
…le sfiorò l’omero con le dita, e sentì che ella rabbrividiva…
Ella amerà le cose che io amo…
…si mise a coprirla di baci rapidi e leggeri quella mano che ardeva, quel polso che batteva forte…
Volgeva la mano, sotto la bocca di lui, per sentire i baci sulla palma, sul dosso, tra le dita, intorno al polso, su tutte le vene, in tutti i pori.
Una felicità piena, obliosa, libera, sempre novella, tenne ambedue, dopo d’allora. La passione li avvolse, e li fece incuranti di tutto ciò; che per ambedue non fosse un godimento immediato. Ambedue, mirabilmente formati nello spirito e nel corpo all’esercizio di tutti i più alti e più rari diletti, ricercavano senza tregua il Sommo, l’Insuperabile, l’Inarrivabile; e giungevano così oltre, che talvolta una oscura inquietudine li prendeva pur nel colmo dell’oblio, quasi una voce d’ammonimento salisse dal fondo dell’essere loro ad avvertirli d’un ignoto castigo, d’un termine prossimo. Dalla stanchezza medesima il desiderio risorgeva più sottile, più temerario, più imprudente; come più s’inebriavano, la chimera del loro cuore ingigantiva, s’agitava, generava nuovi sogni; parevano non trovar riposo che nello sforzo, come la fiamma non trova la vita che nella combustione. Talvolta, una fonte di piacere inopinata aprivasi dentro di loro, come balza d’un tratto una polla viva sotto le calcagna d’un uomo che vada alla ventura per l’intrico d’un bosco; ed essi vi bevevano senza misura, finché non l’avevano esausta. Talvolta, l’anima, sotto l’influsso dei desiderii, per un singolar fenomeno d’allucinazione, produceva l’imagine ingannevole d’una esistenza più larga, più libera, più forte, « oltrapiacente »; ed essi vi s’immergevano, vi godevano, vi respiravano come in una loro atmosfera natale. Le finezze e le delicatezze del sentimento e dell’imaginazione succedevano agli eccessi della sensualità.
Ambedue non avevano alcun ritegno alle mutue prodigalità della carne e dello spirito. Provavano una gioia indicibile a lacerare tutti i veli, a palesare tutti i segreti, a violare tutti i misteri, a possedersi fin nel profondo, a penetrarsi, a mescolarsi, a comporre un essere solo.
– Che strano amore! – diceva Elena, ricordando i primissimi giorni, il suo male, la rapida dedizione. – Mi sarei data a te la sera stessa ch’io ti vidi.
Ella ne provava una specie d’orgoglio. E l’amante diceva: – Quando udii, quella sera, annunziare il mio nome accanto al tuo, su la soglia, ebbi, non so perché, la certezza che la mia vita era legata alla tua, per sempre!
Tu sei il mondo, o Roma!
…per ascoltare insieme la fuga degli attimi e il battito di quel cuore.
Questa spiritualizzazione del gaudio carnale, causata dalla perfetta affinità dei due corpi, era forse il più saliente tra i fenomeni della loro passione.
Elena, talvolta, aveva lacrime più dolci dei baci.
Un bacio li prostrrava più d’un amplesso.
E la tortura di quel minuto gli piaceva; poichè non di rado la sofferenza fisica nell’amore attrae più della blandizia.
Qualche volta egli diceva a lei – La comunione del mio spirito col tuo mi par così casta ch’io ti chiamerei sorella, baciandoti le mani.
…quando sul riposo della carne, l’anima provava un bisogno vago d’idealità.
Un uomo, che sia stato amato da una donna di pregi singolari, eccità nelle altre l’immaginazione; e ciascuna arde di possederlo, per vanità e per curiosità, a gara. Il fascino di Don Giovanni è più nella sua fama che nella sua persona.
L’anima sua, camaleontica, mutabile, fluida, virtuale si trasformava, si difformava, prendeva tutte le forme. Egli passava dall’uno all’altro amore con incredibile leggerezza; vagheggiava nel tempo medesimo diversi amori; tesseva, senza scrupolo, una gran trama d’inganni, di finzioni, di menzogne, d’insidie, per raccogliere il maggior numero di prede. L’abitudine della falsità gli ottundeva la conscienza. Per la continua mancanza della riflessione, egli diveniva a poco a poco impenetrabile a sè stesso, rimaneva fuori del suo mistero.
Fra le braccia dell’una si ricordava della carezza dell’altra…
…unendo alla seduzione della sua voce uno sguardo, sottile, penetrante, quello sguardo indefinibile che sembrava svestire le donne, vederle ignude a traveso le vesti, toccarle sulla pelle viva.
…con i due canini sporgenti, fuor della labbra.
…con in tutta la persona una sprezzatura di grande signore.
Quasi direi una voluttà d’altri tempi…
MIRARE L’ARMONIOSA POESIA NOTTURNA DE’ CIELI ESTIVI
Nel libro D’Annunzio ammette che c’è molto di lui colto sul vivo, difatti una delle protagoniste femminili la si può identificare in Barabara Leoni, amante del vate per ben 5 anni. Il vero nome della Leoni non era Barbara bensì Elvira Natalia Fraternali, sposata Leoni; fu ribattezzata Barbara poichè il nostro Ariel era capace di rendere sensuale ed erotico anche un semplice nome nuovo, diverso, ambiguo…
La relazione con Barbara portò il vate ad uno slancio per una crescita umana e sentimentale…
Egli riposava, poichè non desiderava più…