Quella sua chioma, volgente
su da la fronte regale
cui cingeva l'immortale
Tristezza divinamente,
mi ricordava il tesoro
de le foreste profonde
ove l'Autunno profonde
tra porpore cupe l'oro.
E gli occhi, remoti in cavi
cerchi d'ombra e di mistero,
cui tanto il sogno e il pensiero
facean le palpebre gravi,
non aveano un'infinita
calma di tarde acque stigie?
Entro io vi scorgea l'effigie
de la morte, ne la vita.
E le labbra mai concesse
(la vita dà tali frutti!)
ov'erano insieme tutti
i rifiuti e le promesse,
da l'invincibile orgoglio
con suggel rigido chiuse
tacevano, ma ben use
a l'alta parola VOGLIO.
Ampia era la stanza. Aveva
qualche alito veemente
la sera; che di repente
i cortinaggi scoteva
con uno strano susurro.
Si sfogliavan su 'l balcone
le rose, ma le corone
de gli astri ardean ne l'azzurro
con un fulgore che parve
insolito a gli occhi miei.
Tutto, allora, a gli occhi miei
insolito e grande parve;
e le voci de la sera
vennero tutte a la mia
anima. Io dissi: - Maria! -
Dissi. E quel nome non era
che un soffio, ma in sé portava
una immensità di cose
sovrane. E mentre le rose
morivano e palpitava
il cielo ed ella era muta,
io sentii pormi il suo giogo.
Ogni scienza del luogo
e del tempo fu perduta.
E nulla piú, veramente,
a me parve ch'esistesse.
E quelle voci sommesse
tacquero. Ne la mia mente
non balenò che un pensiero
su l'anima sbigottita.
Da quell'attimo la vita
non ebbe che un sol mistero.
Ella cosí pose il giogo
a l'artefice superbo.
Ed ella non disse verbo.
Splendeva come in un rogo.