Dèspota, andammo e combattemmo, sempre fedeli al tuo comandamento. Vedi che l'armi e i polsi eran di buone tempre. O magnanimo Dèspota, concedi al buon combattitor l'ombra del lauro, ch'ei senta l'erba sotto i nudi piedi, ch'ei consacri il suo bel cavallo sauro alla forza dei Fiumi e in su l'aurora ei conosca la gioia del Centauro. O Dèspota, ei sarà giovine ancóra! Dàgli le rive i boschi i prati i monti i cieli, ed ei sarà giovine ancóra Deterso d'ogni umano lezzo in fonti gelidi, ei chiederà per la sua festa sol l'anello degli ultimi orizzonti I vènti e i raggi tesseran la vesta nova, e la carne scevra d'ogni male éntrovi balzerà leggera e presta. Tu 'l sai: per t'obbedire, o Trionfale, sí lungamente fummo a oste, franchi e duri; né il cor disse mai "Che vale?" disperato di vincere; né stanchi mai apparimmo, né mai tristi o incerti, ché il tuo volere ci fasciava i fianchi. O Maestro, tu 'l sai: fu per piacerti. Ma greve era l'umano lezzo ed era vile talor come di mandre inerti; e la turba faceva una Chimera opaca e obesa che putiva forte sí che stretta era all'afa la gorgiera. Gli aspetti della Vita e della Morte invano balenavan sul carname folto, e gli enimmi dell'oscura sorte. Non era pane a quella bassa fame la bellezza terribile; onde il tardo bruto mugghiava irato sul suo strame. Pur, lieta maraviglia, se alcun dardo tutt'oro gli giungea diritto insino ai precordii, oh il suo fremito gagliardo! E tu dicevi in noi: "Quel ch'è divino si sveglierà nel faticoso mostro. Bàttigli in fronte il novo suo destino". E noi perseverammo, col cuor nostro ardente, per piacerti, o Imperatore; e su noi non potè ugna nè rostro. Ma ne sorse per mezzo al chiuso ardore la vena inestinguibile e gioconda del riso, che sonò come clangore. E ad ogni ingiuria della bestia immonda scaturiva più vivido e più schietto tal cristallo dall'anima profonda. Erma allegrezza! Fin lo schiavo abietto, sfumato con le miche del convito, lungi rauco latrava il suo dispetto; e l'obliqio lenone, imputridito nel vizio suo, dal lubrico angiporto con abominio ci segnava a dito. O Dèspota, tu dài questo conforto al cuor possente, cui l'oltraggio èlode e assillo di virtù ricever torto. Ei nella solitudine si gode sentendo sé come inesausto fonte Dedica l'opre al Tempo; e ciò non ode. Ammonisti l'alunno: "Se hai man pronte, non iscegliere i vermini nel fimo ma strozza i serpi di Laocoonte". Ed ei seguì l'ammonimento primo; restò fedele ai tuoi comandamenti; fiso fu ne' tuoi segni a sommo e ad imo. Dèspota, or tu concedigli che allenti il nervo ed abbandoni gli ebri spirti alle voraci melodíe dei vènti! Assai si travagliò per obbedirti. Scorse gli Eroi su i prati d'asfodelo. Or ode i Fauni ridere tra i mirti. l'Estate ignuda ardendo a mezzo il cielo.